
Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Toni Piccini che l’ha interpretato come segue.
Grazie infinite a Toni.

Scrivere perché? Perché spinge da dentro, perché mi fa stare meglio; poi mi piaceva anche tempo dopo che l’avevo scritto, agli altri giungeva qualcosa, a volte premevo la matita di gioia, altre era una siringa che faceva scivolare -in parte- sul foglio il dolore da dentro.
In realtà e sintesi è semplicemente un bisogno che spezza la pelle quando qualcosa entra e sono tramite del suo volere pretendere espressione tramite la forma, se rimane dentro rovescia e ho imparato ad assecondarlo. All’inizio era sul giornale, poi sempre con me un’agendina, a volte cercando di non cadere in bus varcandola.
Quasi vent’anni di continuità, pur con mesi asciutti e forse poi scriver meglio, andar dentro, varcare le parole d’altri per capir ciò che era ed è e non ciò che viene tuttora detto fosse.
Timido sul primo palco, di più sul secondo…Genova, Tokyo, Budapest, Vienna: segnalibri a capitoli variabili…Uno haiku triste appare sulla pagina d’una donna ignota, il cui giovane figlio ucciso. E allora il dubbio viene, forse è vero, la pagina merita la penna, e la penna merita la mano, pur se con le unghie sempre mangiate.
Studiare, studiare, osar empatia. Pensare senza sapere di farlo, insegnare ai bambini delle elementari e quell’indimenticabile risposta su cosa sia la poesia: “Un modo per chiedere scusa”…e allora bisogna farlo bene, senza farsi sconti, casomai quelli te li farà il lettore, ma non subito. E speriamo di no.
“Qui e ora”: punti quantomai elastici, ma non facciamola lunga ora.
L’attento silenzio d’una classe universitaria durante una mia lezione sullo haiku, uno di quelli cui sono più affezionato, e utile: ascoltavano, per parlarmi anni dopo quando la realtà era un’illusione, e senza saperlo stavano disegnando la mia figura sullo specchio.
360°, a volte di meno, qualche volta di più.
Leggere, rileggere, e poi ancora fino a quando non sembra possibile meglio e l’insoddisfazione si fa velo sempre più sottile, cambiamento dopo cambiamento, riga sopra riga di quell’inchiostro. E finalmente un respiro. Poi dopo anni levare ancora, e il tempo scansiona sempre più ciò…”Costruir Levando”, la prima mostra, e prima di quel tipo in Italia…la guardo ora con tenerezza….forse tutto qua, Costruir Levando, che poi magari arrivi a guardar con tenerezza ciò che s’è levato anche contro volontà, fosse solo anche per i contratti firmati quando li avevano scritti loro, senza il coraggio di firmarli. Ecco, forse questo. O redatti e non firmati, io. E lei in una gamba, senza saperlo: un terabyte in un respiro.
E poi domani.
Forse qui dentro perché scrivo.
la mia ombra
entra nel buio
per ritrovarmi
il tuo respiro
libera la mia stanza
da ogni vuoto
le dita stringono
il lenzuolo…lei
dimentica ogni cosa
appare il tempo
mentre inseguo
un fiocco di neve
un bicchiere d’aceto
sotto il sole d’agosto –
chemioterapia
elusa la sirena –
cercando lo spirito
dell’acqua
l’amica mancante…
l’ombra rimane in piedi
sul muro caduto
treno merci,
un topo nell’angolo
l’unico sopravvissuto (da “Auschwitz e simili”)
parlando con mio padre
capisco le farfalle
prima del volo
la metà di zero –
più vicino
alla meta
un sorso d’acqua –
l’eterna
contemporaneità
amanti in cammino
in direzione opposte…
le ombre nella stessa
nessuna scheda di memoria
nella macchina fotografica –
impermanenza
Ohmmmm link
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