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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Una vita in scrittura

Riflessioni sulla poesia di Alfredo Panetta – Una vita in scrittura

21 mercoledì Dic 2022

Posted by Antonella Pizzo in Una vita in scrittura

≈ 1 Commento

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Alfredo Panetta, poesia, poesia contemporanea, Poesia dialettale, Una vita in scrittura

panetta

per “una vita in scrittura” ho rivolto l’invito ad  Alfredo Panetta che lo ha interpretato come segue e che ringraziamo per il suo interessante  contributo. Antonella Pizzo

 Una vita in scrittura 

Riflessioni sulla poesia di Alfredo Panetta

Cosa non è poesia? E quanto contano i luoghi per diventare poeti? Parto da questi due cippi per raccontarmi. La seconda domanda è più facile, la prima è a forte rischio retorico. Proverò ad evitare la trappola dell’elenco. Mi sento fortunato, ho vissuto due vite diametralmente opposte. La prima in un paese sperduto delle colline joniche calabresi, la seconda nell’unica metropoli italiana. Dall’innesto tra questi due luoghi si è concretizzata la mia poesia. Oggi non saprei immaginarmi privo di versi. Almeno uno al giorno, un piccolo mattoncino. Ma torniamo ai luoghi, ai contrasti. Per scrivere ho bisogno di concretezza, di materia che scintilli. Mi serve la terra per immaginare il volo. Mi serve l’odore del cemento per innescare la potenza della memoria. Mi servono i tondini arrugginiti, le crepe sui muri, il profumo di elicriso per raccontare la tragedia del ponte Morandi. È come se, per scrivere, abbia bisogno dei miei strumenti acquisiti nei primi anni di vita. Mi sento un artigiano (lo sono per guadagnarmi da vivere) delle parole, le mie parole. E in questo bagaglio ben fornito è necessaria la parlata dialettale. Il dialetto mi fa stare a casa, ovunque sia. È il mio amico intimo, l’energia che mi sostiene, l’amante che non pretende nulla. Dialetto e italiano lavorano a braccetto, nessuna antipatia. Le mie non sono versioni ma riscritture. I testi devono funzionare in entrambe le lingue. Il dialetto mi permette di mantenere uno sguardo vergine sulla realtà, mi costringe a guardare da vicino le cose, a chiamarle col loro nome. La parola e la cosa coincidono. Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Antonella Pizzo

07 mercoledì Dic 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonella Pizzo, Loredana Semantica, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Per  Una vita in scrittura ho rivolto l’invito ad Antonella Pizzo, che l’ha interpretato come segue.

Grazie Antonella

Da ragazza leggevo come una forsennata, sempre libri in prestito presi in biblioteca, solo narrativa, niente poeti, alle superiori mi ero innamorata di Foscolo, amavo i suoi sepolcri, ero gelosa della sua amica caduta da cavallo,  lui non mi amava, non mi aveva mai conosciuta, vivevo nel suo futuro e non avevo un cavallo da cui cadere. Poi la scuola finì e io lo dimenticai. Ora amo Eliot, non so perché, l’amore non ha una ragione, so che se  sto male e leggo Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock mi pacifico, pare che io non sia la sola, mi è stato detto anche da altre persone, la devono studiare questa cosa, sarà una questione di vibrazioni come quando le mucche ascoltano Mozart e fanno più latte. Quando avevo già i miei bei 50 anni ho cominciato casualmente a scrivere versi, mi sono imbattuta in un concorso di poesia, era un concorso di poesia sullo sport, 36 versi, la cosa mi intrigò parecchio per diversi motivi: non avevo mai scritto una poesia, tanto meno sullo sport, non avevo mai partecipato a un concorso, non avevo mai praticavo uno sport, non seguivo lo sport. Ma si potevano scrivere poesie sullo sport? 36 versi poi mi sembrarono una enormità.  Fu una sfida, la scrissi per distrarmi, avevo un grave lutto da elaborare,  così mi cimentai e scrissi una poesia dedicata ai meninos de rua e al pilota brasiliano  Ayrton Senna da Silva, morto nel 1994. La poesia l’ho smarrita e il concorso non l’ho vinto, però da allora ho scritto ininterrottamente per dieci anni, prima su it.arti.poesia, poi sui blog, su spinder con poetienon, su wordpress con viadellebelledonne, poi pit stop, sosta ai box, ora in attesa di ricominciare, spero. Il mio sito personale

http://antonellapizzo.wordpress.com

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Una vita in scrittura: Toni Piccini

30 mercoledì Nov 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Maria Grazia Galatà, Toni Piccini, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Toni Piccini che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Toni.

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Una vita in scrittura: Alberto Mori

23 mercoledì Nov 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Alberto Mori, Maria Grazia Galatà, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Alberto Mori che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite ad Alberto

Alberto Mori

Nel ricondurre la mia esperienza nella poesia, mi attengo a due momenti di profonda consapevolezza verso me stesso che hanno inciso nella ricerca tuttora perdurante della parola.

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Una vita in scrittura: Davide Morelli

16 mercoledì Nov 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Davide Morelli, Loredana Semantica, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Per  Una vita in scrittura ho rivolto l’invito a Davide Morelli, che l’ha interpretato come segue.

Grazie Davide.

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Una vita in scrittura: Flora Restivo

09 mercoledì Nov 2022

Posted by Antonella Pizzo in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonella Pizzo, Flora Restivo, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

L’invito è stato rivolto da me a Flora Restivo che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Flora e grazie a chi si è fermato a leggere.

SCRIVERE PER SCOPRIRE SE STESSI.

Accidenti, non trovo più la stilografica, la mia cara Aurora 88, col cappuccio d’oro, eppure, in tutti questi anni, ho provveduto a ricaricare l’inchiostro, affinché non s’asciugasse! Dove l’avrò infilata? Apro, chiudo, metto tutto sossopra (sai la novità!). Ah , sì, nel cassetto delle lettere scritte e non inviate, tante, ma tante, più di quelle inviate.
Un foglio bianco, mai colorato di quel rosellina insulso che in tante, signore e signorine, preferivano, una penna antica, una donna… antica. Scrivere mi risulta piuttosto difficile, le mie dita sono quasi inservibili e la grafia ne risulta molto simile al cinese, ma non mi creo problemi, sarà compresa di sicuro.

Cara Flora, adesso sei al crepuscolo e mi pare giusto che io ti scriva, mentre siamo in tempo. E’ vero, lo so bene, ti ho amato poco; forse perché sono stata amata poco? No, non dagli uomini, quelli, appena vedono un grazioso faccino e un bel culetto, amano a modo loro, per correre, subito dopo, ad “amare” un altro bel faccino e un altro bel culetto, ma da chi avrebbe dovuto amarmi, avendomi buttato in questo mondo senza il mio assenso e non lo ha fatto o ,almeno io questo amore non l’ho avvertito. Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Marina Raccanelli

01 martedì Nov 2022

Posted by Antonella Pizzo in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonella Pizzo, Marina Racanelli, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

L’invito è stato rivolto da me a Marina Raccanelli che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Marina e grazie a chi si è fermato a leggere.

Per la maggior parte della mia vita, la letteratura è stata romanzi da leggere e poesie da assaporare (o con cui annoiarsi, a seconda dei casi), con qualche vago tentativo di emulazione adolescenziale per quanto riguarda i versi.
Più tardi, quando la vita mi ha presentato il conto e mi sono scontrata con situazioni per me difficili o impossibili da superare, o perlomeno accettare, ho incontrato per mia fortuna lo sfogo della scrittura. Ed ho riempito diari su diari, quadernetti squinternati fitti di parole torrenziali…a poco a poco, la corrente è diventata meno impetuosa ed ha rallentato, le mie parole si sono messe, spesso senza la partecipazione della mia consapevolezza razionale, in un ordine tendenzialmente “poetico”.
Mi sono spuntate dalla mente, dalla mano, dalla tastiera, frasi sintetiche, immagini, musiche silenziose.
Mi piaceva, questo cambiamento: uscivo dal mio io aggrovigliato per diventare pagina bianca e nera. Più bianca che nera. Questo mi dava sollievo, era una fatica diversa, che poteva risolversi in una sorta di sublimazione, a volte quasi in divertimento. Accumulavo pagine su pagine e imparavo il gioco. Ma questa sfumatura un po’ superficiale, che mi portava a scrivere in modo spesso un po’ criptico, con divagazioni e collegamenti inessenziali, l’ho poi superata, almeno credo – anche se solo in parte, dopo le esperienze di vita dei miei ultimi decenni. Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Fernando Lena

26 mercoledì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Fernando Lena, Maria Grazia Galatà, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Fernando Lena che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Fernando

Breve manifesto di una vocazione

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Una vita in scrittura: Laura Pierdicchi

19 mercoledì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Laura Pierdicchi, Maria Grazia Galatà, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Laura Pierdicchi che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Laura

IL MIO RAPPORTO CON LA POESIA

In tanti anni non ho mai scritto la storia della mia vita riguardante l’amore per la poesia. La mia è stata una folgorazione. A sette anni, al compleanno di un’amichetta, la sorella maggiore lesse una lirica scritta per l’occasione. Ne rimasi talmente colpita che da quel momento sentii di voler diventare una poetessa. A scuola seguivo sempre con amore e imparavo a memoria i versi dei grandi poeti; intanto, iniziavo ad avere pensieri e svariate emozioni. A nove anni (con la prima filastrocca) e fino ai sedici, ho compilato numerose liriche e le ho raccolte in un volumetto che non ho mai mostrato a nessuno (lo ritengo il mio diario segreto).
Dopo uno stacco di due anni (per motivi di salute) ho ripreso a scrivere e continuo tuttora. Non avrei mai pensato che le mie poesie potessero interessare ad altri ed ero all’oscuro di tutto quello che si aggirava attorno alla poesia. Anche gli studi erano distanti da quelli classici (ho scelto ragioneria e ho sempre svolto mansioni aziendali). Fu un critico amico a darmi il bando di un concorso, al quale partecipai senza aspettarmi nessun riscontro. Il premio che ricevetti mi procurò una gioia mai provata; per un giorno intero vissi di adrenalina. Cominciai allora ad informarmi e a prendere contatti con il mondo culturale; soprattutto, mi interessavano i concorsi per capire se veramente i miei testi potessero valere. Ricevendo molti riconoscimenti, mi decisi a presentare le bozze di un primo libro per una possibile pubblicazione. Venne subito accettato dell’Editrice Lalli e, tra gli altri, ottenne il giudizio positivo di Andrea Zanzotto e Giorgio Barbèri Squarotti. Da allora ho iniziato seriamente il mio percorso poetico. Il secondo libro è stato curato da Bino Rebellato e mi ha portato grandi soddisfazioni. Al mio attivo ho quattordici libri di poesia ed uno di narrativa, che mi hanno gratificato sia per i Premi ottenuti sia per il riscontro critico.
La poesia ha dato un senso alla mia vita e non ho mai scritto per passare il tempo ma solo tramite una forte spinta interiore. Tra un volume a l’altro ho lasciato sempre uno spazio di silenzio per dare allo spirito la possibilità di rinnovarsi e generare nuove emozioni. Inoltre, la poesia è stata ed è una lettura quotidiana, dovendo curare recensioni per altri autori e collaborare con varie Riviste letterarie. Avendo approfondito la conoscenza dei grandi Poeti, ho sempre cercato di non farmi influenzare e ho seguito il mio ritmo interno nella speranza di creare una voce che mi appartenesse. Non mi addentro nella mia poetica perché lascio questo compito ai critici e a chi mi legge. Ho scritto testi di breve/medio respiro ma anche due libri a più voci adatti alla recitazione e che ho fatto rappresentare in vari teatri. Con il tempo ho perseguito sempre di più la sintesi per dire tutto in pochi versi. Per esempio, chiudo con una lirica dal mio ultimo “Il Portale” (2021), inserito nella collana curata da Paolo Ruffilli per la “Biblioteca del Leoni”:

Ciò che non è più
ciò che non ha luogo
vaga nell’assurdità
di un pensiero che torna
dove il concreto
riempiva lo spazio
ed era in assoluto
l’unico riferimento.

Laura Pierdicchi

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Laura Pierdicchi è nata a Venezia e vive a Mestre. Ha pubblicato quattordici volumi di poesia e un libro di racconti. Cura recensioni e articoli per riviste e quotidiani con argomenti di letteratura e di cultura varia. E’ inserita nell’antologia tradotta in lingua romena Echi d’acqua, curata da Ştefan Damian e in quella tradotta in lingua spagnola Venezianamente a cura di Nadia Consolani Quiñones. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti ed è presente in più repertori e antologie di poesia contemporanea. Alcune riviste straniere, come le spagnole Caleta, Por Ejempio, Puente chico, Revistatlάntica e la rumena Steaua, hanno dedicato servizi sulla sua poetica, con pubblicazione di diverse liriche. Anche nella rivista Vernice appare un ampio servizio sulla sua attività. E’ componente di giuria in concorsi letterari e svolge intensa attività pubblica di partecipazione a manifestazioni culturali. Sue poesie sono state tradotte in tedesco e presentate da Helmut Meter al Musil Archiv di Klagenfurt, in occasione del cinquantenario dalla morte di Alfred Musil, e pubblicate in I nascosti colori della vita. Di lei si sono interessati molti critici e scrittori. Tra i più noti: Cajani, Cara, Civitareale, Della Corte, Ferri, Giudici, Grasso, Magrelli, Majellaro, Pazzi, Pent, Piccari, Rebellato, Risi, Ruffilli, Scrignoli, Squarotti, Troisio, Zanzotto, ecc. E’ presente nei siti Italian-poetry.org e genesi.org. Nel sito Literary.it è inserita la sua completa attività poetica.

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Una vita in scrittura: Dominica Villa Balbinot

12 mercoledì Ott 2022

Posted by Antonella Pizzo in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Dominica Villa Balbinot, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Trovo questa rubrica interessante, a partire dalla stessa titolazione. Ma per chi si impegna a rispondere in prima persona, per darne una visione personale, quanto più rappresentativa del proprio sentire, si evidenzia subito che affrontare tale impegno non è cosa da poco.
Dopo averci pensato un po’ proverò a definire come per me si pongono i due termini della stessa titolazione, una vita in scrittura, io ormai ne sono consapevole pienamente nel mio specifico caso: si potrebbero unificare i due termini intendendo con questo che per ciò che si è andando verificando individualmente per me nel tempo e per le modalità con cui il tutto si è venuto a determinare in definitiva la scrittura e la letteratura sono un tutt’uno, si identificano con la mia vita. Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Marco Scalabrino

05 mercoledì Ott 2022

Posted by Antonella Pizzo in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Marco Scalabrino, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

L’invito è stato rivolto da Antonella Pizzo a Marco Scalabrino che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Marco e grazie altrettante ad Antonella Pizzo

  1. Convintamente siciliano.

 Sti silenzi, sta virdura,

Sti muntagni, sti vallati,

L’à criatu la Natura

Pri li cori nnamurati.

  Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Antonio Nazzaro

28 mercoledì Set 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonio Nazzaro, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto da Maria Grazia Galatà ad Antonio Nazzaro che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite, Antonio e grazie altrettante a Maria Grazia

Intenti di scrittura

Della poesia ho i calzini rotti / le unghie sporche / e la barba mal tagliata / un posacenere pieno / una pancia appoggiata / graffi del grattarsi / e una finestra / aperta

Lui è seduto davanti al computer, il posacenere colmo, e cenere sulla tastiera, colpita come si faceva con le macchine da scrivere. Il ventilatore aggrappato al soffitto taglia un’aria fumosa.
Si accende un’altra sigaretta, scrive: ……………………………………………………………

Batte con due dita, la sigaretta tra i denti. Lo vedo con la faccia di chi scrive appunti che non rilegge. Lo vedo cercare immagini nello schermo, si allontana e si avvicina: non per vedere meglio, per sostenere un dolore. Lo vedo non alzare lo sguardo dai tasti come a fuggire il suo volto riflesso nello schermo.

*Inconscientemente yo levanté los ojos a la torre bárbara que dominaba el vial larguísimo de los
plátanos. Encima del silencio hecho o vuelto intenso ella revivía su mito lejano y salvaje: mientras por visiones lejanas, por sensaciones oscuras y violentas otro mito, también este místico y salvaje me recorría por momentos a la mente. (…)
(“La noche” de Dino Campana Suramericano-Cantos Órficos, Abisinia Editorial, 2022. Traduzione di Antonio Nazzaro)

Caracas per ogni stella ha una donna. L’Avila si pavoneggia alla luna. Caracas è una femmina danzante. L’Avila suona un triste ballo. Caracas è assenza di clacson nel ritmo di un ballo inchiodato sulle spalle di donne costanti, che portano la città in borse troppo grandi. Sono mani nervosamente magre quelle che tolgono la cenere dallo schermo. Le punte delle dita tradiscono passi di danza sulla tastiera. Caracas è canto di pioggia, suoni di tamburi e vita che strabocca dai tombini. L’Avila muove maliziosa i capelli all’aria.

Lo vedo fumare appoggiato al gomito cercando mappe di città come foto ricordo.

Di dove sei?

Tram leggeri scorrono sull’asfalto che si fa ponte per correre tutto d’un fiato la scalinata di un qualche sagrato. Di dove sei? Ogni volta che gli fanno questa domanda resta a pensare.
La casa che aspetta si disegna tra strade che attraversano oceani e le onde s’infrangono su marciapiedi forse tutti uguali. Non si lascia una terra per cercarne un’altra, si cerca una terra solo quando non ne hai una.
Torino offre un cielo da cartolina e sedili di legno sui tram. Gli occhi prendono i colori e li dipingono in un vivido bianco e nero. Muoversi per Città del Messico è come muoversi in universi più o meno ordinati sono 40 milioni le persone che la percorrono. Lo vedo con la faccia di un emigrante che non ha storia. L’ aria canta: ” México Lindo y Querido Si muero lejos de ti Que digan que estoy dormido Y que me traigan aquí”. Entra por la ventana/esta noche suramaericana/escrita en italiano…

Torino è la distanza tra la terra e la punta della Mole che misura il cielo.
Città del Messico ritmi sconosciuti / attraversano le strade / fanno danzare la metro / violini, mormorio incessante / fisarmoniche a auto…
Cozumel abbiamo perso i sogni qui / su questa barca di pietra e selva / a nuovi porti andando (…)
onde che approdano / al lungomare stancamente appoggiato all’orizzonte…
Caracas el paso infinito de la belleza suspendida / y caderas de ritmos de la tierra. / En el pecho cimas que alcanzan las estrellas / las uñas como casas que se agarran una encima de otra / de la pobreza que roza / los brazos avenidos hacia el infinito

vivo in un paese che si spara / come si mangiano le caramelle / e le mani che stringono il calcio
/ non hanno pallone / ma vanno ancora / in pantaloni corti / con occhi spenti / che non hanno /mai visto il mare / a disegnare /i sorrisi / delle onde

Al funerale di un delinquente le ragazze a cavalcioni sulla bara a muovere i fianchi e il culo: un ultimo meneo all’amato. Perché o sei madre o sei donna del malo, uniche identità possibili nei barrios: con la dittatura, la democrazia e il socialismo. Qui aprire le gambe o premere un grilletto non fa differenza e la notte scende sui buoni e sui cattivi. Il problema è chi vedrà l’alba. (Caracas, 2017)

ma ancora mi tuffo in un oscuro caffè d’America / e brucio tabacco d’India / sul veleggiare di questa finestra.

amori dalle lingue diverse / seduti su questo viaggio/ riconosciuti da un solo bacio / come una promessa aperta.

Antonio, omonimo venezuelano d’Abruzzo, mi riceve con l’immancabile itañolo:

«Hola como stai?», e prima che possa rispondere «ho visto tua madre, parece che

sta bien e tuo padre mejora».

Per Daniela Nazzaro (sorella)

A te che non leggerai
ma come ti racconto
sulla tua sedia dalle ruote che non girano
sulla tua testa che non, che non sta su
e gli occhi ad indicare il nord e il sud
il sud di quest’amore
che non ha parole
ma raccoglie con la mano
la tua bava che cade
che cade su un bavaglino
dai cinquant’anni.

Dai cinquanta anni di silenzi.

*

A mio padre

Ho una poesia
solo per te:

click

tu che fotografi me
che scrivo te.

*

Malattia. Tredicesimo giorno. Pioggia.

Scendo a vedere il tuo sonno. La pioggia scivola lenta lenta sui vetri. Non entro. Dalla porta con paura guardo se il tuo petto si muove nel gesto del respirare. Alla memoria si accalcano i ricordi ma con un gesto della mano li allontano. Hai bisogno del mio presente e io di sostenere il tuo. Ma inciampo in quel tuo prendermi in giro per il mio andare dal barbiere anche se sono davvero pochi i capelli. Solo voglia di sorridere nonostante tutto e tutti. Nascondo il pianto sul lavandino del bagno e dal lucernaio la pioggia dà il ritmo. Vorrei chiederti scusa per tutto il male che ti ho fatto quando la furia correva per le vene a macchiare le camicie di sangue. Ma non serve. Ogni scalino sembra un paramo andino. Sono qui madre con un bacio pronto per il tuo risveglio. Il sugo di pomodoro e gli spaghetti sono quasi pronti. Un bacio tuo o mio poco importa. Siamo noi: Zambonina e il disgraziato. Bacio ma’.
(16 settembre 2021)

Sono odori a scoprire il sesso e qualcosa chiamato amore e un tram che ruba la

mattina.

Di te so poco:
la lunghezza delle tue braccia
il tempo dei tuoi baci
quelli umidi dell’amore vorace
e quelli lenti dell’amore quotidiano.

Il taglio degli occhi
e l’incedere scalza.

Il movimento dei seni
a cui accordo il respiro
quel gesto tuo
di spostare i capelli
quello che so
è che quando arrivi
e ti siedi in un sorriso
sogno.

*

(…) Si dovrebbe affrontare il giorno
ma la testa si gira
sotto il cuscino del tempo
ad allungare la notte
che abbraccia
l’odore di te.

*

sono carezze a delineare gli occhi come carovane dai carichi esotici

carezze patagoniche
lunghe da poter toccare il freddo polo e scatenare le passioni infinite di Capo Horn

carezze platensi orientali
capaci di mantenere il limite dell’onda del piacere tra un’acqua dolce e una salata

carezze andine
salgono e scendono senza posa e corrono sotto il mare sotto la pelle

carezze caraibiche
muovono i fianchi e con i talloni rubano il danzare della terra

carezze di selva
tessono i corpi a dare un’ombra umida dove scivolare

carezze nostre
ancora tutte da inventare

*

e sono di nuovo qui su questo farsi della notte
appoggiato tra luna e Ande a spiarti le gambe
a farle pontili di navi da passare in rivista
meticolosità lenta di chi non vede terra

ma la aspetta dietro il gesto consueto
quell’andare della mano tra viso e capelli
carezze non date mille volte sfiorate
distanza è una parola perduta nell’oceano

avvicino le tue labbra il tuo respiro sospesi
tra le Ande e la luna ti disegno amore mio
solo questo volevo dirti

L’emigrante lo riconosci / perché anche sotto il sole del mezzogiorno / disegna / due ombre.

Sono un emigrante
figlio di emigranti.

Non ho razza né terra
ma solo un cielo di stelle.

La mia lingua è una nuvola
che insegue il vento.

Muoio e rinasco al toccare terra.

*

il silenzio
di tante lingue

lo sguardo
di tanti orizzonti

la solitudine
di ogni terra

masticare terra ed acqua

l’essere emigrante
non ha fine

*

L’albero

Io
ho un albero
piccolo molto piccolo
senza terra e senza radici.

Mi accompagna da sempre
i suoi rami non hanno foglie né frutti
ma sta nella mia valigia
di emigrante.

E forse un giorno
riusciremo a piantarci.

(…) Quello stesso anno, avevo quindici anni, insieme a mio cugino Dario comprammo il primo biglietto ferroviario Interrail decisi a raggiungere il sole di mezzanotte. Fu l’inizio di un viaggiare che non si è ancora fermato. Quando a Narvik, in Norvegia, ci trovammo di fronte a questo tramonto che non tramonta con i compagni di viaggio, mentre alcuni cantavano Because the Night di Patti Smith, io leggevo quella frase: “Quiere Usted Mate? uno spagnolo professe a bassa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa (…)”. Mi separai dal gruppo immaginando che là, al di là dell’orizzonte ci fosse La Pampa. Molti anni dopo partivo per un viaggio in America Latina che doveva durare quindici giorni e sono diventati più di vent’anni. (…)

.¿Quiere usted Mate? Recibí el vaso y chupé la caliente bebida.
…..Tirado en la hierba virgen, de cara a las extrañas constelaciones yo me iba abandonando entero a los misteriosos juegos de sus arabescos, acunado deliciosamente por los ruidos atenuados del vivac. Mis pensamientos fluctuaban: se subseguían mis recuerdos: que deliciosamente parecían sumergirse para reaparecer a ratos lúcidamente trashumantes en la distancia, como por un eco profundo y misterioso, dentro de la infinita majestad de la naturaleza. (…)
(Pampa, de Dino Campana Suramericano-Cantos Órficos, Abisinia Editorial, 2022. Traduzione di Antonio Nazzaro)

Antonio Nazzaro

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Una vita in scrittura: Lucetta Frisa

21 mercoledì Set 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Lucetta Frisa, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto da Antonella Pizzo a Lucetta Frisa che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite, Lucetta e grazie altrettante ad Antonella Pizzo

La vita in scrittura

Sans passion il n’y a pas d’art – ha scritto Henri Matisse. La poesia è libertà dello spirito, l’unica libertà che ci resta in condizioni di prigionia, fisica o morale. Forse la poesia mette radici e ali proprio in questa condizione. Un esempio per tutti: Osip Mandel’stam che, esiliato, scrive i suoi Quaderni da Voronez. La poesia è un lavoro duro e ostinato perché la parola poetica voli oltre ogni tipo di sbarre. Ogni esercizio poetico, fin dall’adolescenza, corrisponde specularmente a un esercizio di conoscenza, di approfondimento della realtà, di conquista di un’altra vista. Una sorta di veggenza, simile a quella del mistico. Si può essere mistici religiosi come mistici laici, anche atei, e cercare comunque conoscenza, vivere “in stato di poesia”. Scrive il poeta catalano Gabriel Ferrater: “scriviamo poesia per il desiderio di vedere fin dove possiamo elevare l’energia emotiva della lingua.”

Fin dall’inizio la poesia era, per me, un “qualcosa” fatto di parole che nasconde un messaggio misterioso e desta uno stato di allarme,  di stupore. Il suo ruolo è quello di mantenere viva e accesa la ribellione allo status quo, la resistenza alla superficialità dilagante, nella lingua come nel pensiero come nel modo di porsi nella vita e nella società. La poesia contiene in sé, come osserva Novalis, tutta la realtà nella sua interezza simultanea e contraddittoria. E arriva da un’emozione, di qualunque natura essa sia: certe emozioni non colpiscono solo il cuore ma la mente. Può essere la parola letta e ascoltata, un concetto filosofico, un’immagine quotidiana o imprevista, un’immagine d’arte o della natura. Dall’esterno penetra – a nostra insaputa – nella nostra interiorità, che la rielabora e traduce in parola. Tutto può diventare poesia. Siamo noi gli alchimisti, noi i ribelli controcorrente, noi che dobbiamo preservarne lo spirito dalle aggressioni che continuamente la minacciano. Per me un punto di partenza dello scrivere versi è una  malinconia accidiosa, mista fra pensiero nomade e magico stupore, che crea dentro di me uno stato di malessere, di torpore, dal quale mi devo liberare scrivendo. Ed è il ritmo, naturalmente, la struttura vertebrale di una poesia, la caratteristica principale che la distingue dalla prosa, oltre che l’impasto sonoro, timbrico, di cui era maestro insuperabile Gerard Manley Hopkins,  Hopkins diceva che la sua metrica si adattava strettamente al suo tempo emotivo. Da parte mia, concepisco la poesia come uno spartito musicale. In poesia non c’è una qualità separata dalle altre. Tutte dovrebbero coesistere (parlo al condizionale, che è la forma verbale del desiderio): il senso del mistero, la sua intensità, la visionarietà, l’asciuttezza. E naturalmente, il ritmo, che è la mia ossessione principale. Dopo averla letta o scritta, la poesia deve lasciarmi lì, con le orecchie che ronzano, e la sensazione di avere capito poco ma di essere turbata da quanto non ho capito: Quell’istante, rigoroso e vertiginoso, è la mia esperienza poetica.

È dal buio che scrivo.

Le parole ad una ad una escono alla luce, prendono un corpo,

sfavillano. Legano te a me.

Se le cancello

rientriamo nel buio.

Ma il ponte crollato

non esiste più.

Ne rifaremo un altro, dicono.

Comporre un verso o un ponte

è strutturare

la vibrazione di una colonna vertebrale

sognare

ancora un nesso

perché le parole con le macerie non restino

inerti strumenti sul fondo.

Ciò che è compiuto appartiene subito al regno dei morti.

Solo quello che è ancora da fare è eterno.

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Una vita in scrittura: Marco Ercolani

14 mercoledì Set 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Marco Ercolani, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto da Antonella Pizzo a Marco Ercolani che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite, Marco e grazie altrettante ad Antonella Pizzo

Autointervista (2022)

Mi chiedi quale sarebbe il mio compito. Il mio compito è guarire la mente inguaribile: una fatica senza senso, come per ogni psichiatra. Per questo scrivo, irrefrenabilmente: almeno le parole non fuggono e possono, se non guarire, accompagnare e consolare, come quando leggiamo i versi di Alcmane che rimpiangono la luce del giorno.
Non ho mai avuto intenzione di scrivere nessun libro, almeno non nella forma in cui sono scaturiti. I miei sono sogni in presenza della ragione, temporali che prevedono un sole che soltanto in un secondo tempo illuminerà il paesaggio. Sono proprio vertigini. Chi è in grado di prevedere quale sarà la vertigine successiva? Smarrimenti, lipotimie, assenze: non c’è nulla da fare, sono imprevedibili. Devo fermarmi, sedermi, vivere la mia ansia. Quando ritroverò un momento di quiete riprenderò in mano la materia, la dipanerò, troverò le giuste parole. Io non trascrivo solo sogni ma anche idee sconfinate, orgogliose, illimitate. All’inizio, quello che conta è esserne invaso e non sapere dove si andrà, come manovrare una nave senza timone e non farsi prendere dal panico.
Camminando a piedi spesso mi perdo. Ma alla fine un qualche luogo mi accoglie sempre, nella superficie della terra come nelle pagine dei libri, e torno a essere chi trova storie antiche, di pittori, falsari, suicidi, superstiti, ossessi, vittime, assassini, persi in qualche nebbia lontana, e quelle storie le svolgo con calma nel foglio. Ripeto: con calma. C’è bisogno di affrettarsi quando si va cercando la verità vissuta dai morti? Ho bisogno di tempo perché tutto il dolore di cui parlerò non si risolva nel lampo precario di una poesia ma si sviluppi come una progressiva, inarrestabile, sconfinata marea. Io ho voluto descrivere spesso i dettagli di stermini e di soprusi perché l’uniforme silenzio della storia, scritta sempre e soltanto dai vincitori, non riducesse migliaia di dolori reali a miseri resoconti anonimi, destinati a essere ammassati in biblioteche deserte o centrifugati nel vortice di pale di una trituratrice ecologica in qualche fatiscente quartiere della periferia di una città abbandonata. Un film inglese che mi commosse, quando avevo forse 40 anni, fu Voci sempre vicine, voci sempre lontane, di Terence Davies, che del pulviscolo nebbioso dei ricordi faceva la colonna sonora portante della storia. L’empatia con il dolore umano, se non esiste, è una mancanza irrecuperabile, come la mutilazione di un arto. Ma, se esiste troppo, è un veleno che paralizza e sprofonda nell’impotenza per ogni dolore che non riusciamo ad alleviare. Qui si gioca la differenza. Un medico pervaso dal dolore non è forse il primo dei suoi pazienti?

**

Grazie della tua domanda: ti risponderò che amo più il vento della terra. Io sono un uomo metodico, dovrei sapere cosa mi accadrà domani ma invece… So il vento che mi aspetta mentre scriverò ma non so cosa scriverò. I miei non sono romanzi, saggi, aforismi, poesie, ma divagazioni sulla memoria; la memoria la trovo e la perdo giorno dopo giorno; magari scriverò un diario per annotare ciò che la mente continua a dimenticare e di cui dimenticherò progressivamente tutte le pagine, lo scriverò solo per il lettore e non lo leggerò mai. Arrivato in fondo all’ultima pagina lo firmerò col mio nome e in pochi secondi lo scorderò come tutte le altre cose che ho appena scritto ma sempre provando un brivido di gioia, sempre iniziando. Ci sono porte rese invisibili dalla luce del tramonto; ci sono tramonti, da qualche parte del mondo, di cui non riesci neppure ad immaginare la luce.
Trasformare la paura. Munire la notte, come scriveva Paul Celan. Munire di armi lei, indifesa. Ecco il progetto di ogni scrittore: ricordare, creare. I ricordi non appartengono solo alla memoria: ti nascono dentro per una frenesia altra, per speranza, utopia, amore, perché ci smascheriamo leggendo. Viviamo liberi quando leggiamo, ipnotizzati dalla scrittura. In fondo a ogni libro letto c’è la libertà, il desiderio di rompere la rete, di essere qualcosa di non pensato, di alieno, sospesi fra autore e paesaggio, fra attore e regista, dentro e davanti alle quinte. La vertigine della scrittura è scommessa contro le tenebre, nostalgia di cose che non sono mai state dette, desiderio che siano dette e scritte ora, inventando un passato gravido di futuro. Ogni passato è futuro. Ogni forma genera il suo opposto/ con un soprassalto, ne è traversata in un senso e nell’altro, si rispecchia ovunque. Nulla, più delle rifrazioni dello specchio, rimanda al mistero della soglia, alle ragioni della notte. Se mi chiamassero per una conferenza, so già su quale tema parlerei: farei lezioni di vento. I tessuti della memoria, la rete neurale, sono l’aria che connette i nostri corpi; tutto si prosciugherebbe se lei ci mancasse, se non leggessimo o scrivessimo, se non mettessimo aria fra le pagine. Le risposte vengono dall’aria, come tutte le domande, oppure avremmo a che fare con sassi aridi, circondati da alberi morti.

**

Quale sarebbe il mio ruolo? Non sono un uomo che serva a qualcosa. Di certi esseri umani si dice che siano come buche d’acido nella vita sociale addomesticata: li si evita, come si evitano gli artisti, i delinquenti, gli schizofrenici. Forse io sono uno di quelli.
Tu sai quale analogia lega la sindrome di Stendhal – lo smarrimento che un’opera d’arte di eccezionale intensità genera, in determinate condizioni emotive, in un soggetto ricettivo – e certe esperienze estreme di detenuti richiusi in celle d’isolamento e indotti, dalla deprivazione sensoriale, a vivere fenomeni allucinatori? L’analogia è sentirsi prigionieri. Come i personaggi dei miei racconti, io ho orrore della prigionia e mi smarrisco nella libertà. Così continuo, ossessivamente, a rappresentare l’atto del mio liberarmi, indugiando sui dettagli, rallentando il tempo, non permettendomi di tornare all’orrore precedente e non affrontando lo smarrimento futuro. Sono costretto alla solitudine e all’ascesi da una spaventosa chiaroveggenza. So tante, tantissime cose, ma non ho davvero nulla da dire. L’abisso è senza alcuna forma e nessun occhio può afferrare ciò che rappresenta.
Ma una via c’è: non essere mai in un solo luogo. Camminare dentro e fuori di te. Chiunque cammini non vede sempre la stessa parete. Chi vede sempre la stessa parete diventa carnefice o pazzo. Essere nomadi, o fingere di esserlo nei propri scritti non significa abitare nelle tende del deserto: significa vivere essendo pronti a lasciare tutto, in luoghi diversi della mente e del mondo. Avere un cuore che pulsa oltre i recinti della notte e scrivere di chissà cosa. Non chiedermi mai quali libri io abbia scritto: non ne ricordo un titolo.

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Una vita in scrittura: Maria Grazia Calandrone

07 mercoledì Set 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Maria Grazia Calandrone, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto da Antonella Pizzo a Maria Grazia Calandrone che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite, Maria Grazia e grazie altrettante ad Antonella Pizzo

da Giardino della gioia, Mondadori 2019

Intelletto d’amore

La poesia è anarchica, risponde a leggi solo proprie, non può e non deve piegarsi a nient’altro
che a se stessa.
La sua legge interiore è ritmo, musica assoluta.
Questo spiega la commozione che proviamo nell’ascoltare letture di poesia in lingue a noi sconosciute.
Abbiamo l’impressione di comprendere
anche se non capiamo le parole,
perché le nostre molecole consuonano con la musica profonda della poesia,
che è la stessa in ogni lingua: un ultrasuono, un rumore bianco.
Una lingua invisibile, un ronzio nucleare
traducibile per approssimazione,
una sonorità che entra in risonanza con la parte più estranea e profonda delle nostre molecole

e col rombo primario della materia

che compone la sedia

sulla quale sediamo.

Come certa musica – penso al Chiaro di luna di Ludwig van Beethoven – è un linguaggio
letteralmente universale:
i poeti lo scrivono da sempre, ma le recenti scoperte astrofisiche lo confermano
con rigore scientifico, non più solo intuitivo: il nucleo più profondo di noi
è composto della stessa materia delle stelle.
Parole di Margherita Hack: «Tutta la materia di cui siamo fatti l’hanno costruita le stelle. Tutti gli elementi, dall’idrogeno all’uranio, sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernovae, stelle molto più grandi del Sole, che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio
il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno».
Dalle scoperte ultimissime sappiamo ancora che
metà degli atomi che formano i nostri corpi è materia prodotta fuori dalla Via Lattea, viene da una distanza

che non si può
commensurare.
La vibrazione delle nostre molecole entra in risonanza materiale con la vibrazione dell’universo,
fin dentro l’universo sconosciuto. QQQuesta forza
«che move il sole e l’altre stelle»
è quella che Dante chiama «amore».
La poesia intercetta il corale profondo e ininterrotto di questa forza, intona la sua voce
al rombo delle stelle extragalattiche

e al rombo primario della materia

che compone la sedia

sulla quale sediamo.
È un oggetto fatto di parole
sempre d’amore.
E basta.

Risposta per Arturo

Se anche mio figlio, ieri, col libro di grammatica

greca aperto sul tavolo, sorridendo confuso tra il desiderio

di non dispiacermi e il pragma

della cosidetta realtà, chiede: “A che serve?”

io dico a voi, ragazzi: la bellezza

è gratuità del gesto,

come quando vi amate,

è il momento preciso in cui un essere umano

si stacca da terra,

s’inginocchia e disegna

un toro

sulla parete

della sua grotta,

a Lascaux. Così,

senza motivo.

O ha scoperto il modo

per non essere solo

– e ha scoperto il modo

per non morire.

Roma, 6 marzo 2018

Come si dice amore nella tua lingua

  «Le lingue non hanno confini, i confini sono solo politici» «Esiste una lingua invisibile alla quale attingiamo tutti» «Ogni scrittura è traduzione di un mondo» «Io attraverso le lingue che conosco in cerca della lingua universale». Questa è la vera avanguardia, la vera

profezia per il futuro della specie.

Fekrì, hubùn, dashùri

sirèl, bhālabāsā, agàpi

uthàndo, ài, jeclahày

süyüü, obichàm, aròha

lyubòv’, hkyithkyinnmayttàr

khairtài, cariàd, upéndo

amour, is bràe, snēhàṁ

maxabbàt, szerelém, rudo,

ādaràya, fitiavàna

liebe, evîn, miq’vàrs.

Continuate in settenari chiari

con questi suoni, nuovi come il mondo

che dicono da prati

e da foreste, igloo, capanne

e palafitte, grattacieli e canoe: io, questo niente

caduto nel sogno della materia, avrò cura di te

fino alla fine del mondo.

Roma, 9 febbraio 2019


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Una vita in scrittura: Letizia Dimartino

15 mercoledì Giu 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Letizia Dimartino, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto Letizia Di Martino che l’ha interpretato come segue

Grazie infinite, Letizia.

Un giorno dell’81 dissi che il mio vero desiderio era avere talento letterario. Ero in auto e il mio futuro marito mi ascoltava. Eravamo sotto i balconi barocchi della nostra città, decorati con maschere e facce a volte irriverenti. Era un pomeriggio sereno. E io ero battagliera. Ma sapevo anche che non avrei raggiunto niente. Che si trattava di un pensiero inutile. Poi tramontò sui palazzi grigi, in fondo alla via in salita. E mi scordai. O forse no

Ed è in una notte di insonnia che scrivo. La prima poesia della mia vita. Con lo strazio necessario. Il mattino dopo continuo. Fogli a quadretti, grandi. Un bloc notes antico, le mie parole. Sono un’altra. Il flusso, i versi che diventano facili. Una stagione di scrittura. Un libro. Lo faccio leggere, non so cosa mi sia accaduto. Stiamo insieme, io e mio marito, lungo una strada di campagna in una domenica mattina. Il mio libro accettato, le promesse. Si apre qualcosa. Margherite di campo, cani che abbaiano, il silenzio della campagna, la città vicina con le sue case grigie, la pietra opaca, il cielo basso sui tetti scuri. Torniamo senza parlarci. Cosa, cosa sta succedendomi? L’anno 2000 e la sofferenza tutta. Questo io conosco. Ho lunghi capelli biondi. Non li tingerò più, il bianco si insinua piano piano. Io sono questa, mi dico. Ormai il tempo dovrà vedersi nel mio corpo. Che parla quanto il mio libro troppo addolorato. Sarà il primo. Poi verrà tanto altro e sarò. Sarò.

La poesia mi abitò a lungo. Nei giorni difficili e in quelli felici. Nelle mattine piene, in mezzo ai miei genitori vivi e poi malati, con i figli vicini e presenti, con gli amici che mi seguirono, con le sere chiuse e spente, con le ore agitate. Con la bellezza e l’età che mi cambiava. È stata una scoperta, una svolta, una sorpresa, una necessità, una costanza, uno stupore. E poi l’ultimo libro a chiudere un ventennio: Stanze con case. Credevo potessi ricominciare a scriverla. Mi sono sbagliata. Ora sono questa. E anche quella. Non so

Ho avuto un ventennio inusuale, stando come sollevata da terra, trovando conforto, conoscendo poeti che mi hanno formata e portata là dove non avrei immaginato. Posso adesso ben dire che esiste un prima e un dopo la poesia. Ma forse in quel prima, quando cioè essa ancora sembrava non esserci, io l’ho sempre scritta senza accorgermene. Ecco, questo io voglio pensare adesso: che ho sempre scritto.
Il dono è stato l’aver scoperto che potevo scrivere e che di ciò potevo esistere

La poesia risale appunto ad un periodo fatto ancora di brevi uscite mie, una parvenza di vita semi normale, il ritrovarmi con la folla in un centro commerciale, nella sua solitudine. Però avevo il sentire della mia vita che finiva piano piano, la necessità del tornare in casa per il dolore fisico incombente e qui trovare come una “perdizione”. La constatazione che il fuori inconcludente e vacuo aveva nella sicurezza delle stanze lo stesso senso di fine. Attimi di sgomento e di rassegnazione che ho dovuto alimentare poi sempre per sopravvivere. Negli ultimi verso parlo di una voce però, come ultima salvezza. E ad oggi posso dire che di queste voci ne ho ascoltate tante ma che le ho tutte perdute. Anche se esse vogliono resistere nel tempo. È stato, il tutto, molto crudele

Io ho ferite importanti, metaforiche e non, e scrivere è stato terapeutico di sicuro. Anche il piacere di lasciare qualcosa con le parole. Quel qualcosa che ha a che vedere col corpo che soffre. Ma ho anche saputo sorridere scrivendo. L’ho fatto più volte, chiusa in questa casa, in queste stanze

Il vivere proustiano nella stanza, il letto che attira e che comanda. Non uso più una biro, la matita solo per la lista della spesa, e poi mi resta ancora la capacità di pigiare sulla tastiera dell’iPad. Mai più ad un pc mai ad un tavolo mai su un foglio o quaderno. Ma mi resta lo scrivere. È inevitabile pensare a ciò che si è stati, al “fummo” siciliano. Ma anche questo vivere può essere bello, non fosse che ho una paura immensa di invecchiare. E invecchiare con questa malattia che di anno in anno sottrae qualcosa, a volte anche di mese in mese. E allora la vecchiaia diventa spettro ed è inutile farsi coraggio, perché so già cosa avverrà. Vorrei essere una attrice cui si fa una intervista, che dice di non temere niente, non certo di invecchiare, e intanto gli specchi nelle stanze sono coperti da lenzuola. Invecchiare scrivendo in eterno. Ho amato certi scrittori con la forza della gioventù, come è successo a tanti, nei giorni in cui leggevo attorcigliando le mie gambe su una poltrona bassa di velluto gialla come il whisky. E fuori era sempre un primo pomeriggio… e lo fu a lungo

Scrivo serenamente senza essere presa dal così detto sacro fuoco, ma come necessità intrinseca, come vitalità interiore, come naturalità. Io e le parole. Io e i ricordi. Lo faccio senza troppa concentrazione intorno, fra i fatti del giorno, con le incombenze di chi si occupa di me, con le persone che si affacciano nella vita mia intensa.
Scrivo serenamente senza essere presa dal così detto sacro fuoco, ma come necessità intrinseca, come vitalità interiore, come naturalità. Io e le parole. Io e i ricordi. Lo faccio senza troppa concentrazione intorno, fra i fatti del giorno, con le incombenze di chi si occupa di me, con le persone che si affacciano nella vita mia intensa. E niente ricorreggo. Vale sempre la prima stesura. L’istinto che vince su tutto. La verità che emerge, il passato che mai può finire.
Ho scritto in prosa della mia vita di bambina, fra le stanze e gli oggetti. Il cibo e le preghiere incessanti. I genitori e i parenti. Il fuori e il dentro. La paura della fanciullezza e le case che mi attorniavano. L’amore per la madre, il padre infelice. I loro profumi, i loro corpi. Il cibo e i vestiti. Tre città desiderate. In un tam tam agitato, fra sogni notturni e giornate straziate. Io che crescevo. Io in tutto. Nel flusso che travolge la parola e si discosta dalla liricità. Ma diventa movimento di pensiero, trasformando le angosce di bambina per giungere ad un oggi diverso fatto di natura e di sereno immaginare, cercando di dare suggestioni, atmosfere, misteri percepiti con l’acutezza della sensibilità infantile. C’è un luogo comune secondo il quale l’autore è la persona meno adatta a comprendere il proprio libro. Questo probabilmente vale per gli scrittori di libri comunemente comprensibili, cioè pieni di significato. Io ho un cuore purtroppo non pacificato, perché la malattia cronica mi impone domande e mai risposte. Cerco di vivere non alla giornata, e dispongo desideri di scrittura dentro, in quel dentro che mi aiuta e mi segue. Paga di almeno questo. Ho il cuore di chi è finalmente certo di avere un dono vero. E qui ritorno allo stupore di cui ho detto all’inizio. Sono io, e io ho questo cuore. Per me e per gli altri che vogliono leggermi. Sì, il cuore. Che vince su tutto, finché potrò aprirlo con generosità di scrittura, con una mano che potrà ancora digitare, nel dolore. Perché ho anche il cuore del dolore. Quello che mi fa dire. Che mi unisce a tanti. E che unisce i tanti a me. Lo scambio del cuore. E la memoria che resiste e si fa grande

Letizia Dimartino

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Una vita in scrittura: Antonio Fiori

08 mercoledì Giu 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonio Fiori, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto ad Antonio Fiori che l’ha interpretato come segue

Grazie infinite, Antonio.

Antonio Fiori, vita e scrittura

La mia vita in scrittura, lo posso oggi affermare con certezza, nasce da traumi profondi che m’hanno sconvolto nei primi anni novanta. L’ultimo di essi, particolarmente subdolo e indecifrabile, era rintanato nell’inconscio dai primi mesi del novantatrè (lo capirò solo alcuni anni dopo): si trattò di una vera e propria mutazione genetica di ruolo lavorativo, intervenuta quando, pur tenuto ad applicare le stesse leggi, passai dalla funzione di controllore a quella di controllato, ovvero da funzionario ministeriale a responsabile fiscale di una società finanziaria. L’organismo reagì chiedendo disperatamente un aiuto, che però non sapevo come dargli. Seguirono due anni durissimi, finché un giorno, passando davanti a un’edicola, scoprii il farmaco di cui avevo bisogno: vidi infatti (o è il caso di dire – mi apparve?) il mensile Poesia, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. Avevo insomma scoperto che per guarire dovevo incontrare la poesia. Grazie al nuovo nutrimento, iniziai ad elaborare il trauma e verso la fine degli anni novanta mi ritrovai a scrivere anche i miei
primi versi. Devo però subito dire che senza l’incontro del 1996 con Angelo Mundula, poeta e critico eccelso, la poesia sarebbe rimasta solo una lettura terapeutica e non avrebbe avuto il coraggio di assumere forma scritta. Quella scrittura divenne invece, pian piano, la mia ‘dose’ quotidiana (intitolai proprio ‘La quotidiana dose’, una delle prime raccolte, edita da Lietocolle nel 2006).
Come accennavo, devo molto ai consigli e all’amicizia di Angelo Mundula, ma devo anche riconoscenza ai primi blog letterari in cui fui ospite o redattore: Via delle belle donne (fondato da Antonella Pizzo), Oboe sommerso (di Roberto Ceccarini), La poesia e lo spirito (fondato da Fabrizio Centofanti), luoghi di confronto culturale e occasioni per sperimentare le prime forme di recensione. In quel periodo, un riconoscimento importante arrivò nel 2004, con il Premio Montale Europa per la silloge inedita.
L’esperienza più significativa della mia scrittura è però abbastanza recente: nel 2019, a estate ormai iniziata, venne rimandato a settembre un appuntamento importante e mi ritrovai inaspettatamente ‘libero’ per un paio di mesi. Decisi allora di cimentarmi in un lavoro borgesiano, ovvero quello di ideare e antologizzare dodici poeti uniti solo da un sogno. Nacquero allora cinque donne e sette uomini, vissuti in epoche e nazioni diverse, che non potevano certo immaginare di aver fatto tutti il medesimo misterioso sogno (qualcuno appariva al sognatore e si rivolgeva a lui in una lingua non solo incomprensibile ma addirittura inesistente). Scrissi così i loro profili biografici e le relative poesie. È stata un’esperienza metaletteraria davvero unica, emozionante e irripetibile, chiusa da una postfazione che si è poi rivelata fondamentale. Il libro, col titolo ‘I Poeti del sogno Piccola antologia’, è uscito nel 2020 per l’editore Inschibboleth, nella collana ‘Margini’ diretta da Filippo La Porta, ed ha avuto un discreto successo di critica e di pubblico (recensito da Mario Baudino su La Stampa, Massimo Onofri su Avvenire, Silvia Rosa su Il manifesto, Giorgio Linguaglossa su Il Mangiaparole, Riccardo Deiana su L’Indice dei libri del mese) nell’ottobre del 2020 il libro è stato votato nella ‘Classifica di qualità’ dell’Indiscreto e nel2022 è stato uno dei dodici libri di letteratura italiana contemporanea scelti per l’annuale seminario di approfondimento della cattedra di Letteratura italiana dell’Università di Liegi, diretta da Prof. Luciano Curreri.
Per me la poesia è in realtà diventata sempre più l’occasione per incontrare persone vere, poeti – innanzitutto – ma anche lettori e scrittori tutt’altro che immaginari. Sono stato per dodici anni giurato del Premio Internazionale Città di Sassari ed ora, finalmente libero dal lavoro, collaboro con le riviste on line Atelier poesia e Avamposto poesia, oltre che col quadrimestrale Menabò (Terra d’ulivi editore), luoghi stimolanti, dove ho fatto grandi amicizie e conosciuto tante voci nuove della nostra poesia.

Autointervista di Antonio Fiori su vita e scrittura

Che rapporti ci sono (o ci dovrebbero essere) tra la vita dell’autore e la sua poesia?

La poesia è – e se non è deve essere – parte integrante della vita di chi scrive. La vita insomma deve entrare nella scrittura e la scrittura nella vita. Angelo Mundula, a questo proposito, parlava anzi di necessaria coerenza tra vita e poesia – una fatica titanica, a ben pensarci, la coerenza valoriale di vita e poesia, raggiunta solo da pochi eroici poeti.

Per ogni poeta esiste una e una sola forma di poesia a lui confacente?

La storia della letteratura ci insegna che pagina poetica e pagina narrativa evolvono, quasi sempre, verso un consolidamento, una ‘cifra’ in cui alla fine l’autore si riconosce e, sopratutto, in cui lo riconosce il lettore. Nello stesso poeta possono però convivere – e forse è auspicabile convivano – temi e forme diversi di poesia, seppure a latere di questa ‘cifra’: la poesia civile e quella religiosa, l’epigramma e la prosa poetica, i temi filosofici e la storia familiare, la forma di preghiera e l’invettiva. Sempre che abbiano un senso, una loro verità – anche parziale e momentanea – che le renda capaci di superare il momento contingente di quando furono scritte. Personalmente mi muovo volentieri su una certa varietà di temi (religiosi, filosofici o addirittura esplicitamente scientifici) e di toni (lavorando per esempio sull’ironia); devo però dire che l’uso del verso libero e una certa
epigrammaticità sono ormai una costanza.

A proposito di poesie che devono reggere il tempo, possiamo avere due esempi autoriali, personali?

Dovendo scegliere una poesia degli esordi, che mi sia cara ma abbia anche dignitosamente retto nel tempo, scelgo Apocalisse (da ‘Almeno ogni tanto’, 1998, poi ripubblicata ne ‘La quotidiana dose’, Lietocolle, 2006):

Quando s’adempirà la profezia
e scopriremo l’alba ultima del mondo,
non cesserà quel giorno di profumar la rosa
e non diversamente assumerà la posa
sul ramo della quercia, il corvo.

Dovendo invece scegliere tra le ultime poesie, propongo questa, senza titolo e ancora inedita:

Un desiderio stanco di sentenza
non umana, che dica su ogni vita
ciò ch’è stata e il suo destino eterno
– prego l’assolva, per l’innocenza
del bambino che un giorno siamo stati
e si sia salvi tutti nell’infanzia lontana.

E per concludere, con l’amore in poesia come ce la caviamo?

Propongo Rivederti, da ‘Nel verso ancora da scrivere’, Manni, 2018:

È sempre un’emozione rivederti
perché in te si confondono le amate
– sei unica e plurale, per questo
sei la prima donna singolare.
E meno posso averti, meno speranze
raccolgo ogni mattina, più vederti
è vampa che incendia questo sangue
– luce che illumina le stanze.

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Una vita in scrittura: Anna Maria Bonfiglio

01 mercoledì Giu 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Anna Maria Bonfiglio, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto Anna Maria Bonfiglio che l’ha interpretato come segue

Grazie infinite, Anna Maria.

La scrittura è sangue che mi scorre nelle vene. Scrivere e leggere, leggere e scrivere sono stati i miei comandamenti ab ovo, e tuttavia più leggo e più scrivo, da cinquant’anni, più mi accorgo di essere una piccola cosa insignificante nella vastità di un mondo abitato da ben altre personalità. Ho iniziato dal basso, da carta e penna, per passare poi a carta e Olivetti Lettera 24 e infine a carta e pc. Il primo racconto che inviai ad una rivista era scritto a mano e naturalmente venne ignorato. Ero naive, sprovveduta e ingenua, ma continuavo a scrivere: poesie, pensieri, sfoghi, racconti, fino a quando nel 1978 vide la luce il mio primo libretto di poesie giovanili, ingenue, certo, ma molto vissute. Se c’è qualcosa che si ricorda più del primo amore è sicuramente il primo libro. Di questa emozione non posso e non voglio dimenticarmi mai. Poi vennero altri libri, e non solo di poesia, e pure una collaborazione giornalistica con novelle. Enumerare le pubblicazioni, i premi e i vari riconoscimenti non serve a nessuno, sono state solo tappe del mio percorso e presa di coscienza dell’importanza e della responsabilità che avevo, e ancora mi sento, nei confronti di una disciplina che si rivolge al pubblico dei lettori. E perciò considerai che avevo, e ho, il dovere di approfondire il mio studio con letture sempre più propedeutiche ad un possibile miglioramento.
Fra la fine degli anni settanta e gli inizi degli ottanta cominciai ad interessarmi alle attività culturali che avevano luogo a Palermo, dove vivevo e vivo, che era in quegli anni una città ricca di fermenti, dove fiorivano le associazioni e gli artisti, poeti, scrittori, pittori, musicisti, che si riunivano per leggere, ascoltare, esporre, suonare. All’interno di queste associazioni con il tempo ho ricoperto vari ruoli: nei consigli direttivi, nella stesura dei programmi culturali, nella conduzione di incontri e recital, nelle performances personali, nell’istruire a Palermo uno dei primi laboratori, se non il primo, di scrittura creativa. La scrittura, e la poesia in particolare, sono state per me la libertà e la possibilità di dialogare con interlocutori ignoti. Attraverso la poesia ho cercato il senso del mio vivere, ho provato ad arrestare il flusso migratorio delle emozioni vissute, ho tentato di vincere il vandalismo e le piraterie di cui l’essere umano è spesso vittima. Ma nel momento in cui ho deciso di renderla pubblica, la mia poesia mi è appartenuta solo in parte, perché il silenzio di cui si era nutrita si era fatto voce che chiedeva di essere ascoltata e dunque atto sociale e, se vogliamo, anche dono di sé. Andando avanti si spogliava del tono malinconico e solipsistico, dismetteva il suo abito in qualche modo autoreferenziale per cercare di avvicinarsi all’astrazione del simbolo universale in cui ciascuno potesse ritrovarsi, perché “il canto del poeta non appartiene a nessuno ma ciascuno può farlo suo”.

Anna Maria Bonfiglio

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Una vita in scrittura: Remo Bassini

25 mercoledì Mag 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Remo Bassini, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto a Remo Bassini che l’ha interpretato come segue

Grazie infinite, Remo.

Io non ho certezze sulla scrittura in generale. Sulla mia sì.
È figlia della mia timidezza, della mia eccessiva sensibilità, dei miei fantasmi. Ovvio: per essere un bravo scrittore occorre anche altro. Anni fa, in un’intervista, mi chiesero: Dove nasce il talento di Remo Bassini? Io risposi: “Mi sono interrogato spesso sul talento. Dante ne aveva e anche Simenon. Ma prendiamo Primo Levi, Se questo è un uomo. Un grande libro, di un talento che, penso, nacque grazie – o a causa – della prigionia in un campo di sterminio. Dove la vita e la morte e la natura umana vengono viste e vissute con occhi diversi. Ecco, io credo d’aver vissuto dei miei piccoli campi di sterminio. E penso che un giorno imprecisato sono riuscito a raccontarli. Il mio talento, se talento è, nasce dalla mie tempeste.”
Allora, ho sessantacinque anni e la prima tempesta che rammento arrivò quando di anni ne avevo sei. Morì un fratellino più piccolo. Si chiamava Fabrizio. Mia madre fu spezzata in due e dopo il funerale divenne una madre sconsolata, propensa al pianto. Io avevo un problema: ero troppo discolo, troppo disordinato, e a scuola non andavo bene. Insomma, facevo disperare una donna con i nervi a pezzi. C’era anche mio padre, ma tra fabbrica e orto e lavoretti vari c’era poco.
Forse fu per questo che per vivere e sopravvivere alle sgridate e alla depressione di mamma, cominciai a inventare e raccontarmi storie e personaggi, che mi facessero compagnia. Eravamo poveri, non avevamo la televisione. Ma io ai miei compagni di scuola dicevo di avere visto tanti film: così raccontavo loro le mie storie, i miei personaggi. Mi piaceva che mi ascoltassero.
Non so quando, ma so che da ragazzo, tra un libro di Salgari e uno di Verne, cominciai a dire che da grande avrei scritto un libro.
L’abitudine a scrivere nella mia testa è rimasta: i miei ultimi libri li ho scritti prima passeggiando con il cane e poi davanti al computer.
Ma arrivare alla scrittura, a un romanzo fatto e finito e da proporre a un editore, comunque, non è stato facile.
Per anni e anni ho scritto cose (poesie, copioni teatrali, primi capitoli di romanzi) senza mai ultimarle. Quando rileggevo mi bocciavo: non mi convinceva quanto avevo scritto.
A 35 anni, dopo la laurea in lettere (ho studiato lavorando, 7 anni in fabbrica, poi 3 anni come portiere di notte in un albergo) venni assunto dal giornale storico della mia città (La Sesia, fondato a Vercelli nel 1871); diventai anche bravino (diventerò direttore, anni dopo) però mi portavo dentro un dispiacere. Grande. Non ero riuscito a scrivere almeno un libro. Pensavo ormai di non esserne capace. Fine di un sogno.
Una sera, però accadde qualcosa di diverso. Lo racconto spesso questo episodio, lo racconto soprattutto nei corsi di scrittura che tengo.
Una sera, dicevo. Ho mal di denti, così non esco, non leggo, non guardo la televisione. Ma mi siedo su uno sdraio con un block notes. Mi dico: “Hai 38 anni e ti sei arreso. Non scriverai nessun libro, tu.”
Guardo il block notes. “Inutile che scrivi qualcosa – dico ancora tra me e me – tanto poi, se metti giù qualcosa, quando rileggerai, butterai via tutto.”
Ero quasi sul punto di non scrivere niente, di alzarmi, di fare altro. Arrivò l’illuminazione: sì, illuminazione è il termine giusto. Una lampadina. Dico ancora qualcosa a me stesso. Qualcosa che non avevo mai detto e che non avevo mai pensato. Mi dico: “Raccontami una storia”.
Iniziai a scrivere. Questo:
“Sa di antico il mio piccolo bar, è sotto i vecchi portici, nel cuore di questo paese, proprio vicino alla grande piazza dove si svolgono i comizi, si va al mercato oppure in Municipio, dove gli operai salgono sull’autobus che li porta nella zona industriale e dove la domenica la gente prima va a sentir messa nella maestosa chiesa di Santa Flavia e poi va a comprare i dolci della pasticceria Delrosso.”
Cosa c’era di nuovo in queste righe? Tutto. Di che bar stavo scrivendo? Di che luogo stavo parlando? Più andavo avanti e più mi addentravo in qualcosa che non avevo mai visto. In quelle righe non c’era né Vercelli, la città in cui sono cresciuto e in cui vivo, né Cortona, il mio paese, in Toscana, dove spesso torno.
Forse (dico forse, ma non lo so) ero tornato il bambino che inventava storie per sopravvivere al dolore della propria madre…
Sta di fatto che finalmente, quella sera, ero riuscito, dopo anni, a scrivere qualcosa di decente. Diventerà il mio primo libro.
Non solo. Mi avevano insegnato un segreto quelle prime righe: che quando scriviamo dobbiamo sorprenderci. La nostra testa – gli psicanalisti lo sanno bene – sa più cose di quelle che crediamo di sapere.
Ho pubblicato quattordici libri e ho anche ricevuto un paio di riconoscimenti importanti, ma per scrivere non basta aver sofferto, non basta avere la vita complicata da un eccesso di sensibilità. Né bastano gli argomenti che in genere tratto io: i ricordi, il senso di colpa, gli amori impossibili, i grandi rimpianti, i sogni, la rabbia anche. E le storie delle persone fragili e sensibili, nelle quali, almeno un po’, mi specchio.
Non bastano perché la scrittura richiede dedizione, applicazione, sudore. Senza, non si va da nessuna parte. Ce lo insegna Fenoglio, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento: “La mia miglior pagina se ne esce spensierata dopo decine e decine di penosi rifacimenti”.
E la dedizione, all’atto pratico, si traduce nel binomio leggere e scrivere. Quanto leggere e quanto scrivere? La risposta è semplice. Più tempo si dedica a lettura e scrittura e più legna da ardere ci sarà nella nostra testa.
Scrivere ogni giorno, anche solo un quarto d’ora, è importantissimo. Va bene un blog, una pagina di diario, un racconto di mezza pagina. Serve. Serve soprattutto se si impara – o comunque se si prova – a scrivere lasciandoci andare: lasciandoci cioè guidare più dalla mano (l’inconscio) che dalla testa.
Oppure pensando come pensano i pazzi (diceva Flaubert).
Serve leggere, certo. È cosa nota, questa. Trita e ritrita. Ma attenzione: non è importante leggere tanto, quello che importa è leggere bene, con attenzione, in profondità. Prendere una frase, rileggerla. Domandarsi del perché di una virgola, che spesso significa rallentare o dare più ritmo. Io applico due regole nelle mie letture. Regola numero uno. Meglio trascorrere ore per cercare di carpire i segreti di una pagina ben scritta che leggere un libro in fretta e furia. Regola numero due. Scegliere con cura ciò che si legge, perché ci sono scritture che arricchiscono mentre altre, invece, ci fanno solo perdere tempo e non ci insegnano nulla.
Io colleziono pagine belle. Anche di autori con scritture molto diverse dalla mia, anche di autori che non amo. Lo faccio perché so che mi servirà. La faccio da anni, lo farò ancora.
Ho rinunciato a cene con gli amici, a passeggiate quando arriva la primavera, o a qualche ora di sonno per leggere, scrivere, trascrivere frasi belle. Sono orgoglioso di questo.
Io credo che con tanta (ma tanta) applicazione sia più facile, poi, raccontare una storia. Non servono i complimenti degli altri, anzi: spesso sono deleteri. Siamo noi che, alla fin fine, dobbiamo imparare a giudicare la nostra scrittura, basta imparare a confrontarla con quella di chi scrive bene.
Ma c’è un capitolo che interessa agli scrittori: il proporre un proprio lavoro a una casa editrice, il farsi pubblicare per avere poi qualche riscontro (perché pubblicare con un editore a pagamento oppure pubblicare e vendere poco e un po’ come non pubblicare, anzi: spesso è meglio non pubblicare e aspettare il momento propizio).
E comunque: pubblicare, vendere, ottenere un riconoscimento è importante, certo, ma non è l’essenza.
Perché avere successo non rende felici. Vendere 150 copie o 27mila copie di un libro cambia poco: il successo non basta mai, se ne vorrebbe sempre di più.
No, l’essenza è scrivere.
Scrivere arricchisce. È come pregare nel silenzio, viaggiare in mondi lontani.
E poi scrivere aiuta a vivere. Se io sono in coda in posta o all’ospedale per degli esami o al supermercato sto meglio degli altri se nella mia testa “disegno storie”. Che potrebbero diventare storie e personaggi quando sarò davanti al computer (o al block notes: a volte scrivo ancora a mano, per non perdere l’abitudine).
Faccio cose strane, io, quando scrivo. Per esempio: devo avere la testa lavata. Devo bere tanto caffè, per mantenere una certa tensione, evitare gli sbadigli. Devo scrivere quando non ci sono rumori molesti… Accetto solo il miagolio del gatto.
Ma ognuno deve cercare la sua strada.
Le strade che possono portare alla scrittura sono tante, la mia è una, che ho cercato di sintetizzare.
Ho una certezza, però: senza scrivere non saprei vivere.
Scrivere mi serve, dicevo. Esempio. Lockdown del 2021. Esco la sera con il cane, vedo una città morta. Solo nebbia. Si percepiscono paure dietro le finestre delle case. Mi domando: “Dove vorresti essere tu?” Una domanda, certo, che possono porsi tutti. È lecita, banale. Ma per uno scrittore è cosa diversa. Risposi a me stesso: “Vorrei essere nel borgo di Orta, davanti al suo lago”.
Una volta tornato a casa, scrissi alcune pagine: sarebbero diventate il primo capitolo del mio ultimo libro (La suora).
Ecco, ricapitolando, io credo che uno scrittore debba, come ho spiegato sopra, leggere e scrivere, ma alla lettura e alla scrittura va affiancato il “terzo elemento”: osservare la vita con occhi da scrittore.
Quando quella sera di lock down mi domandai “dove vorresti essere tu?” in realtà mi stavo chiedendo: “Dove vorresti essere per raccontare una storia?”.
Chi scrive, insomma, deve avere un’altra prospettiva rispetto agli altri: la testa tra le nuvole.
Si respira meglio, lì.

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Una vita in scrittura: Franca Alaimo

18 mercoledì Mag 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Franca Alaimo, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto Franca Alaimo che l’ha interpretato come segue

Grazie infinite, Franca.

La mia mamma adottiva era una maestra e amava molto la poesia, tanto da avere l’abitudine di commentare eventi e stati d’animo con i versi dei suoi poeti più amati, specialmente Dante, Carducci e Pascoli. Pochi giorni dopo essere entrata nella mia nuova casa (erano gli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso), lei pensò di organizzare una festa per presentarmi ai parenti, e, allo scopo di sbalordirli, mi fece recitare una poesia addirittura in lingua francese, che in seguito scoprii essere di Prévert. Fu un vero successo al punto che i figli della più cara amica di mamma, Alfonso e Gino, ogni domenica d’estate mi venivano a prendere con la loro giardinetta e mi portavano a Isola delle Femmine, dove un loro amico aveva aperto un ristorante, perché recitassi alcune poesie per i clienti abituali con quel sentimento appassionato che li aveva tanto conquistati. Zino e Alfonso mi sollevavano fin su un allto ripiano di ferro, e da lì io declamavo tre o quattro poesie, accompagnandole con una vivace gestualità.
Quando, nei giorni di vento, udivo alle spalle il rumore del mare come uno strumento a fiato che suonasse un pezzo musicale, alzavo la voce immaginando di gareggiare con esso. In quei momenti non percepivo nient’altro che le vibrazioni sonore che mi uscivano dalla gola e dopo si spegnevano, uno dopo l’altro, nell’aria odorosa di salmastro. E a volte mi sembrava di andare in un luogo magico e lontanissimo, da dove mi richiamavano gli applausi dei commensali. Già allora percepii di sfiorare qualcosa anche di doloroso, che probabilmente avrei dovuto, in seguito, sopportare da sola. In altre parole, la poesia mi aveva da subito fatto capire l’importanza dei suoni al di là dei significati che, a quell’età, spesso non riuscivo a cogliere.
Naturalmente, in ogni occasione in cui fosse necessario recitare qualche poesia, a scuola per le recite di fine anno, o in parrocchia a Natale e a Pasqua, ero sempre io quella che aveva il compito di recitare versi, e ne ero orgogliosa.
Un pomeriggio – frequentavo la quinta elementare – scrissi una poesia ispirata agli eroi del Risorgimento e la mattina dopo la feci leggere alla mia maestra, Domenica Papuzza, la quale mi diede la prima grande e mai più dimenticata lezione: che non bastava allineare belle parole e fare le rime, ma ispirarsi ad emozioni vere ed evitare al massimo la retorica. Però aggiunse che, secondo lei, avevo talento e mi esortò a non smettere di scrivere versi..
Mio padre, intanto, aveva ricevuto l’incarico di gestire la biblioteca del Circolo dei sottoffuciali e, siccome amavo stare con lui, quasi ogni mercoledì lo seguivo e non c’era volta che non mi portassi qualche libro – scelto a caso per via della bella copertina o della suggestione del titolo o del nome dell’autore – da leggere a casa, dopo avere finito i compiti. Cominciai così a conoscere tanti personaggi straordinari come Don Chisciotte, Ofelia, il principe Myskin di Dostoevskij: forse , allora, non potevo capirli profondamente, ma li intuivo e mi commuovevano, e soprattutto mi convincevo che, da grande, mi sarei dedicata alla scrittura perché, attraverso essa, avrei potuto portare fuori tutte quelle cose che mi stavano nel profondo dell’anima e che chiedevano di essere dette per turbarci e consolarci allo stesso tempo, come avrei compreso dopo.
Durante i tre anni frequentati nella Scuola Media Protonotaro, sempre a Palermo, incontrai un’insegnante che pretendeva la memoria di tutte le poesie studiate in classe. Fu questo esercizio a farmi comprendere l’importanza della disposizione delle parole, l’effetto soprendente e incantevole delle figure retoriche, di certi accostamenti, che davano nuova vita e significato a termini logorati dall’uso. In questo modo, poco alla volta, constatavo come il linguaggio poetico fosse un altro modo di raccontare la vita e il mondo.
Ero ancora un’adolescente – siamo già negli anni sessanta – quando, spinta dalle forti emozioni provocate dal mio primo innamoramento, cominciai a scrivere poesie d’amore, imitando più o meno inconsapevolmente Neruda. Mi accorsi che scrivere versi mi piaceva molto così come leggerli, tanto che divorai tantissimi libri di poesia, innamorandomi di Rilke, Eliot, Emily Dickinson, Pound, Ungaretti, Saba, Campo, gli autori greci e latini, specialmente Lucrezio, e moltissimi altri.
Durante la frequentazione della Facoltà di Lettere classiche, a Palermo, accadde la contestazione del ’68 che diede uno scossone violento alla mia vita personale e alla mia formazione culturale. Cominciai a studiare i poeti dell’Avanguardia russa, a interessarmi degli sperimentalisti italiani, di movimenti letterari e autori fortemente ideologizzati. Cominciai a seguire i poeti dell’Antigruppo siciliano e ascoltai alcuni recital tenuti nelle piazze, nelle fabbriche, ma vi aderii ufficialmente tardi, quando era stato già superato da un nuovo assetto economico-sociale, sopravvivendo alle sue ceneri. Fu proprio Nat Scammacca, anima della protesta, a curare l’edizione del mio primo volume di poesia: Impossibile Luna: era l’anno 1991.
Da allora ho pubblicato più di venti sillogi (la più recente è 7 poemetti, edita con LibriPoesia di Cati nel gennaio dell’anno in corso), tre romanzi e tantissime schede critiche per varie riviste: L’Involucro di Pietro Terminelli e Spiritualità & Letteratura di Tommaso Romano, che mi hanno permesso di conoscere tantissimi scrittori con molti dei quali si è stabilto un forte legame d’amicizia: penso a Franco Loi, Mario Specchio, Barberi Squarotti, Luciano Luisi, Mario Luzi, Renzo Gherardini, Silvano Panunzio, Maria Grazia Lenisa, Gianfranco Draghi, Peter Russell (di cui ho tradotto due sillogi dall’inglese), che purtoppo non sono più, ma dei quali conservo la corrispondenza epistolare.
Oggi, grazie ad Internet, ho stabilito una rete molto ampia di conoscenze ed amicizie bellissime a cui si aggiungono giorno dopo giorno sempre altri nomi; ed ovviamente, abitando a Palermo, ho frequenti incontri con gli autori che vi operano, tra i quali: Martinez, N. Romano, Giunta, Bonfiglio, Peralta, Lombardo, Balistreri, Sant’Angelo, Camassa, Luzzio, Sardisco, Grato e tantissimi altri. Seguo con molta gioia gli autori giovani, quelli che avranno il compito di proiettare l’arte poetica nel tempo che sarà vuoto di me: Castrovinci, Prestileo, P. Romano, Schirò, De Lisi e così via.
Sebbene abbia già scritto tanto, non credo di poter dire che la mia lingua abbia raggiunto la sua forma definitiva: penso, infatti, che la lingua debba crescere insieme al poeta e ai mutamenti dei tempi che attraversa. Desidero aggiungere altri capitoli alla mia storia d’amore con la poesia e, come sogno, i più importanti.

Franca Alaimo

 

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