Cambi di stagione
si è aspettato a giorni il mondo che verrà
(era in attesa sul finire di una buonanotte,
oltre la storia e i baci prima di dormire,
era inciso su cupole fra firmamento e cielo
che bastava una preghiera perché dio
vi si affacciasse in volo,
e poi sospeso sopra labbra rosse
quando l’amore non era un dopo
di lenzuola sudate da lavare)
si è aspettato, noi,
come bambini seduti sopra a un molo
coi piedi in pesca dentro acquario e mare
e gli occhi di vedetta in cima a caravelle
(perché i bambini hanno angeli per ciglia
e coperte con le stelle sulle spalle,
perché i bambini sono senza confini
ed hanno passi alti dalle montagne al cielo)
poi vennero gli anni scivolati in acqua:
un tempo per il tuono delle cannoniere,
un tempo per il fumo delle petroliere,
un tempo per l’utopia caricata dalla polizia,
un tempo per un muro al fondo d’ogni via,
e adesso è solo vivere al presente,
lo spazio di giornata o qualche minuto appena,
e se mi affaccio un tanto sulla riva
lo so tutto il silenzio a perdita di vista,
il nientenulla oltre la superficie
ed un bisbiglio di cordoglio dentro cattedrali,
così, come viene naturale dopo la strage,
ad ogni genocidio di generazione
quando infine si capisce
che si nasce per le stelle
e si muore in una cella.
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