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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: LETTERATURA

Potere evocativo e simbolismo in “Scrigno”

17 martedì Giu 2025

Posted by maria allo in CRITICA LETTERARIA, LETTERATURA, Note critiche e note di lettura, Poesie

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Tag

Maria Allo, Rosaria Di Donato, Scrigno

a cura di Maria Allo

Rosaria Di Donato, Scrigno, Amazon.it 2025

Prefazione di Lucianna Argentino, postfazione di Marzia Alunni. Editing, impaginazione e copertina di Valeria Girardi.

Autoritratto

sono nata in un angolo di cielo

dove il vento rincorre nuvole

e spazza via la tristezza

Rosaria di Donato

Nella sua nuova raccolta poetica “Scrigno”, Rosaria Di Donato esplora il tema della memoria, riavvicinandosi a luoghi e volti familiari fin dall’infanzia, senza cadere nella trappola di un rimpianto sterile per il passato, pur evocandolo. Riflettendo sul passato, l’autrice si lascia guidare dai ricordi, seguendo la sua inclinazione verso un’autobiografia intima che caratterizza l’intera raccolta. I titoli delle quattro sezioni – visioni, chiaroscuri, miniature e tracce – rappresentano le fasi di un viaggio di riscoperta del passato e di conoscenza di sé. Questi titoli mettono in risalto e rafforzano la metafora dello scrigno, conferendo all’opera una notevole coerenza. Il passato del tempo presente al passato del ricordo si accompagna, nei versi del testo l’ulivo secolare: “…uni-verso in espansione/nuovo anno aggiunge/un nodo un ramo /un altro cerchio al tronco/poderose radici/s’allungano d’intorno/come a sfidare il tempo//e degli uccelli in volo//le stagioni / quali storie racconta il secolare ulivo”. Il tempo della memoria si manifesta con il suo maestoso scorrere, ma la poetessa non ne è sopraffatta. Al contrario, trova la sua essenza nel recupero dei vari momenti di quel fluire interrotto. In questo modo, la scrittura accompagna ogni passo nel percorso verso una verità riconquistata. È una poesia che tendenzialmente rimane legata all’esperienza diretta e concretamente vissuta: “il quartiere misurato/con il tuo passo//padre/ora mi è più caro/ogni angolo vivo//nel suono-profumo/di gemme in boccio…” (da “lascito”). La luce e i colori utilizzati nelle immagini del testo sembrano accentuarsi progressivamente man mano che lo sguardo dell’autrice abbraccia uno spazio sempre più vasto: “lo sguardo all’orizzonte/incontra dio/azzurra linea di colore/l’infinito…” (da “Silenzio tra cielo e mare”). Uno dei principi chiave della poetica di Rosaria Di Donato, come dimostra “Il fiore di melo”, celebra la forza evocativa che scaturisce da intuizioni soggettive e irrazionali, espressa attraverso uno stile agile e fluido. Tuttavia, a un livello più profondo, questa leggerezza suggerisce anche la capacità della scrittura di osservare la realtà. Come esprime l’autrice: “leggeri vorrei giorni / senza cupi pensieri / senza affanni / un filo di vento / fra le mani”, invitando a non farsi sopraffare dal peso del mondo. Da qui deriva l’alternanza tra il tema della violenza contro le donne, vittime dell’odio dei loro carnefici, e le poesie che commemorano l’assassinio di Samia Yusuf Omar e delle sorelle Mariposa, oppresse dalla loro opposizione al regime del dittatore Trujillo. In contrasto, si esplora anche il tema del luogo d’origine, depositario invece di un’esistenza genuina, colma di affetti profondi. I testi, accompagnati da fotografie, sembrano confermare la possibilità di riportare il passato nel presente, creando un dialogo profondo tra parole e immagini. In questo modo, riescono a sottrarre il passato al suo contesto originale, donandogli una dimensione di eterno presente. Una poesia può emergere come un modo per offrire serenità a un’anima inquieta. Niente è più adatto della poesia, che ci è stata trasmessa nel tempo, per narrare le esperienze degli uomini del passato. Essa comunica i loro sentimenti più profondi e la vita quotidiana, non attraverso descrizioni astratte, ma attraverso la rappresentazione di emozioni, coinvolgimento e una sorprendente attualità, come se fosse un autentico scrigno.

Maria Allo

Testi tratti da “Scrigno”

Lascito  

il quartiere

misurato

con il tuo passo

padre

ora mi è più caro

ogni angolo vivo

nel suono-profumo

di gemme in boccio

il tempo intriso

d’attese lo sguardo

che dai muri sorride

nuovo stupore

nei giorni infonde

rinnovata primavera.      

***

samia yusuf omar 

sono io samia

nube dissolta nel vento

onda mai giunta alla riva

sono io samia

corrente gelida inarrestabile

che solca oceani di luce

sola come un punto nel cielo

intemerata sfida

il pregiudizio

svelata (corre)

va oltre la morte

corre ancora (vince)

sono io samia

nulla potè la censura   

contro di loro

la rivolta scardinò

il regime (trujillo morì)

volevano essere farfalle

le sorelle mirabal

la dissidenza

ha dato loro le ali

***

C’è

c’è un pianto che non ha fine

sulla terra voce di chi non ha voce

donne umiliate-percosse

massacrate dall’odio dei carnefici

c’è un pianto che non ha fine

sulla terra voce degli orfani

delle vittime di femminicidio

non c’è sole per loro al mattino

ma ombre-tristezza e il vuoto

di una vita non-vita

incubo della paura

c’è violenza che annienta

***

scrigno

le notti insonni

uno scrigno dischiudo

di lucciole e parole

sembrano piccole stelle

e suoni comparsi

all’improvviso dal buio

volano ballano

s’attorcigliano

come a voler comporre

una canzone in libertà

è la poesia

che uscita dallo scrigno

s’innamora dei sogni

culla le anime inquiete

Rosaria Di Donato (2021)

Fotografia: Rita Valenzuela

Rosaria Di Donato è nata a Roma, dove vive. Laureata in filosofia (quadriennale e specialistica), insegna in un liceo classico statale. Ha pubblicato sei raccolte di poesia: Immagini, Ed. Le Petit Moineau, Roma 1991; Sensazioni Cosmiche, Ed. Le Petit Moineau, Roma, 1993; Frequenze D’Arcobaleno, Ed. Pomezia-Notizie, Roma 1999; Lustrante D’ Acqua, Ed. Genesi, Torino 2008; Preghiera in Gennaio, Ed. Macabor, Francavilla Marittima (CS) 2021. Scrigno, Amazon.it 2025. Ha partecipato sia come autrice che come organizzatrice alla Rassegna Realtà del Divino, a c. di N. A Rossi (Giubileo 2.000) a S. Nicola In Carcere – Roma. E’ presente nell’antologia Nuovi Salmi a c. di Giacomo Ribaudo e Giovanni Dino, Ed. I Quaderni di CNTN, Palermo 2012. Alcuni suoi testi sono inseriti in Voci dai Murazzi 2013, antologia poetica a c. di Sandro Gros Pietro, Ed Genesi, Torino 2013. Poesie dialettali compaiono nella Rivista i fiori del male 2013 n. 55, quaderno quadrimestrale di Poesia a c. di A. Coppola.  Ha partecipato con il gruppo Poeti per Don Tonino Bello alla realizzazione di Un sandalo per Rut Oratorio per l’oggi, Ed. Accademia di Terra D’Otranto – Collana Neobar, 2014. E’presente nell’antologia I poeti e la crisi a c. di Giovanni Dino, Fondazione Thule Cultura, Bagheria 2015. Ha pubblicato l’ebook Preghiera in Gennaio nella collana Neobar eBooks nel 2017. Ha partecipato all’eBook n. 217: Proust N.7 – Il profumo del tempo, di Aa. Vv. (LaRecherche.it – Un accordo di essenze). Nel 2019 ha partecipato all’antologia poetica Break Point Poetry – Città Poetica, c. di  Patrizia Chianese, nell’ambito dell’ Estate Romana. Ha partecipatoall’antologia Ho sete, l’Arte si fa Parola, a c. di Maria Pompea Carrabbae Ella ClafiriaGrimaldi, Ed. SarpiArte 2020; è presente nell’antologia del Concorso Nazionale di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi – Premio Sygla XIV ed. 2022. Collabora a riviste di varia cultura e i suoi volumi si sono affermati sia in Italia che all’estero, con giudizi critici di Giorgio Barberi Squarotti, per esempio, e traduzioni in francese di Paul Courget e Claude Le Roy (riviste Annales e Noreal) e in inglese di Valeria Girardi (riviste on-line in vari Paesi). Partecipa al blog Neobar di Abele Longo e a vari siti letterari sul web. Vincitrice di alcuni premi di poesia, si interessa di arte, cinema, fotografia. Dal 2016 ha curato un laboratorio di scrittura creativa nel Liceo in cui insegna poi interrotto a causa del Covid-19. E’ presente nell’antologia Sorella Morte a c. di Giovanni Dino, Fondazione Thule Cultura, Bagheria 2023. Ha partecipato con il racconto Candore a Un magico e prezioso Natale – piccoli racconti per bambini di tutto il mondo, a c. di Sara Conci, Macabor 2023.

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“Piedi grossi” di Luisa Mattia

16 lunedì Giu 2025

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA, NarЯrativa, Racconti

≈ 1 Commento

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Luisa Mattia, Piedi grossi, Racconti d'estate

Il racconto è tratto da Racconti d’estate, una raccolta di dieci racconti d’amore e d’amicizia attraverso la descrizione di periodi significativi del Novecento, dai primi anni del secolo fino alla caduta delle Torri Gemelle. I protagonisti sono adolescenti che vivono la realtà del loro tempo. Unico filo conduttore: l’estate, che diventa il pretesto per parlare di sentimenti e di modi di manifestarli, che nel corso del tempo sono cambiati nella forma, ma hanno mantenuto la connotazione di scoperta di sé. L’autrice racconta dieci vacanze secondo una successione di periodi estivi che hanno preceduto o seguito momenti significativi del Novecento.

*

 

2001-Stoccolma, Svezia

Ingrid ha i piedi grossi e me ne sono accorta da un bel pezzo. É una cosa che non posso fare a meno di guardare, quando entra in piscina per gli allenamenti. Indossa il costume colorato con le paillettes, i capelli sono raccolti in uno chignon, le spalle sono dritte, le gambe in linea perfetta con le ginocchia, ma i piedi… quelli sono proprio fuori misura.

“Avessi io solamente quel difetto!” mi ha detto Kristina, una mia compagna di nuoto sincronizzato.

È stata l’unica volta che ho parlato dei piedi di Ingrid con qualcuno. Poi non l’ho fatto più perché tutti l’adorano e questa cosa non la sopporto. Vorrei essere come lei? No. Vorrei che mi adorassero come succede a lei? Sì. Siamo nella stessa squadra di nuoto sincronizzato da un bel pezzo e, col passare del tempo, siamo migliorate e adesso siamo parecchio brave nelle gare di gruppo. Nel sincronizzato singolo me la cavo bene, ma Ingrid è più brava di me. Cosi sembrano pensare le giurie. Poco tempo fa si è piazzata al primo posto nei Campionati regionali e io solo quarta.

“Meglio una medaglia di legno che niente” ha commentato mio padre. “La prossima volta ti piazzerai meglio. Allenati di più. Prendi esempio da Ingrid.”

Anche mio padre adora Ingrid, è evidente. Io la detesto e vorrei che sparisse dalla mia vita, dalla mia piscina, dalle mie gare. Invece resta. E vince. Vince su tutta la linea. Infatti, si è presa anche Sven.

Sven abita a due passi da casa mia e ci conosciamo da molto tempo. Io non l’ho mai preso in considerazione quando eravamo piccoli ma, adesso che stiamo per finire la scuola dell’obbligo e siamo cresciuti, lo guardo con altri occhi. Lui guarda Ingrid e lo trovo intollerabile. Quando finisce gli allenamenti, con la scusa di aspettarmi per tornare a casa insieme, si mette a sedere sulle gradinate e dice di voler seguire i nostri esercizi, ma in realtà guarda solo lei. Lo so perché ogni volta che riemergo dall’acqua, punto lo sguardo su di lui e vedo che non mi tiene proprio in considerazione. Detesto anche lui, da un po’. E avrei voglia di chiedergli che cos’ha di speciale Ingrid, ma tanto so bene che se ne uscirebbe con quelle frasette smozzicate che usa lui quando è in imbarazzo, magari balbetterebbe e cambierebbe discorso. Ieri ho provato il costume da gara nuovo. Mi sono messa davanti allo specchio e non mi sono piaciuta. Il costume non ha colpa perché è bellissimo, con i colori dell’arcobaleno, un velo che lo tiene aderente alle spalle e le paillettes che brillano. Sono io che proprio non vado bene perché mi sono vista le gambe e le ho trovate corte e tozze. Ho guardato le spalle e sono parecchio graciline. Il collo… è corto. Avevo i capelli sciolti e, siccome sono lunghi, mi facevano il collo ancora più corto. Mia madre è intervenuta e me li ha raccolti in uno chignon, ma io ho continuato a vedermi per quello che ero: una ragazzina senza niente di bello. A parte i piedi. Perché quelli li ho perfetti e in una <<gara di piedi» surclasserei Ingrid senza problemi. Mi sono tolta il costume e l’ho messo nella borsa, insieme ai sandali e all’accappatoio. Sven mi aspettava, per andare insieme in piscina. Quando ho aperto la porta, me lo sono ritrovata davanti che mi sorrideva e gli ho detto: «Che c’è da ridere?» e lui ha abbassato la testa e non abbiamo scambiato una sola parola fino alla piscina, dove ci siamo separati. Credo che abbia mormorato il suo solito «a più tardi», ma io non gli ho risposto perché alla sola idea di indossare il costume nuovo davanti alle altre mi sentivo male per la vergogna. Sono tutte più belle di me. Sono tutte più brave di me. Ingrid più di tutte. Nello spogliatoio eravamo eccitate perché è giorno di prova di ammissione, cioè facciamo gli esercizi di squadra e di singolo e il coach decide chi gareggerà e chi no. Io sono sempre in bilico tra l’ammissione e l’esclusione. Oggi non andrà bene, me lo sento. Ingrid è concentratissima come sempre, più di sempre. Difatti, non dice una parola e fa stretching in disparte, gli occhi persi a guardare lo specchio d’acqua della piscina, oltre la vetrata. Lei è fatta così: pensa solo agli esercizi e non si lascia distrarre da niente e da nessuno. Quando il coach ci chiama, lo raggiungiamo. Ingrid arriva per ultima e si tuffa dopo tutte noi. È il suo modo di farsi notare, penso. Lei evita di confondersi con noi, penso. L’esercizio a squadra è andato come doveva andare. Cioè bene, con qualche incertezza.

“Si risolveranno” ha detto il coach fiducioso, e ha ragione.

Gareggiare in gruppo rende tutte noi più capaci di concentrazione, più determinate. Nell’esercizio a squadre, io dimentico i miei difetti e mi focalizzo su quello che devo fare e riesco bene, così tanto che mi dimentico perfino di Ingrid. Solo che poi ci sono anche gli esercizi singoli. Il programma che mi ha dato il coach è difficile.

“È segno che ti ritiene in grado di riuscire al meglio” ha commentato mio padre.

Forse ha ragione e io mi sono impegnata moltissimo, ma il fatto che il coach abbia dato lo stesso livello di difficoltà anche al programma per Ingrid mi fa disperare, perché penso che sia un modo per favorirla. Perfino il coach l’adora e con questa serie di esercizi in acqua è sicuro che avrò incertezze e non sarò perfetta come lei. E siccome andrà come prevedo, sarà Ingrid a gareggiare per il nostro club. Sarà lei a indossare il costume arcobaleno con le paillettes e l’applaudiranno tutti, anche Sven. Sono scesa in acqua con questa convinzione e molta rabbia. Ho fatto la mia prova, secondo il programma previsto dal coach. Tutte le ragazze mi guardavano. Ho sentito gli occhi di Ingrid su di me per tutto il tempo e quando sono risalita dalla scaletta me la sono ritrovata davanti, pronta a tuffarsi. Io ho abbassato la testa e mi sono avvolta nell’accappatoio. Lei è scesa in acqua. Il coach non mi ha detto niente. La musica della prova di Ingrid è partita, mentre Sven si sedeva sulle gradinate in tempo per vederla danzare in acqua. Che tempismo! Mi è venuto da piangere e sono corsa nello spogliatoio. Sotto la doccia ho pianto e non so spiegare per che cosa. Per Sven? Per il mio collo corto? Per le mie gambe tozze? Per Ingrid? Il tempo di chiedermelo non ce l’ho avuto, perché tutte le ragazze sono piombate nello spogliatoio gridando ma, lì per lì, ho capito solo «New York». Ce la sogniamo da tempo la Grande Mela per poterci andare a disputare qualche gara, fare un tour negli Stati Uniti se diventiamo brave a fare un bello spettacolo di sport, però le facce erano tristi e qualcuna piangeva. In un attimo, come erano entrate sono uscite, indossando gli accappatoi. Ingrid gocciolava ancora, per il fatto che doveva essere uscita di corsa dalla piscina. lo le ho seguite e ci siamo ritrovate ad accalcarci davanti alla TV che sta nel gabbiotto del custode. Si vedevano le Torri Gemelle di New York bruciare. Ingrid era accanto a me, la faccia pallidissima e mi sono accorta che tremava, ma forse era per il fatto che era ancora bagnata.

“È la guerra?” ha chiesto Kristina.

“Spero di no” ha mormorato il coach.

“E’ un macello” ha commentato il custode.

Sven, che era li, muto come noi, a guardare le immagini della CNN, si è avvicinato e si è messo tra me e Ingrid. Più vicino a Ingrid che a me. Ho pensato che lo stava facendo per poter consolare Ingrid che tremava davvero come una foglia. Poi, Sven mi ha parlato.

“Hai paura?” mi ha detto sottovoce. “Ci sono io” ha aggiunto, mi si è avvicinato e mi ha stretto la mano. Ed è stato in quel momento che ho cominciato a tremare. Le emozioni si mescolavano: avevo paura per quello che vedevo in TV e che mi sembrava così irreale. E provavo una gioia incontenibile perché Sven mi teneva la mano ed era così reale! Il coach ci ha mandate a casa subito. Però, prima ci ha detto che la prova singola l’avrebbe fatta Ingrid. Mi sarebbe piaciuto sentirgli dire il mio nome? Sì. Mi è dispiaciuto che non abbia detto: «La prova singola la farai tu, Wilma»? No.

Improvvisamente, non me ne importava più niente della gara, della prova, dei premi. Niente.

“Wilma…” ha detto Sven, chiamandomi sottovoce.

E m’è sembrato che fosse la prima volta che lo sentivo dire il mio nome, perché me lo ha detto tendendomi la mano e facendomi un cenno lieve con la testa. Chiamava me, proprio me e mi è nato dentro un sentimento nuovo, come se cominciasse a esistere una Wilma che prima di quel momento non c’era. Mi sono venute delle lacrime di allegria, ma non ho pianto. Ho sussurrato un «sì» e sono uscita dalla piscina con Sven. Sulla via del ritorno, io e Sven abbiamo parlato delle Torri, di New York, della paura e delle gare. E di Ingrid.

“È bella Ingrid” ha detto Sven e ho sentito lo stomaco che si annodava per la gelosia.

“È bravissima” ha aggiunto e ho sentito che il nodo di gelosia si stringeva di più e mi mancava il fiato per parlare.

Ho ritirato la mia mano dalla sua e, per un po’, abbiamo camminato vicini, in silenzio. Sentivo il rumore dei nostri passi e il respiro leggero di Sven che, mentre ci avvicinavamo a casa, mi ha preso di nuovo la mano e io istintivamente gliel’ho stretta, attirandolo verso di me. Lui ha fatto una risatina, prima di dire: «Però… io penso che Ingrid…».

Però… che cosa stava per dire? Mi sentivo gelare.

“Però… ha i piedi grossi” ha concluso, ridacchiando.

“Lo amo” ho pensato abbracciandolo. Prima o poi, glielo dirò.

 

Luisa Mattia, da Racconti d’estate, Lapis, 2020

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Poesia sabbatica: -150- e -140-

14 sabato Giu 2025

Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA, Poesia sabbatica

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Francesco Palmieri, Solo parole d'amore

 

-150-

 

certo, non è più maglio il pensiero di te,

il chiodo all’improvviso che trapassa da testa a cuore,

 

certo, viene anche l’oblio quando riesco a non pensarti

e il respiro è ritmo regolare e non più affanno

 

ma ancora a volte tremo al terremoto quando la scossa viene

e rade al suolo muraglie e torri, pilastri e ferro,

 

ed io lo so, lo vedo bene cos’è il presente,

io lo so che sotto il crollo io sto vivendo ucciso.

 

 ***

-140-

 

sì, finisce anche l’amore

 

come finisce il giorno

come l’estate smette

con gli ombrelloni chiusi

e le nuvole sul mare

 

come finisce il sonno

che stavi facendo un sogno

ed era un’altra vita

e quella era sì la vita

 

sì, finisce anche l’amore

come sta finendo adesso

che stai andando via

che sto andando via

 

e il cielo ci piove addosso

la lingua non ha parole

e noi non sappiamo più

se stiamo andando a vivere

o se così è il morire.

 

 

 

Francesco Palmieri 

(dalla raccolta “Solo parole d’amore” in corso di revisione per eventuale ristampa)

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Venerdì dispari

13 venerdì Giu 2025

Posted by frantoli in POESIA, Venerdì dispari

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Francesco Tontoli, Pellicole francesi

Pellicole francesi

Son tornato e so che mi aspettavi
ti eri arresa all’attesa e mi dormivi
tutta presa dentro un sogno di divi
che si lasciano e si prendono, e film
dove si morsicano labbra e lenzuola.
Fuori pioveva che dio la mandava
pioggia fatta apposta e vento in quota
con varianti di pellicole francesi.
E tornando sono stato sorpreso
io stesso non ero lo stesso di ieri
e tu stessa attrice fatale.
In fin dei conti i telefoni bianchi
sono messaggeria d’altri tempi.
E nel sogno aspettavi che dicessi
quella cosa che al risveglio si scorda
e che di giorno ci si sforza di dire.

Francesco Tontoli

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Annalisa Gozzo Aligò “Girotondo dei pianeti”. Intervista di Patrizia Destro

11 mercoledì Giu 2025

Posted by Loredana Semantica in INTERAZIONI, Interviste, LETTERATURA, PROSA

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Annalisa Gozzo Aligò, intervista, Patrizia Destro

Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Sono cresciuta in una famiglia dove i libri erano considerati preziosi e divertenti. Nei libri mi sono sempre “persa” e forse per questa ragione ho sempre letto e scritto con molto piacere. È un modello comunicativo che ho sempre amato, forse perché mi dava visibilità senza essere pressante.
La scoperta della mia vena poetica è arrivata più tardi, a vent’anni circa, dopo un corso di arte-terapia. È stata una sorpresa: non mi ero mai soffermata su questa mia capacità, abbastanza naturale, di “mettere insieme rime”. Infatti l’utilizzo della poesia all’inizio era al servizio del mio lavoro di educatrice per comunicare con bimbi e genitori i contenuti di un progetto, o al limite un modo per creare messaggi d’auguri ad amici e parenti. Mi sembrava un mezzo più immediato ed emotivo con cui far arrivare il mio pensiero rispetto alla prosa.

Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzata maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Sono cresciuta a “pane e Rodari”, l’ho sempre amato per la semplicità e ironia che lo contraddistingue e la leggerezza con cui va a fondo di tematiche importanti in modo accessibile a tutti.
Poi è arrivato Italo Calvino, con i suoi racconti in bilico tra il reale, l’onirico e il filosofico, Asimov con le sue trasposizioni sociali, storiche e metaforiche fantascientifiche e non ultimo Munari, con la sua pedagogia puero-centrica che non poteva che essere piena d’arte (d’altronde lui era un’artista). È stato il primo a capire che l’adulto deve solo portare il bambino a fare esperienze, a ricercare e a dare allo stesso il gusto della scoperta, facendolo riflettere sulle scoperte fatte, meglio se in gruppo. Idea che io appoggio in pieno e che ho cercato di immettere nell’opera attraverso echi di quanto i bimbi mi hanno regalato negli anni… frasi, episodi.
Nella mia parte più “impulsiva” è Ungaretti che mi parla: amo la sua capacità di far “esplodere nella testa” il messaggio con una sola breve frase evocante un’immagine. Trovo le sue poesie fotografie d’impatto, quasi da giornalismo d’assalto tanto colpiscono in pancia con la loro vividità.

Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nata o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La scrittura, per come la intendo ora, è nata recentemente e dopo un momento traumatico che mi ha costretto a casa. Infatti ho rischiato la vita a causa di una trombosi cerebellare.
Improvvisamente, durante la convalescenza, i pensieri poetici arrivavano fulminei a dover descrivere gli eventi e gli stati d’animo che più mi colpivano.Anche la richiesta di Mòrin (mia maestra di canto) di scrivere dei testi per sue canzoni è stata esaudita con poesie molto introspettive e legate al momento che stavo vivendo. I temi erano: meditazione e rifugio nel sogno” (per “Sogni Bianchi”) e “ripresa e resilienza” (per “Risvegli”).Forse per questo motivo prevale ciò che mi “rimbalza dentro”, gli eventi sono filtrati dal mio sentire. I luoghi della poetica sono “del ricordo”, spazi emotivi soprattutto di quando ero bambina, o “non luoghi” ma angoli universali che contengono valori comuni e storie condivise (soprattutto nelle poesie “Prigione velata” e “Io sorgo ancora”. I percorsi del quotidiano sono, quasi sempre e purtroppo, strade che mi portano da un luogo all’altro, spesso di corsa.

Ci parli della tua pubblicazione?

“Girotondo dei pianeti” è una poesia illustrata. Pur portando nozioni scientifiche corrette (a parte Plutone che per questioni affettive mi sono rifiutata di declassare), è un pretesto per evidenziare emozioni e comportamenti comuni a tutti noi; del resto i nomi degli astri rimandano a tipologie archetipiche e miti ben precisi. Sempre per Plutone ho fatto un’eccezione non richiamandolo, per motivi di gestione psicologica, al re dell’Ade: mi era molto più utile usare un richiamo all’emotività del bambino, alla sua richiesta di attenzione e al suo sentirsi piccolo rispetto ad un gruppo.
Ero consapevole inoltre che il toccare le “corde emotive” del bambino avrebbe creato un’impronta dove le informazioni sui pianeti si sarebbero fermate nella memoria.

Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Ciò che può essere ritenuto bello e che porta una persona ad uscire da sé, dal quotidiano, che la fa riflettere su ciò che è, che la porta ad un’identificazione con personaggi e a crearle domande e curiosità è sempre utile.
Soprattutto se si tratta di bambini ciò che li possa far uscire da pacchetti standardizzati che tentano di farli diventare piccoli, tristi, adulti consumatori non è utile, è necessario.
L’educazione al bello, alla poesia in materiale tangibile può farli sognare senza farli “divagare”.

Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

La narrazione è nata dalla richiesta di una filastrocca che aiutasse i bambini a memorizzare le caratteristiche degli elementi del nostro sistema solare. Ma i nomi dei pianeti, le loro caratteristiche per composizione e posizione fanno nascere suggestioni molto ricche.
Così mi sono ritrovata a dovermi documentare e più correggevo e “limavo” l’opera, più mi rendevo conto che stava nascendo una “personificazione” degli astri molto riconoscibile negli aspetti comuni a tutti noi; a posteriori questo era prevedibile dato l’aspetto archetipico insito in ogni nome scelto per i corpi celesti, ma è una consapevolezza a cui sono arrivata dopo. Questo aspetto è stato molto utile per entrare in contatto con il pensiero bambino, che tende a personificare gli oggetti o che ama rifugiarsi dentro questo meccanismo anche fino ai sette anni.
Alla fine l’ho trovato così gradevole nella sua semplicità che ho deciso di illustrarlo in autonomia e poi di auto-pubblicarlo.

Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

La prima bozza di poesia l’ho scritta di getto, dopo essermi documentata sulle caratteristiche rocciose, gassose o liquide di ogni singolo pianeta, poi è cominciato un lentissimo lavoro di revisione e illustrazione del testo nei ritagli di tempo.
Sono i rimandi poetici a fatti di cronaca che mi tengono sveglia la notte finché non mi alzo a scrivere una frase.

La copertina, il titolo e le illustrazioni. Chi, come, quando e perché?

Avevo chiesto a varie amiche e conoscenti illustratrici (o semplicemente con la passione per il disegno) di collaborare all’illustrazione del libro. Dopo un iniziale entusiasmo e la richiesta conseguente di un mio invio della poesia non ho più avuto riscontri.
Ho quindi deciso di illustrare da sola il mio libro, creando la grafica di pagine e copertina. Fotocopie, matite, acquarelli, pastelli a cera, pennarelli, gessi, tempere e forbici hanno fatto il resto.
Mio marito, a cui devo moltissimo per il sostegno e l’aiuto, ha curato l’impaginazione su un noto portale di vendita on line che si occupa anche di stampa e vendita di libri.

La tua opera è autopubblicata. Vuoi raccontarci qualcosa in merito?

    Ho inviato il libro a quasi cinquanta case editrici per bambini, alcune mi hanno cortesemente risposto: “Il suo libro non interessa al nostro catalogo”, alcune ancora più gentilmente aggiungevano: “ha spunti interessanti” e “le auguriamo fortuna con la sua pubblicazione”.
    Le più scorrette chiedono di far pagare la stampa di molte copie millantando un interesse che in realtà non hanno, per lo meno di investire sull’opera che poi abbandonano.
    A me non andava di pagare centinaia di copie che poi non avrei saputo che impatto avessero sul pubblico, così ho scelto di auto-pubblicarlo sul portale di cui parlo nella precedente risposta.

    A quale pubblico pensi possa essere rivolta la tua pubblicazione?

      Sicuramente ad un pubblico tra i 5 e i 7 anni, momento in cui hanno maggior concentrazione per apprezzare il linguaggio poetico ma ancora gusto per il gioco di “personificazione” dei personaggi.

      In che modo stai promuovendo il tuo libro?
      Sto imparando che il passaparola e il presentarmi personalmente nei luoghi delle presentazioni sta creando un’onda di propagazione forse più efficace dei social.
      Le mail vengono lette con sospetto e i mass media ti procurano qualche like spesso senza seguito. Diciamolo: non ho il “phisique du role” della tiktoker e quindi prediligo il “porta a porta” che mi sta creando soddisfazioni per accoglienza ed apprezzamento del libro.
      Le presentazioni mi hanno sempre aperto successive opportunità di altri eventi.

      Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legata e perché?
      Prediligo la poesia conclusiva, una sorta di morale di Esopo che evidenzia uno dei temi a me più cari: l’inclusività.
      “Nello spazio più profondo nove amici fan girotondo, tutti quanti intorno al sole, queste son le lor parole:
      -Tutti quanti qui danziamo, da tempo infinito un canto intoniamo. Un suono che a noi ricorda all’istante, che dal grande al piccolo tutto è importante -“

      Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?
      Devo dire che l’apprezzamento che ho visto nei piccoli lettori e l’affetto con cui si approcciano all’opera, oltre che alla stima dichiarata dai loro genitori, sono già delle aspettative altissime a cui non mi immaginavo di tendere.

      Una domanda che faresti a te stessa su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

      Aligò ti sei divertita a scrivere e illustrare questo libro?
      Mi sono divertita tantissimo, mi sono riscoperta bambina: la piccola Annalisa è la parte più creativa di me e quella che mi regala più soddisfazioni dal punto di vista ludico ed estetico.

      Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

      Sto iniziando ad abbozzare un altro libro illustrato per bambini dal titolo “I folletti riordinini”, storia che avevo inventato quando ero un’educatrice, per la comprensione del valore e del significato del riordino. Un gioco successivo, in cui i bambini “diventavano” folletti rendeva più piacevole lo stesso in classe. Stranamente il testo è in prosa (per ora).
      Un altro progetto che amerei molto portare a termine è la catalogazione e la pubblicazione di libri delle mie poesie divise per tema: pedagogico, sociale, affettivo.
      Chissà se riuscirò un giorno a farmelo pubblicare…

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      Antonella Sica, “Corpi estranei”, Arcipelago Itaca, 2025.

      09 lunedì Giu 2025

      Posted by Deborah Mega in POESIA, Segnalazioni ed eventi

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      Antonella Sica, Corpi estranei

       

      Prefazione di Camilla Ziglia
      In copertina: una fotografia di Pietro Mari dal titolo Geometrie variabili

       

      da Corpi estranei

      Madre di Luna pietra madre ragnatela
      di capelli sul guanciale madre pallido
      ansimare madre spenta nella parola
      madre impiccata al sorriso
      in bianco e nero madre
      che non ricordo madre
      impastata nel corpo
      madre

      che sei andata via
      come si spegne la luce
      nella stanza di un bambino.

      *

      Era una casa divisa in gabbie
      perimetri di fiato e dolore
      corpi estranei cuciti dal sangue.

      A tavola a ognuno il suo posto
      geometria instabile dei pasti,
      la luce piombava dall’alto
      un ritratto di famiglia elettrico.

      Corpi stretti nella notte alle coperte
      galleggianti nella trama dei respiri
      la sveglia scandiva l’assenza ai miei occhi
      spalancate finestre alla fuga.

      *

      Il corpo del fratello
      non faceva rumore
      occhi grandi sgranati laghi
      che ogni sasso poteva colpire

      giocando col fuoco, un giorno
      bruciò le mani
      immobile specchiava le fiamme sui palmi
      dietro gli occhi
      fatue.

      *

      da Ho una bambina sulla schiena

      Ho una bambina sulla schiena
      il suo corpo è nuda cantilena
      mi riempie i capelli di nodi
      per divorare il mio pianto

      la bambina di notte dondola
      cigola come un’altalena
      col suo alito di bosco sussurra
      cristalli di sale sul cuscino

      mentre sogno indossa le mie mani
      disegna una volpe che gioca coi cani
      fuscelli i fremiti del suo respiro
      un nido di parole che scopro al mattino.

      *

      da La condanna alla luce

      Eppure i momenti migliori sono quelli
      in cui annuso il mondo come un cane
      cammino e sono nelle gambe
      in attesa di una gioia conosciuta
      quella svolta che improvvisa s’apre al mare
      col ferro del porto che sale
      in rette e poligoni brillanti.

      Cammino con gli occhi sazi
      come chi non cerca niente
      solo l’occasione di un altro passo avanti.

      *

      da Dove nessuno chiama

      Dall’intrico di foglie la luce
      fa a brandelli il tuo volto
      s’insinua lama nelle pieghe della carne
      forse siamo distesi

      i capelli ondeggiano
      grano sterile sull’erba
      forse ci stringiamo
      una mano a distanza
      stiamo lì ad asciugare le parole
      sento il battito del cuore in un sasso
      che preme sulla schiena

      è più facile così, scomparire.

      Ci siamo addormentati
      senza sprofondare nella terra
      e al risveglio
      ci siamo sentiti inospitali.

      *

      Non è ancora l’alba. Non ancora.
      Il silenzio al di là delle tende
      è uno sciame d’api
      pronto a colpire. Alle spalle il frigorifero,
      col suo reticolo elettrico
      combatte per il freddo interno
      parla da solo come un ventre troppo pieno.
      Sotto una luce pendente
      scrivo con l’ombra
      della mano sul foglio. Briciole
      si attaccano al palmo che scorre
      quasi a chiedere un ultimo gesto d’attenzione
      colonizzando il bianco.

      Mi sono alzata per un sogno, forse.

      Testi di Antonella Sica, tratti da “Corpi estranei”, Arcipelago Itaca, 2025.

       

      NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

      Antonella Sica, genovese, è laureata in Lettere Moderne. È regista e manager culturale in ambito audiovisivo e cinematografico. Ha fondato e codiretto il “Genova Film Festival” dal 1998 al 2015. Ha diretto e realizzato cortometraggi di fiction e documentari selezionati e premiati in diversi Festival. Tra i suoi lavori: Ballata Trash, cortometraggio con il poeta Edoardo Sanguineti. Nel 2014 vince il premio per la miglior silloge del concorso indetto dalla casa editrice Prospero (opera pubblicata nel 2015 col titolo Fragile al mondo). Nel 2017 vince il Premio Internazionale di Poesia “Città di Milano” con la silloge La memoria nel corpo, pubblicata l’anno seguente da Rayuela Edizioni. Nel 2019 vince – ancora come miglior silloge – il XX Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle donne” con la raccolta L’ira notturna di Penelope, uscito nel 2022 per i tipi di Prospero Editore e con la prefazione di Donatella Bisutti.
      Ha partecipato a reading poetici in diverse città d’Italia. I suoi testi sono stati selezionati e premiati in diversi concorsi fra cui “Lorenzo Montano”, “Bologna in Lettere”, “Arcipelagoitaca” e “Guido Gozzano”. Recensioni alle raccolte e suoi inediti sono stati pubblicati su riviste online e blog fra cui “Inverso-Giornale di poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Almapoesia”, “Ex-Libris”, “Carte sensibili”, “La rosa in più”, “Menabò online”, “Poeti Oggi”e “Versante Ripido”, dove cura la rubrica di videopoesia Lanterna magica. È presente in alcune antologie fra cui Singolare, molteplice(puntoacapo2022) e Settimo repertorio di poesia italiana contemporanea (Arcipelago itaca 2023).
      Con Corpi Estranei ha vinto il Premio “InediTO-Colline di Torino” 2023.

       

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      Poesia sabbatica: “Solo un desiderio”

      07 sabato Giu 2025

      Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA, Poesia sabbatica

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      Fra improbabile cielo e terra certa, Francesco Palmieri

       

      Solo un desiderio

       

      avrei voluto darti

      darti vele leggere

      e non il peso di meteorite

      in caduta grave,

      olio e non attrito

      la corsa nella vita

       

      avrei voluto darti l’appiglio

      la sporgenza di parete

      al precipitare a fondovalle

      la stuoia gommapiuma

      del riposo

       

      ma anch’io sono pioggia

      goccia parallela

      in tonfo nel finito.

       

      Francesco Palmieri 

      (dalla raccolta edita “Fra improbabile cielo e terra certa ” – edizioni Terra d’ulivi)

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      Venerdì dispari

      06 venerdì Giu 2025

      Posted by frantoli in POESIA, Venerdì dispari

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      Francesco Tontoli, Furto di luna

      Furto di luna

      Ti ho chiamata a vedere la luna tra le case
      sorgeva rotolandosi sui tetti
      piena di luce accecava la notte
      spargeva semi luminosi sulla città
      che l’ha dimenticata.

      Quindi è solo nostra, mi dicevo
      quindi è solo di chi la vede, mi ripetevo.

      Ti ho regalato la luna piena di luce
      questa inutile lanterna tra le strade illuminate
      tra le torri-faro che dirigono le loro torce al cielo
      i pulsanti che accendono le nostre tenebre.

      Ti ho preso la luna rubandola con lo sguardo
      di chi ha rischiato di perderla tra i tetti
      infilzata tra le antenne, entrata e poi uscita
      dalle finestre dei vicini, moneta spesa
      dai bambini sognatori, e dagli spacciatori.

      L’ ho raccolta nella nostra vecchia tenda
      lucidandola, soffiandoci sopra
      come si fa con una lampada
      per far sparire le sue ombre polverose

      i crateri e le meteoriti
      i residui metallici di allunaggi
      e le bandiere piantate
      per cercare venti inesistenti.

      Poi siamo tornati a letto
      come due gatti
      la luna in mezzo ai cuscini,
      i pensieri rarefatti.

      Francesco Tontoli

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      “Kolektivne Nseae” di Ivan Pozzoni, Edizioni Divinafollia, 2024

      04 mercoledì Giu 2025

      Posted by Loredana Semantica in POESIA

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      Ivan Pozzoni, Kolektivne Nseae

      Una selezione di testi da “Kolektivne Nseae” di Ivan Pozzoni

      CARONTE, IN RIVA AL LAGO

      Seduto su una roccia, in riva alle acque turbolente
      macchiate di ricordi del mio Lete lacustre,
      mi tramortisco col rumore ombroso delle onde
      che cantano dei miei vent’anni, d’amori e attese blande.
      Cerco un Caronte astioso e ansante,
      che meni la mia barca sui fiumi d’Occidente,
      rodato dosatore d’ansiolitici, seduta stante,
      scorbutico maleducato, rude bifronte.
      Cerco un Caronte, un Caronte vero,
      temerario consulente abituato a transumanze d’ogni genere,
      con remi, barba stanca,
      obolo di scorta che difenda all’arma bianca.
      Seduto su una roccia, rinvio a domani
      l’insulsa immaturità delle mie mani.

      SIAMO TIGRI DI CARTA

      L’una di notte non suona mai così spontanea
      dalle mie mani dense di ragadi non battono doloranti filastrocche,
      da anni, oramai, sono vittima collaterale di una metrica troppo risoluta
      schiava di no Tav, no Vax, no tax, no fly zone,
      i miei acidi gastrici carburano con tonnellate di Pantoprazolo
      con la digestione impedita da uno stomaco butterato dai buchi del vaiolo.
      Responsabili e irresponsabili allo stesso momento
      rogitiamo case come se dovessimo vivere in eterno,
      non ci fidiamo a essere padri o madri e, con nonchalance,
      adottiamo amori destinati a non sopravvivere un decennio
      non vediamo l’ora, dopo una giornata, che il destino ci scodinzoli alla porta
      e non ci rendiamo conto, allo specchio, di barattarci con tigri di carta.
      Pure va tutto bene e non c’è niente che funziona,
      attento alle calorie in eccesso, col contapassi da asino da soma,
      bulimizzo ogni sentimento, enigmatico come la sfinge di Chefren,
      nessuno saprà mai se sono pago o sto a tre metri dall’overdose d’En,
      ubiquo nell’arena, sotto il drappo rosso, bovino dall’aspetto esangue,
      non si capisce se sono qui o vorrei stare ovunque.

      RIDATEMI I MIEI VERSI

      Se non sono ancora in grado di scrivere versi
      mamma, è perché sono finito tra gli encefali persi,
      mamma, amavo una donna prima che fosse nata
      e la mia serotonina si è trovata abbandonata.
      Ho cantato dei deboli, dei distrutti, i miei scarti di magazzino
      non credevo di diventare anche io flessibile come un manichino,
      della consistenza di un esacerbato Krusty il clown
      detonato senza miccia da giorni up e giorni down.
      E io scrivo, versi disprezzati da me stesso e dalla popolazione,
      mentre tu, con una valigetta rosa, prendevi il largo alla stazione,
      senza nemmeno renderti conto che io ero caduto
      nel fango dei miei neuroni come se fossero un anacoluto.
      Se mi riuscisse un nodo scorsoio mi appiccherei a un albero
      perché a me non resta l’alternativa tra il suicidio e il ricovero,
      io nel mio fegato so che è cosa mia
      in pubblico continuiamo con la terapia.

      IL NOSTRO BIMBO AVREBBE AVUTO OCCHI BELLI

      Il nostro bimbo avrebbe avuto occhi belli,
      la tua smania di vivere e i miei momenti chiusi
      avrebbe avuto mille diavoli tra i capelli
      guizzanti nei suoi cento Parnasi.
      Il nostro bimbo avrebbe avuto le stigmate,
      e avrebbe intessuto fittissimi dialoghi con gli animali,
      il tuo viso scuro delle cavallerizze sarmate
      il mio amore viscerale di versi e madrigali.
      Il nostro bimbo non sarebbe mai cresciuto,
      imbrigliato di una rete di ragni caramellati
      non avrebbe mai avuto bisogno d’aiuto
      tutelato da buffoni loricati.
      Il nostro bimbo mai nato,
      schiavo d’un qualche Durex lubrificato,
      è un’occasione chiusa nel mio diaframma cardiotoracico,
      immerso, ferito, in una membrana d’arsenico.

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      Poesia sabbatica: -153-

      31 sabato Mag 2025

      Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA, Poesia sabbatica

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      Francesco Palmieri, Solo parole d'amore

       

      -153-

       

      ti ho aspettato

       

      come il grano l’acqua

      come l’infermo il farmaco

      come la grazia

      al condannato a morte

       

      ho aspettato che arrivassi

       

      con l’ultimo treno

      all’ultimo minuto

      gridando il mio nome

      quando già andavo via

       

      ma forse un ritardo

      gli orologi discordi

      un contrattempo imprevisto

      e non ti ho visto arrivare

       

      ora cercami tu (amore)

      sai il nome e cognome

      l’indirizzo di casa

      io abito lì.

      *
      *
      *

      *
      Francesco Palmieri
      *
      (dalla raccolta inedita “Solo parole d’amore”, revisione della raccolta “Studi lirici” edita
      *
      da “La Vita Felice”)

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      Venerdì dispari

      30 venerdì Mag 2025

      Posted by frantoli in POESIA, Venerdì dispari

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      Francesco Tontoli, Le donne della mia vita

      Le donne della mia vita

      Cosa avranno da dirmi le donne della mia vita
      ognuna sfilando una perla alla collana
      ognuna aggiungendo sabbia nel deserto
      ognuna portando
      un chicco di grano al magazzino ?

      Le donne che hanno preso
      il gioco dei miei pensieri
      quelle che si sono lasciate scorrere trapassandomi
      cosa avranno da nascondere tra i denti ?

      E dietro quegli occhi messi in prospettiva
      che mi si perdono in gola e che tutti ho bevuto
      succhiando dagli sguardi il luccichìo della vita
      cosa cercano di consegnarmi,
      quale oggetto oscuro
      quale cartiglio segreto,
      quale gesto incomprensibile?

      Forse vogliono solo rubare
      il filo d’erba che ho in tasca
      che qualche volta stacco
      dal prato che calpesto.
      Forse vogliono solo
      camminarmi a fianco.

      Forse vogliono solo corrermi davanti
      come fanno le bambine
      ognuna inseguendo un palloncino.

      Francesco Tontoli

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      “La muta per amore” di Francesca Canobbio, Terra d’ulivi edizioni, 2024

      28 mercoledì Mag 2025

      Posted by Loredana Semantica in CRITICA LETTERARIA, Note critiche e note di lettura, Podcast

      ≈ 1 Commento

      Tag

      Francesca Canobbio, La muta per amore, Podcast

      “La muta per amore” è l’ultima opera di Francesca Canobbio stampata per i tipi di Terra d’ulivi edizioni nell’anno 2024. In copertina una foto dell’autrice, che mette in luce i grandi, magnetici occhi verdi.

      Il titolo “La muta per amore” ha per la sua prima parte un senso ambivalente. Muta come cambio di pelle quale avviene per certi animali che abbandonano la pelle vecchia per venirne fuori con una tutta nuova che li ricopre. Pronti a vivere un’altra fetta d’esistenza ringiovaniti, rigenerati, lucidi, levigati. Muta è anche il rinnovare di piume o pelo degli uccelli o dei mammiferi. In questo senso potrebbe intendersi “La muta” come  metamorfosi che “muta” radicalmente l’essere. “Muta” tuttavia  è anche l’aggettivo qualificativo che indica il fare silenzio declinato al genere femminile, potrebbe quindi voler alludere all’atto di tacere “per amore”. In entrambi i casi quest’ultima locuzione non lascia dubbio sulla seconda parte del titolo, la potente forza che ha ingenerato la trasformazione o provocato il mutismo. Dal silenzio, in particolare, è ben noto che spesso germogli la scrittura poetica.

      All’interno del libro tre sezioni,  la prima e più ampia, senza titolo, è arricchita dalle tavole pittoriche di Stefania Bergamini le altre sezioni sono  titolate “Le cinque fiamme” e “Temporalia”. La prima contiene, tra l’altro, le sottosezioni LA MUTA PILOTA, LA MUTA PAZIENZA, LA MUTA COMMOSSA, LA MUTA COMPAGNA, LA MUTA ROSA, LA MUTA SPASIMANTE, LA MUTA MISURA, LA MUTA RIDE, LA MUTA NOSTRA, LA MUTA CALIGO.

      Il trasformismo che anima “la muta” la offre allo sguardo nel fermo immagine di una pluralità di declinazioni che oscillano dalla sofferenza, alla tenerezza, dall’esitazione alla certezza, dalla dedizione alla nudità. Quest’ultima spalanca le porte dell’introspezione, un onere d’indagare a cui non è aliena l’espressione poetica. Si direbbe, nell’insistenza del vocabolo, che sia il tacere a produrre il frutto.

      L’opera si compone per la maggior parte di scritti in prosa poetica, caratterizzati dalla quasi totale assenza di segni di interpunzione e da un’abbondanza di relativi (“che”, “dove”), nonché dall’andamento tipico del flusso di coscienza, nel quale immagini, ricordi, sensazioni, pensieri, desideri fluiscono inarrestabili fino al punto fermo che delimita l’enucleazione. Pochi testi hanno invece la forma più consueta della poesia, con i versi delimitati dagli a capo. Queste poesie segnano un apice dove, pur nella brevità, il dettato si distende, amplifica, esalta e puntualizza “che sei scheletro dei miei mondi”, rivolgendosi a un “tu” che è anche “musica” “tamburo d’ossa”, “spina dorsale”. Un’essenza in seconda persona singolare, spesso chiamata in causa, che si pone al vertice dell’architettura fondante l’interiorità e l’armonia dell’interlocutrice.

      Il tema che è la causa della “muta”, focalizzato fin dal titolo, è l’amore. In tal senso è centrale la poesia di pag. 25 (vedi la prima immagine qui sotto), che reca appunto questo titolo. La scrittura riverbera il sentimento amoroso. Serpeggiano in tutta l’opera la sensualità e la sessualità che lo pervadono. L’alleanza potenzia il singolo proiettato nel rapporto e lo esalta in una pluralità di connessioni, nella varietà delle circostanze, nella combinazione degli elementi soggettivi e antropici, la complessità della relazione fiorisce in un dinamismo al contempo duplice – monolitico – molteplice. Come una rosa dai molti petali che, ciononostante, resta una. L’amore riluce nella percezione di un caleidoscopio – fantasmagoria di forme e colori -, ma è consapevole anche di un dopo o oltre, al quale, nel viluppo della ramificazione tende, perchè sbocco inevitabile che, di contro, libera dalla materialità e dalla materia, dal corpo e dalle necessità. Punto di approdo per l’esplicazione totale del sentire amoroso esteso oltre ogni delimitazione dell’empirico.

      La prefazione all’opera è di Francesco Forlani, chiude Paolo Ivaldi con la postfazione.

      Loredana Semantica

      Di seguito una breve lettura di Loredana Semantica di una poesia di Francesca Canobbio tratta dalla raccolta “La muta per amore”, Terra d’ulivi edizioni, 2024

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      Cinque inediti di Jacopo Pignatiello

      26 lunedì Mag 2025

      Posted by Deborah Mega in POESIA

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      Tag

      Inediti, Jacopo Pignatiello

      Epitaphium

      il silenzio s’imprime sulla terra
      e tutto si schiaccia col suo peso
      la sera va mi toglie un altro giorno
      nel buio resta il tempo che non vivo

      *

      Asfissia

      la notte sa di ferro e di saliva
      stringe con la morsa un fello fiato
      stritola l’atra pressa punitiva
      la bocca spasma un nome non sfiatato
      la trista ombra strangola ogni promessa
      la vita si contorce e poi si arresta

      (così morì la sua bella voce
      lasciando il silenzio boia feroce)

      *

      Nos quoque floruimus, sed flos erat ille caducus

      Mi dirigo sulle strade di marzo.
      Corro finché resisto, l’ombra sfiora
      l’asfalto frantumato dalle attese.
      Resta muta la casa erta sul campo.

      Chiedo alle margherite con le dita
      inquiete. I petali gialli cadono
      vorticando lungo i passi veloci,
      i non deturpano il volto del cielo.

      La primavera si schianta sul mondo:
      fiato di terra che torna a salire.
      Entra nel naso, si avventa sul petto,
      il verde azzanna e lascia il suo vuoto.

      Arrivo alla chiesa di pietre e sogni,
      sento l’eco di un sì mai pronunciato.
      Il fiore di un pesco cade appassito.
      Il sole insiste, ma resta l’inverno.

      *

      Alba rossa, o vento o giozza

      galleggia nel fuoco la laguna
      sui marmi i ricordi si frantumano
      la pelle trova sollievo al buio
      continua a bruciare al sole

      cerco quegli occhi nei visi mascherati
      mentre il vuoto pulsa nelle vene
      e l’abisso mi sorride voluttuoso

      alla stazione corre uno zaino
      sembra il suo quello bordeaux
      è un lampo un battito
      un breve varco nel tempo
      un salto in un cerchio di fumo
      inseguo tra la folla la mia follia
      corro il fiato si spezza
      la sagoma scatta subito via
      e svanisce silenziosa tra i passi

      riprendo il cammino
      con il suo cuore in tasca
      e i pensieri che annegano nel mare
      coperti dalla tenue scia di una gondola

      è stata luce attesa che freme
      la grazia che vizia
      la magia che mai sazia
      ma poi alla sera mestizia e tristizia

      ora è vento che tace

      *

      Alba

      le labbra sfiorano il bordo
      della tazza rossa bollente
      il suo fiato caldo mi bacia
      e gioca come una bimba
      appannandomi gli occhiali
      è il suo buondì

      osservo assonnato
      il vapore danzare lento
      scorrere con garbo
      sfaldarsi informe
      tenue tremula bruma che vagando
      imita la mente intorpidita
      ed evoca l’eco
      di un pensiero che non torna

      forse perché devo destarmi
      ma sento di voler dire
      qualcosa che ho perso
      è come un’ombra che indugia
      con passo esitante sulla porta
      rossa anche quella

      fisso per un po’ un punto nel vuoto
      il nescafé si sta raffreddando
      il velo acqueo si dirada
      assaporo gli ultimi sorsi
      osservo l’immagine sul fondo
      e la trovo indecifrabile

      la luce si affaccia
      bussando piano sui vetri
      prima di stendersi sul tavolo
      e illuminare
      le briciole di ieri sera

      il tempo si piega
      ma il giorno
      seppur senza fretta
      senza scuse
      s’incammina comunque
      prima di me

       

      Nota biografica

      Jacopo Pignatiello si è laureato in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi in Letterature comparate. Attualmente insegna discipline storiche e letterarie nelle scuole superiori. Ha curato contributi di ricerca letteraria e storica pubblicati in periodici, atti di convegni e miscellanee. Alcuni suoi componimenti sono apparsi su delle riviste online e in delle antologie poetiche.

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      Poesia sabbatica: -31-

      24 sabato Mag 2025

      Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA, Poesia sabbatica

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      Francesco Palmieri, Mr Hyde o del profondo abisso

       

      -31-

       

       

      mi cerco

      tra una parola e l’altra

      nel pieno di una frase

      sotto la mattonella

      nel foro bruciacchiato

      in mezzo alla tovaglia

      nell’occhio tuo che passa

      e tu che non mi vedi

       

      mi cerco

      nel giallo delle sere di lampadine accese

      nel chiaro dei lampioni di una strada muta

      nel lieve della neve su cancellate e muri

      nel buio dei portoni sprangati quand’è notte

      sulle saracinesche chiuse di quando è già la sera

       

      e lo so che questa è attesa

      soffrendo fame e sete

      lo stare giù bocconi

      al peso di una croce

       

      lo so che si fa notte

      che un altro giorno è andato

      che niente è accaduto

      che così passa la vita.

      *
      *
      Francesco Palmieri
      *
      dalla raccolta inedita “Mr Hyde o del profondo abisso”)
      *

      Lettura dell’autore

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      Venerdì dispari

      23 venerdì Mag 2025

      Posted by frantoli in POESIA, Venerdì dispari

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      Francesco Tontoli, Intatti

      Intatti

      Non usciremo intatti da tutto questo
      contaminati i nostri corpi
      dalla furia dei tempi e dagli spari
      nei caroselli che sbandierano
      la latitanza della verità perduta
      la sostanza delle cose corrotta.

      Avremo a che fare con fenomeni che accadono
      con il nostro silenzio-assenso
      andremo a sbattere sulla parola amore
      che si dilegua in mille rivoli
      sul senso preciso da
      dare ai nostri precetti
      e i discorsi con i buoni propositi
      si disperderanno come le pagine del vangelo
      sulle bare dei papi.

      I Farisei stanno morendo tutti di stenti
      di bombe guidate da droni simili a mosche
      e si accartocciano davanti alla ferocia del loro cielo
      così che le albe che nasceranno saranno vedove di dio.

      Le madri stanno addestrando I bambini
      a cercare chicchi di riso caduti dal becco
      di uccelli sazi e distratti.

      I padri dicono che vorrebbero
      almeno un piccolo tempio
      anche per adorare
      un solo vitello d’oro.

      Quanto a sacrificare il proprio figlio,
      tutti devono pensare a stento
      che si levi una mano per impedire al coltello
      di affondare senza che vi sia ragione.

      Francesco Tontoli

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      Domenico Setola, Inediti

      19 lunedì Mag 2025

      Posted by Deborah Mega in POESIA

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      Domenico Setola, Inediti

      Era un amico partito il plumbeo mattino,
      fra la polvere accumulata di questi libri.
      Dove è finito il petalo di sangue
      sotto la mano del vento?
      La nebbia del cuore e poi ti rivedo,
      fra te e me c’è sempre inverno.
      In quale rifugio starai tranquillo
      come una noce nel suo guscio?
      Vado solitario come un fiore nel bosco
      dove l’erba gioca, i tuoi passi
      al mio posto. La luce che scende
      una dolce promessa più grande del mare
      quel cielo che mi appare.
      È il peso del tuo manto svegliandosi
      la città, una donna piange di felicità
      cantando al sole una canzone,
      più antica e forte di ogni mia passione.

      *

      Parlami di te, dea d’oriente, il vento caldo
      terra rossa di Costantinopoli, esule del tempo, cercando la
      rotta di Istanbul.

      Stella che si abbarbica sulle Chiese
      d”oro e canti infiniti, scintillando fra i grandi cedri e la sabbia
      cocente del perdono.

      Racconta le pietre antiche di Megara
      quando il Bosforo irrompe come cielo
      azzurro fino al Corno d’oro fra lingue
      e volti dimenticati.

      Terra di mercanzìe e tramonti rosa, del mondo una sola
      immensa prosa.

      *

      Appunti di viaggio

      Dimenticare le antiche vie
      piovendo dal cielo la meraviglia
      di una certezza. Fra rumori e
      clacson, il vólto materno roseo
      come raggio di sole nella folla
      dei colori.
      Suonavano le pupille del cielo
      e l’ombra si specchiava a trotto
      fra sbuffi di nuvole sulla nuda terra.
      E indifesa rideva tra la parata
      dei superstiti, nel luogo di nessuno
      dove ci lasciammo.

      *

      Appunti di viaggio

      Se ieri è questo presente
      nel solco delle mani
      si consuma l’esistenza.
      E corre così
      da sponda a sponda
      nell’antica luce precipitata,
      l’alba sui vetri.
      Se breve è la notte
      il calore che davi,
      somiglia al silenzio
      la scia della memoria.

      *

      Sogno

      Se la notte ha un vólto
      è il tragitto di uno scandalo
      nelle sere d’agosto
      il mare dei suoi occhi,
      le lunghe serate
      in compagnia, coi libri
      ricordati delle storie
      al tavolo di un bar.

      Se la notte ha un vólto
      è la promessa del
      ricordo, un lungo
      dimenticarsi che
      sfiorisce al cuore,
      la primula sbocciata
      forse il primo amore
      nascosto il primo bacio
      labbra tutto ardore.

      *

      Il tempo mi educò al dolore
      al gesto sacro del silenzio mentre
      le insistenti correnti del reale
      s’addensavano nella mano
      rovesciata.
      Né ebbi garanzie d’esistenza
      per il mio corpo
      se non dove si srotolava
      la grazia casuale che ha
      scelto la forma delle mani.
      E continuo a ripetere
      i miei momenti più lontani
      l’infanzia, l’incosciente pubertà,
      l’incertezza di sempre.

      *

      Appunti di viaggio

      Quel cielo era sopravvivenza
      dei caduti quando l’amore esitava
      e dietro le nuvole appariva
      il suo vólto, il profumo di terra
      bagnata distante da me stesso.

      Era dicembre coi suoi paradigmi
      della solitudine e dell’amore.
      Le serrande dei bar appena
      alzate e la promessa di
      un peccato nascosta dietro
      i banconi.

      Fu l’aria tagliente, annuncio
      della tua voce a battere
      il tempo, quello dei sogni,
      addormentata la città
      al male lasciato risorgere.

      *

      Terra d’esilio la parola del libro
      la trama passata, staccata dal
      suo fiore. Ostinato amore tornare
      laggiù, i padri dicevano del tempo
      inciso sulla pelle.Tu sei nelle pietre
      cammino nel deserto dove cresce
      la follia, il sangue ribelle avevano
      le parole, violenza della luce che
      non muore.

      *

      Io credo nei venti, nelle lunazioni
      che orientano il passo, disgiunto
      l’essere dalla sua essenza.

      Da nord soffia forte sull’oceano
      dilagando al cuore quella voce
      che a stento ricordo.

      Io credo ai vólti, a ciò che sussurra
      l’incomunicabile, la stella ininterrotta
      che non dà tregua se la luce
      accede alla storia degli avi.

      Da qui ti vedo ancòra, origine
      del moto che spodesta il giorno
      correndo alla fine, miraggio d’infinito
      sottratto alla parola.

      Domenico Setola

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      Poesia sabbatica: “16”

      17 sabato Mag 2025

      Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA, Poesia sabbatica

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      Tag

      Francesco Palmieri, Mr Hyde o del profondo abisso

       

      16

       

      e allora mi sono messo in viaggio

      e ti ho cercata altrove

       

      ho bussato a mille porte

      credendo dietro ogni porta

      che avresti aperto tu

       

      ho camminato mille strade

      aspettando ad ogni incrocio

      che poi arrivassi tu

       

      ho inseguito cento spalle

      chiamandoti per nome

      e poi non eri tu

      ma solo un’altra faccia

      che non eri tu

       

      ho guardato in mille case

      ho ascoltato mille passi

      ho aspettato mille treni

      cercato in gallerie

      disceso mille scale

      e risalite a mille

       

      e tu soltanto un’ombra

      a rimanere scura,

      un lampo di memoria

      e poi ancora sera

       

      domani mi laverò la faccia

      mi pulirò dal sale

      un fiore rosso e vivo

      io prenderò un giardino

      e gli darò il tuo nome

      poi senz’acqua, senz’acqua,

      io lo vedrò morire.

      Francesco Palmieri 
      (dalla raccolta “Mr Hyde o del profondo abisso” – inedita)

       

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      Venerdì dispari

      16 venerdì Mag 2025

      Posted by frantoli in POESIA, Venerdì dispari

      ≈ 1 Commento

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      A che servono gli anni persi?, Francesco Tontoli

      A che servono gli anni persi?

      A che servono gli anni persi?
      ci vorrebbe un posto dove metterli
      uno ad uno versarli in recipienti adatti
      impilarli ordinatamente in magazzini
      e se sono tanti avere cura di sorprendersi
      a rievocarne lo smarrimento.
      Anni persi per aver rincorso le cose che correvano
      anni di immobilità e di silenzio come alberi
      che aspettano un’ultima fioritura
      anni compiuti nel dono del darsi pace
      veder crescere, annuire al mondo
      quando il mondo nemmeno ti chiede un parere.

      Di questi anni e di quelli che verranno,
      se verranno
      ho perduto quello che si perde cercando.
      Ho perduto le migliaia di rotte possibili
      stando fermo a fissare il soffitto nel letto
      marinaio, aviatore che fa quarantena
      guardando dal finestrino della sua nostalgia
      la costa che lentamente scorre.

      Francesco Tontoli

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      Monumento al mare: Arthur Conan Doyle

      15 giovedì Mag 2025

      Posted by emiliocapaccio in Monumento al mare, TRADUZIONI

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      Tag

      Arthur Conan Doyle, Emilio Capaccio, Monumento al mare, POESIA, TRADUZIONI

      Monumento al mare

      Arthur Conan Doyle (1859-1930), scozzese (foto web)

      DAL MAR DEL NORD
      (Traduzione di Emilio Capaccio)

      Le sue guance bagnate erano dagli sprizzi del Mar del Nord,
      andavamo dove ciottoli e marea s’incontrano;
      lunghe onde rotolavano da lontano
      facendo le fusa con arricciature ai nostri piedi.
      E come noi andavamo mi sembrò
      che tre vecchi amici si fossero rivisti quel giorno,
      il vecchio, vecchio cielo, il vecchio, vecchio mare,
      e l’amore, vecchio quanto loro.
      Veniva dal mare una bruma meditabonda,
      la vedemmo distendersi, piega su piega,
      e notammo il gran sole alchimista
      mutare tutto il suo bordo plumbeo in oro.
      Osservate bene, osservate bene, mia signora,
      il grigio sotto, l’oro sopra,
      solo così la vita più grigia può splendere
      tutta dorata in luce d’amore.

      *

      BY THE NORTH SEA

      Her cheek was wet with North Sea spray,
      we walked where tide and shingle meet;
      the long waves rolled from far away
      to purr in ripples at our feet.
      and as we walked it seemed to me
      that three old friends had met that day,
      the old, old sky, the old, old sea,
      and love, which is as old as they.
      Out seaward hung the brooding mist
      we saw it rolling, fold on fold,
      and marked the great Sun alchemist
      turn all its leaden edge to gold,
      look well, look well, oh lady mine,
      the gray below, the gold above,
      for so the grayest life may shine
      all golden in the light of love.

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      Mattia Bettoni, “Proiezioni ortogonali”, Arcipelago itaca, 2024.

      12 lunedì Mag 2025

      Posted by Deborah Mega in POESIA

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      Tag

      Mattia Bettoni, Proiezioni ortogonali

       

      Coro ammutolito (con tendenze cacofoniche)

      1
      Con le unghie raschio una ferita, fuoriesce del catrame, lurido nostro del
      noi sottocutaneo
      che cerco di scrollarmi di dosso. Scavassi più a fondo, grattassimo ancora
      un po’ di carne,
      troverei di nuovo il punto di avvio, ancora, ancora, ancora.
      Togliamo ogni venatura un po’ criptica (ridendo) e dico di morti,
      amicizie, colpe a capogiro
      che ritornano rovistando tra le piaghe un’altra volta. Mi confondo
      comunque
      con voi, maglia di catena che congiunge
      strade secondarie e campi inariditi
      insegne pubblicitarie e lampioni senza luce
      ronzio di fine mondo, suono che si scuce.

      *

      da ALTEZZE, ORTOGONALITÀ

       

      Fribourg – Lugano – Torino

      Se i ricordi sono incastrati tra i coni
      nel baratro della pupilla,
      so di esserci. Abitare quell’oscuro riflesso
      di assenza tra milioni di corpuscoli
      oblunghi e recettivi:
      perenne presenza dello scisma
      imprigionato tra sbarre anatomiche,
      millimetriche.

      *

       

      A Adele

      A volte una fame di niente può spezzare la fede.
      Hai lasciato in noi il potenziale e multiforme ricordo
      di un salto nel vuoto spiccato da un trampolino di lamiera,
      il rovello dell’impatto in una piscina di catrame,
      un rumore secolare di guscio che si
      frantuma ai piedi di un centro commerciale.
      Non sei scappata, hai deciso di tuffarti, olimpionica,
      e il grido che non hai emesso vibra negli amici
      lacerandone le viscere
      e ricorda sempre che il sempre sfuma dalle mani
      e sale al cielo fuggendo la vista.

      *

       

      et lux perpetua luceat eis
      avresti voluto questo per noi
      ma forse risplendere non è nelle mie corde
      e se lo è stato nelle tue
      il tuo cuore immobile, novaculite
      sedimentaria, diventa osso rotto
      divorato dal tempo.

      Anche io di nuovo
      avrei voluto incontrarti, credere
      che tutto stia in nessun luogo
      ma il luogo è proprio questo
      e si contorce all’infinito su se stesso
      mentre il cuore ancora non batte,
      non segna ore e minuti,
      per scelta ti abbandoni al cuscino
      all’ultimo fiotto di sangue che
      dalle mucose colora di rosso
      l’istante della tua morte.

       

      *

       

      Se tutto è in qualche modo misurabile
      deve esserlo anche questa morte:
      pochi decimetri di diametro
      settanta metri di profondità
      tredici giorni di scavi
      due anni di vita.
      Quando la devozione cede
      il buio non risuona
      resta muto. Si rinnova
      per qualche giorno l’incubo di Alfredino
      e il baratro che ti ingoia a Totalán
      è ancora udibile nei macchinari
      che lentamente provvedono e piangono
      la messa in sicurezza dei terreni.

       

      *

      da UNA CODA

       

      Processi mitopoietici

      In Corea, quando il sole sorge
      dai monti Taebaek non somiglia
      ad una sottospecie di divinità in fiamme.
      Non è che se stesso depotenziato da
      ogni possibile occidentalismo mitopoietico.

      Nei campi di lavoro c’è chi, ancora incerto
      di vederne l’arrivo, bacia i propri figli svegliandoli
      dal sonno. Non tira un sospiro, inala l’aria
      e la trattiene più che può nei polmoni,
      per non disperderne il possibile valore di mercato.

      In ogni caso, nelle scuole si studia la storia della famiglia
      da sapere a memoria per il compito in classe
      compresa di ideologie politiche e tradizioni. Ad ognuno
      la sua mitologia: anche noi abbiamo avuto la nostra
      mio nonno la studiò a scuola, nella bergamasca,
      conobbe le leggi, la repressione che solo parzialmente cede
      per ripresentarsi alla porta col suo ghigno politico.

       

      *

       

      da UN’ALTRA VOLTA

       

      Un moto di sonno socchiude le palpebre
      una voce preoccupata arresta in un istante
      il battito feroce dei corpi, contrae muscoli
      e articolazioni in mioclonie notturne.
      È una delle tante istantanee possibili, un frame,
      il cortocircuito di un tempo che non si realizza
      il futuro in immagine che tuona, il garrito
      di un tempo che si sfalda

      e percuote antico dal passato. Ripetere
      è allora la forma di espressione più frequente,
      una proiezione ortogonale che invade
      lo spazio del possibile reiterandosi un’altra volta ancora:
      così eri, così sei, così siamo quando la mattina dopo
      la luce ci sveglia nel desiderio di un abbraccio,
      così siamo distanti da chi soffre
      e a causa d’altri rinnova costantemente
      lo iato che persiste tra città e macerie.

       

      Mattia Bettoni, “Proiezioni ortogonali”, Arcipelago itaca, 2024. Postfazione di Massimo Gezzi.

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