Con questa rubrica si vorrebbe dare ‘voce viva’ a testi di diverso genere e ad autori noti e meno noti che di solito vengono conosciuti tramite lettura personale e spesso silenziosa. Senza nulla togliere alla profondità dell’esperienza soggettiva di immersione nel testo, con questo tentativo si vuole porre l’accento sulla modalità dell’ascolto e della compartecipazione acustica dell’espressione letteraria, così come accade quando assistiamo ad uno spettacolo teatrale o, più semplicemente, quando dialoghiamo. La scelta di autori e testi sarà a cura della redazione, tuttavia non si esclude che potranno essere prese in considerazione proposte di lettura su iniziativa di esterni alla stessa redazione, avendo cura di inviare copia del testo proposto. Solo un’avvertenza: la voce narrante è quella di un lettore comune e non l’espressione professionale di un attore, così come l’ambiente operativo che non è uno studio di registrazione.
William Shakespeare, Monologo di Amleto, Atto III, Scena I
Essere, o non essere, questo è il problema:
se sia più nobile soffrire nella mente
i colpi di fionda o le frecce di un’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, farli cessare per sempre?
Morire, dormire… nient’altro, e con il sonno porre fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne:
questa sì sarebbe una conclusione
di cui essere grati agli dei. Morire, dormire.
Dormire…forse sognare. Sì, è qui l’ostacolo
perché in quel sonno di morte non sappiamo la specie dei sogni
che possono venire, dopo che ci siamo cavati di dosso
questo groviglio di carne mortale…Ed è questo l’ignoto
che dà alla sventura di essere nati, una vita così lunga,
perché chi sopporterebbe altrimenti le frustate e gli scherni del tempo,
il piede dell’oppressore, le prepotenze dell’uomo superbo,
il dolore dell’amore rifiutato e deriso, le ingiustizie della legge,
l’insolenza dei potenti e il disprezzo che la virtù riceve dagli indegni
quando egli stesso potrebbe darsi quiete con un solo colpo di pugnale?
Chi porterebbe tali fardelli, gemendo e sudando sotto il peso di una
vita di stenti e fatica, se non fosse che il terrore del dopo morte, questo paese
inesplorato dalla cui frontiera nessuno fa ritorno sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che correre veloci
verso altri
che non conosciamo?
È così che la coscienza dell’ignoto ci rende tutti codardi,
è così che il colore naturale dell’azione risoluta, è fatto pallido dalla cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e ardimento perdono vigore e forza fino a scomparire
senza più un ricordo.
Trad. e riadatt. di Francesco Palmieri
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