
Piet Mondrian, Composition with large red plane, yellow, black, grey and blue (1921)
La poesia è anche incontro, una geometria di rette a volte parallele, altre volte perpendicolari. Similmente al quadro di Mondrian un reticolato vivo e riccamente colorato. Nell’ambito della rubrica Versi Trasversali, presentiamo la poesia di …
ANDREA TERRENI
L’ODIO
Odiare ti brucia da dentro.
Chi pensa di potersi salvare dai sensi di colpa, attraverso l’odio, si sbaglia. L’odio è un virus che entra nella pelle e s’irradia attraverso i capillari, le vene, le arterie. Contrae i muscoli e arriva agli organi. L’odio non è una condizione che si sceglie, è un divenire dopo non aver avuto scelta, è una malattia.
Odiare diventa una condizione non rinunciabile dell’esistenza, un bisogno fisico simile ad una convulsione; una pulsione irrefrenabile che gonfia lo stomaco e attraverso la gola si scioglie, dopo aver ruggito.
La rabbia provoca l’odio.
E non c’è cosa più ingiusta che comprendere tutto questo, sentirlo crescere e muoversi dentro al ventre, come un feto che muta. Puoi piangere, e lo fai. Cerchi il buio per nasconderti dagli occhi degli altri, sorridi e disegni per te stesso un vestito di festa e giovialità. Eppure culli quel mostro, portandolo ad osservare tutto quello che nel freddo della tua stanza, trasforma il tuo sorriso in una maschera smostrata.
Lo sai, quel brivido elettrico percorre le braccia, rimbalza nel vuoto e torna al cervello, mostrando soluzioni e sofferenza.
Ti alzi dal letto, e chiudi il varco all’oblio con la chiave: una pallina che sciogli nel labbro chiedendo dignità.
*
I bambini sorridono sempre
nel candore dei loro passi
si nutrono del calore spontaneo,
non gli si chiede ricompensa
che non sia sorridere o crescere.
I bambini vanno avanti liberi
non misurano falcate o pensieri,
imbrattano con ogni idea il cammino.
Ed ecco mani grandi a sorreggerli,
innaffiare sogni, pulire lacrime.
I bambini non ascoltano affranti,
non suppongono,
di altrui capricci sono innocenti,
d’ogni abuso nascosto nei sussurri.
I bambini prosperano,
io imparavo ad odiare.
*
Pensarmi diviso strappa
il petto,
a morsi feroci
e getta davanti ai miei piedi
forme senzienti invalicabili
e il respiro
appena
permette
di rimanere vivo
nonostante il sangue che cola
dall’anima aperta.
*
Maschere,
pigre, accartocciate sulle scale della vita,
rincorrere
sguardi e ombre nascoste, negli avamposti rimasti,
distruggono,
effimere il rimorso per esser sempre vivi,
rinnegano
il dolore, degli anni avviliti dal vento.
Esplosioni,
scintille lasciate deflagrare su abili costruzioni mentali
fermentate,
in arti di cenere abilmente sfumata nel fuoco a sparire,
piangono
immobili sorrisi, di sguardi fissi e petti di plastica
annegata
nei fiumi di lacrime dei bimbi che non matureranno.
*
PIANTO SECONDO
Pensai
il ritorno del silenzio.
Ammucchiata speme infausta
di risalir dal ventre
alla cavità del parlare.
Silenzio.
Occhiate tumefatte
di naturalezza orfane,
non danze o canti
ma vuota esposizione.
Sostituzione d’essenza
arricchimento dell’io,
ma cavo di polpa
soltanto
immagine esplosa.
Non ebbe a sperar d’aver torto
chi chiuse l’antica contesa
del giusto, trovare in altrui
adesso esaltato apparire.
*
Mai ebbi dubbi
eppure lei non seppe, sempre,
di cristallina immagine,
riconoscere nei miei specchi
una strada,
che potea condurla in salvo;
lungo fu quell’esimio cammino,
di giorni a mostrar passione e giubilo,
fermo, nell’assordante brusio del cuore
non nascosi, solo e sempre a lei,
il fervore del sentimento innocente.
E li dove appoggia i suoi sogni
ho nascosto al mondo i suoi doni.
*
Ho una carezza per la tua attesa,
non un sorriso
nè una parola
orme sbiadite.
Ho chiuso gli occhi mentre vivevo
non so dirti l’errore
se vuoi ho del dolore
se vuoi facciamo pace.
*
Eppure è di speranza che mi fregio,
non come saperla spendere,
ottenerne, mistificarla ad arte,
non credo si possa insegnare.
Ho lei che tengo in un palmo
e annuso a bisogno e sue parole,
non credo si possa insegnare,
ma un giglio che sboccia da niente
mi prende per mano se sdoppio
il mio essere improprio.
Non credo si possa insegnare,
ma un giorno ho lasciato un po’ aperto
riscontro mi ha preso alle spalle
e adesso non oso cadere,
c’è lei che dal suo comodino
estrae quella chiave segreta
che mi apre per togliere un poco
di male che porto dai tempi,
i tempi in cui ero bambino
e scelsi di crescere in tempo
per prender la strada del vento
Testi tratti da “Paroxetina” di Andrea Terreni – NullaDie Editore, 2021.
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