Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di
Francesco Palmieri
Da “Studi lirici (solo parole d’amore)” edizioni La Vita Felice, ottobre 2012
QUANDO TI TROVERO’
quando ti troverò amore
tu non volterai lo sguardo
da un’altra parte
quando ti troverò
tu non mi lascerai solo
nella strada
né ti nasconderai più
perché io ti rincorra
con troppo fiato nella gola
quando ti troverò amore
tu non avrai un segreto
da nascondere,
tu non avrai segreti
quando ti troverò
tu non giocherai
al gatto e al topo
e non sarai tu il gatto
non sarò io il topo
quando ti troverò amore
sarà una giornata d’estate
e ci saranno i fiori nei giardini,
il vento profumerà di rose
e brillerà il sole
negli occhi tuoi d’estate
e di fiori
quando ti troverò amore
tu mi chiamerai per nome
ed io ti chiamerò per nome
e per tutto il giorno
noi non ci lasceremo mai
noi non ci lasceremo più.
[ED ORA]
ed ora
che mi hai dannato al gelo,
posso stare qui o altrove
sopra o sottoterra,
al centro della stanza
o lungo cento strade,
posso respirare
o tapparmi naso e bocca,
uscire se c’è il sole
o buttare via la chiave,
posso apparecchiare
o guardare com’è profondo un piatto,
posso sentirmi carne
o solo un po’ di fumo
posso coprirmi ancora
o strapparmi anche la pelle,
sentire tutto il tremito
lo scricchiolio del ghiaccio
ed ora
che mi hai dannato al gelo,
ho fatto dell’inverno la mia casa,
domani in un giardino
io sarò l’albero
e tu la neve.
Da “Fra improbabile cielo e terra certa” Edizioni Terra d’ulivi, gennaio 2015
PASSAGGIO DI CONSEGNE
conserva queste mie parole
per quando verrà il tuo inverno
(lo vedrai sui rami
di alberi a fine autunno,
su un’altalena ferma
nei parchi di novembre,
nel freddo sulle mani
e i passeri sul filo
a prendere la neve,
lo sentirai nel ghiaccio
che incrosta a fior di pelle
e non ci sarà più scialle
a trattenere stelle,
non ci sarà più tempo
per altro giro e danza,
e lo saprai per certo
che è solo andata il viaggio
e non c’è freno ai giorni,
non uno che ritorni,
che l’essere felici è stato breve
per noi che siamo ore
ma abbiamo sottopelle
l’impronta dell’eterno),
conserva queste mie parole
per quando verrà il tuo inverno
e un passo dietro l’altro
tu ti farai da parte
a chi chiederà la strada
per le sue gambe forti
per il vento sulle spalle
l’avanzo dei domani
la creta nelle mani
(e non avrà sospetto
che tu hai ancora fame
che spasimo è il suo seno
che aspetti un altro treno
ed è un obbligo di carne
il decreto che tradisce,
un computo di giorni
a fare il vuoto intorno),
non un respiro in più
da questo inverno mio
e neanche una parola
per la consolazione,
sarà solo sapere
che tutto quanto è stato,
che sono andato avanti
nel solco di discesa
che fa più estranei i vivi
e meno lontani i morti.
IL GIOCO DELLA VERITÀ
bruciare fino all’ultima scintilla,
questo tocca,
strappare con i denti dalla pelle
la residua piuma che ti resta
recidere lo spago ai palloni nella testa,
pungere le bolle per lo scoppio
e sia l’aria e il nulla
l’inconsistente che li tiene
domani
al cenno lieve della luce,
riporrò i vestiti sulla porta
e uscirò nudo
al ghiaccio che c’è fuori
in cielo
in terra
e dappertutto.
Da “Il male nascosto” Edizioni Terra d’ulivi, maggio 2016
LA QUINTA STAGIONE
ormai non ci credo più, io,
che camminavo con occhi spalancati e luci,
io, che ogni mattina correvo sul balcone
ad aspettare rondini d’aprile
e fiori freschi e nuovi esplosi dentro ai vasi,
che a novembre uscivo all’ora dei lampioni
(e piovesse, speravo, quell’acqua venuta da lontano)
e dalle case un chiudersi di porte
le voci dei bambini a chiedere la cena
non ci credo più, io,
che ho conosciuto campi a farsi grano
e le cicale pigre nei pomeriggi lunghi
papaveri, rosso e ulivi
e poi l’ottobre e l’uva,
le giacche più pesanti
riprese dagli armadi
erano gli anni del rosario a maggio,
del pane segnato dalla croce,
di Cristo che moriva verso sera
e alla domenica campane e voli a riportarlo in vita
(ed era festa nei vestiti nuovi,
nelle cucine accese di mattina presto)
era la primavera e poi l’estate,
era l’autunno e poi l’inverno,
era l’attesa certa di un ritorno
e tornavano a novembre anche i morti
quando s’accendevano lumini sotto ai quadri
e si cuoceva il pane con l’uva passa e il vino
ormai non ci credo più
e so per certo che nessuno torna
mai niente che ritorni.
IL MALE NASCOSTO
mai ti mostrerò le mie ferite
(e il piatto da lavare nel lavello
la polvere che cresce già nell’angolo
il libri aperti e chiusi ad uno ad uno
perché non c’è parola che mi salvi)
vedrai con i tuoi occhi il corpo intatto
il nodo fatto bene alla cravatta
il viso che sorride senza barba
ed io che dico in chiaro: tutto bene
(e no, tu non saprai
che sotto alla mia giacca
ho sempre una camicia
con uno squarcio netto in mezzo petto).
Da “Biografie” Edizioni Terra d’ulivi, maggio 2019
COME CI SI ACCORGE
come ci si accorge
quando l’anima è perduta
e non più ha scosse il sangue
e rimane il camminare
dare fuoco al gas
per qualcosa da mangiare
pulire vetri e panni
lavare il pavimento
credevi alla scommessa
che dio c’era anche nei sassi
e comunque e in ogni caso
noi si era un po’ speciali
(ma non bastò una candela
a fermare il temporale
-fu mia nonna che l’accese
e la posò sul davanzale,
chiamò angeli e beati
martiri e santi in paradiso-
ma venne grandine dal cielo
che spezzò tutte le spighe)
si diceva che c’è un fine
al passaggio di noi qui a terra,
che siamo tutti sottopelle
particelle d’universo,
che in fondo al ciclo naturale
cesserà ogni dolore
e senza carne e né più tempo
non avremo noi paura
forse l’anima era quella
pensare buone tutte le cose
avere in corpo mille vite
e tu per sempre bella
vaniglia fra i capelli
forse l’anima era quella,
quel guardare dietro ai vetri
come scendeva giù la neve
e sentir tremare dentro
quanto bianco, quanto silenzio,
e nessun freddo, neanche un brivido,
nemmeno quando senza guanti
prendemmo il ghiaccio fra le mani.
(A MIA FIGLIA)
ricordami come mano
un passo alle spalle
a guardarti il cammino
ricordami all’angolo
come una fotografia
tra la mensola e il muro,
come il gattino, l’orsetto,
ora in fondo alla cesta
e se ti verrò in mente
qualche giorno o per anni,
tu fammi leggero
scarta errori e dolori
sfoglia il velo di nero
delle colpe a mio nome
poi di quelle accadute
senza averle volute
guarda all’attimo puro
quando io padre e tu figlia
stavo avanti nel buio
per le ombre sui muri
l’improvvisa paura
e ricordami un breve
ricordami lieve
sarò morto due volte
se sarò sulle spalle
un altro peso di croce.
[IL PASSERO]
il passero
preso nella stretta
sembra più domestico
mangia
beve
quando è sera dorme
solo certe notti
sbatte un po’ le ali
cinguetta dentro al sonno
forse sogna.