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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Canto presente

Canto presente 59: Francesca Tuscano

13 giovedì Ott 2022

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

≈ 1 Commento

Tag

Canto presente, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Francesca Tuscano

Poesie per Agostino

Anche l’amore ha un peso, il
Giusto peso che diventa ombra
Opposta all’assenza di luce. E
Se guardi tra il ramo,
Tutto si fa frammento,
Indispensabile al tutto.
Non si dice la bellezza,
O non è più. Così è per l’amore.

§§§

Ballata della luna nuova

Lei non ricordava più le attese,
il respiro immobile di chi attende la pioggia.

Lui aveva occhi dolci come lo stagno,
le aiuole dei tulipani e la panchina degli errori.

Lei aveva perso lo scialle nero,
e i fiori che nessuno le aveva colto.

Lui fumava per dimenticare
l’ultima sigaretta di una memoria non sua.

Lei guardava il muro rosso
e il soldato con il falcone al braccio.

Lui si innamorava, e ascoltava
musica che nessuno aveva scritto.

La luna li accompagnava
dal lato sbagliato, e il destino ne rideva.

(Sempre ne ride il destino
dei calcoli dell’ombra che si pretende luce)

Ma lei lo vide, quando il tempo
la obbligò a seguire la strada che lui aveva fatto

anche per lei, quando lei non era
che una distrazione legata a un filo di nulla.

La luna li accompagnò dal lato giusto,
e nello stagno il frammento di luce sorrise –

questo è un fatto, e niente è più tenace di un fatto.
Amarsi fu, poi, come sorridere all’ombra che precede la vita.

§§§

Ballatina dell’ombra e del piombo

L’ombra che ci precede è il primo segno,
perché è l’ultimo – gli disse, e gli toccò il volto.

Essere della felicità del piombo,
che non può che cadere diritto

perché attratto dalla perfezione
che costringe a terra, nella forma della radice.

Ti amo – le disse – e la guardò
come chi ha l’ombra in sé e ne sorride.

Lei si piegò, consentì all’ombra
di entrare in lei prima di esprimerla,

e ricordò la forma del piombo
nel bicchiere del tempo.

L’innocenza mi ha portata a te – gli disse
– la tua innocenza, e la tua bocca.

Lui le sorrise come chi non ha mai saputo
e dunque sa. E lei seppe – che non avrebbe mai più

avuto un dio che non avesse le mani di lui.

§§§

La tua bocca sul mio seno tagliato.

(Niente come la luna divisa
sa dei nostri respiri.)

La tua bocca, e la mia,
e i sessi, le mani,
gli occhi. E la grazia
del dolore confuso alla parola
non detta dello stupore
chiamato piacere.

Molte cose hanno un inizio
che ne garantisce l’esistere.

Ma le tue mani tra le mie gambe ruvide
disconoscono il tempo,
che ha in odio
il mio sonno tra le tue braccia.

Il disegno blu del sogno
vive nell’acqua che mi offri.

Nel tuo sesso che è mio
è la ragione della sua esistenza.

(Niente come una stella
conosce il peso della morte,
e di questo vive)

Amore, finalmente sono cosa
senza essere nome.

E le tue mani
mi custodiscono,
come la parola necessaria
e perciò taciuta.

§§§

Ballata a forma di tango, al contrario

La tua mano che mi stringe il polso, senza farmi male,
e io che ti guardo, ancora pezzo di luna mancante,
mentre il mio corpo aspetta il tuo giudizio.

Le mani misurano l’attesa, sui fianchi;
la pelle giustifica il sorriso del ritorno,
e le bocche si attendono al limite, succhiandolo.

Il mio doppio ti offre la schiena come un respiro,
e tu lo prendi piano, per non svegliarmi,
per non dirmi della solitudine dell’ultimo passo
tra le gambe che s’intrecciano nelle pause mute.

Ti avessi amato al tempo del sorriso,
ancora nuova per un corpo non mio,
ancora certa della grazia della mano sul seno.

Mi avessi amata al tempo del ritmo che ora so
e non sapevo, prima di essere uno sguardo
chiuso contro la tua pelle e la mia tristezza.

Ma ora so, e la parola si chiude sul ventre non più sterile,
che attende la tua mano che mi stringe il polso,
mentre io ti guardo nella luna della fuga
per tornare, sempre, e ancora, in una libertà priva di scelta.

§§§

Non c’è altro
che questo sole indecente
su una piana di pale senza mulini
e fili elettrici coperti di storni.

Il giudizio preme sulla storia.
Ne fa cumulo di segni senza codice.

E io penso al tuo sesso
e alla mia bocca.

E il resto, tutto il resto,
è bestemmia.

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Canto presente 58: Cristina Simoncini

20 martedì Set 2022

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 58: Cristina Simoncini

Tag

Canto presente, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Cristina Simoncini

quando mi osservo da lontano
cercando tracce di un piano nel mio tempo
non vedo un essere compiuto
gli incastri assennati di una vita
piuttosto i pezzi sparsi, il corso sordo delle cose
non una trama ma un vasto repertorio
di me mai state fino in fondo, una babele
di disperse – ognuna intenta a far mondo,
a recitare da sola la sua parte

*
mia madre non è morta in una volta sola
non l’ha spenta un ultimo fatidico respiro
come succede al resto della gente
se n’è andata con calma cominciando dai piedi
che si son fatti duri e gelidi come nelle statue
interrompendo il transito dei passi
poi è toccato al marmo delle braccia
arreso in una croce sul torace
che a fatica sotto quel peso si sollevava
gli occhi impauriti sono rientrati
nell’abisso insondabile dell’interiore
l'ultimo è stato il naso scolorito
che sventolava a mezz’asta in segno di commiato
quel poco di lei che rimaneva
stava intanato nel muscolo cardiaco
diffondeva nell’aria piccole pulsazioni
un alfabeto Morse con cui esortava
le persone amate, Su, fate presto, salutate!

*
giorni severi, eravamo assediati
da sconfitte, eppure proiettavi un sorriso
che avremmo cercato invano sulla bocca:
si riversava da uno scatto – una frattura,
lasciando una coda di luce nella stanza

*
negli occhi di mia madre a giorni
brillava una luce inviolabile
c’è sempre un segreto negli altri
una maniera di mancare
la vedevo affacciarsi a una finestra
e con un tintinnio innocente di parole
scivolare fuori dal suo vero
allontanare il grido dalla bocca

*

lo spazio intorno a te un colmo
ogni punto pervaso di prodigio
e piedi in fila, uno dopo l’altro
un’invasione – l’attrazione esercitata
dal mutare di colpo degli sguardi
quotidiano animato qui e ora

spiava taciturna in controluce
gli occhi puntati sulla filigrana
soffriva del filamento lucente
latenza del vero che in te affiorava
saldatura dietro la trasparenza
sapeva bene che non era sua

*
se non abitavate nella casa
accadeva qualcosa – ogni stanza
restava solidale col suo volto
in quel vuoto la vitalità si attardava
risaliva piano le pareti
piccoli angeli ammassati sulle
mensole cadendo nella memoria
seminavano colori, il tempo stava
nascosto negli armadi, nell’ottusa
misericordia dei vestiti

non è vero che una vita
è una volta sola, una volta
è l’avvertimento del destino

*
adesso prova a immaginare
la bambina che vola
sulla discesa scardinata
niente appigli
la bici senza freni
apre i piedini come ali
su un turbine di sassi
è leggera dentro la paura,
veloce – non ha tenuta
non c’è memoria di vita
che si oppone, il sole
la segue da dietro
prima di sparire

non saprei come chiamare
l’istante in cui la testa
si rapprende in un’ipotesi
di morte – la periferia
inclina verso il niente
fa buio tra gli alberi
educati nei giardini –
se avrai fortuna
dal muro sbucheranno
braccia rampicanti
sarà uno sconosciuto
a rinnovarti il giorno.

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Canto presente 57: Isacco Turina

12 lunedì Set 2022

Posted by Deborah Mega in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

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Canto presente, Isacco Turina, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

ISACCO TURINA

Tre d’amore

Dimmi il fiore che porti nello stomaco

che porti nella mente.

Fiore scuro di paura

fiore giallo dello sforzo

fiore bianco dell’attesa.

Dimmi l’insetto che ti ronza intorno

la cicala che stride nell’orecchio

la sapienza del ragno che ti abita.

La forma che tu vedi è una follia:

sotto la giusta ombra intimamente

si muovono i giardini inconsapevoli.

Continua a leggere →

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Canto presente 56: Giorgia Deidda

06 martedì Set 2022

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 56: Giorgia Deidda

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Canto presente, Giorgia Deidda, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Giorgia Deidda

Ti sogno con le labbra rosso sangue,
ti sogno assorto nella pioggia.
Il volto livido, benefattore del cielo;
piango carnalmente il figlio perduto,
mi lascia spazio la voracità della luce;
sembra inghiottirmi in una cernita di gole.
Hai le mani bianco latte, screziate dalle gocce di sale.
Verrei a rompere la stasi che ti socchiude
ma non mi è concesso entrare nel mondo dei morti.
Abbiamo bocche terribili e un fagocito di cellule che respirano;
siamo vita mangiata dai cani e siamo affamati.
Deglutisco un cucchiaio di dolore –
lo combino con dell’acqua per mandarlo giù.
È la medicina, presa puntualmente, che regola i ritmi del cuore.
L’aculeo velenoso si conficca tra la mano e la piaga;
non sento niente.
E rimango sola dietro la finestra,
a guardare il tempo soccombere sulla lettiga di velluto,
lo guardo perire e cementare.
I cuscini si sono strappati,
non c’è più posto per riposare –
mi socchiudo il corpo in un ecometro compatto.
E non c’è ginocchio che tenga;
l’osso si distanzia e si deforma, crepa di venature violacee.
Come puntine nella notte accendo il lumicino
che rischiara la stanza;
è l’ombra che mi fa paura, mi terrorizza a tal punto
da farmi smettere di mordicchiare.
La testa del morto è grigia;
si muove a ritmi lenti e mi guarda dormire.
L’entrata della grotta è cavernosa –
tu mi dicesti: “guarda, sembra che il soffitto venga giù”.
Si squarciava il lembo per soverchiare il mare;
una traccia d’azzurro che pareva dire:
“io esisto”.

L’assenza si fa preghiera lontana.
Rannicchiata nel letto, a guardare le incrostazioni del soffitto,
io rivolgo gli occhi lontano,
li rivolgo alla tua mano,
caduca speranza che si fa rantolo di neonato.
Se per esempio tu dovessi esistere,
io annullerei la mia presenza in un turbinìo di vento,
ché non sarei più una cosa compatta,
ma un animale dilaniato dalle carni, senza occhi.
Le ossa bruciano e si spezzano,
ma le mani congiunte deviano la lontananza
in uno spergiuro di colpa.
Quando la notte dormo,
sento il tuo fiato sul collo, il caldo che mi alita vita,
e non sono più un essere dimenticato.
A volte si fa sangue il ricordo,
cola sui cuscini biancastri,
cola dal comodino dove posano gli orecchini.
E il rossetto copre il balbettìo stentato,
la smorfia che fa la mia bocca quando sorrido.
Non dimentico la tua voce;
una raucedine che si faceva poesia,
la mano attenta a sfogliare i libri danneggiati.
E crollo sotto terra,
dentro i vini dolciastri,
tremo il mio ventre in uno spasmo
che si fa colla
un’attaccatura per le cose che penzolano,
per l’afflitto e il ferito,
per il solo e la solitudine.
E urlo in un grido che il mare
Tossisce e trema.

Cammino con i sassi nella pancia;
l’osso sbuca dalle costole,
il cibo che non ho ingurgitato.
Si frappone la pioggia caduca tra la mia mano
E quella dell’altro –
È il verde rigolo che scende nei tombini fognari.
Si chiede qualche minuto in più per parlare,
ma la giornata è occupata come uno stendardo militare.
Le luminose fisse, dalla mia camera sono tutte cascate a terra –
È il segno che l’infanzia è stata recisa,
come coi tronchi degli alberi verdi.
Casa mia è lontana, si è fatta
Puntino di luce bucherellato da cui si intravede,
fioca, la luce delle candele.
Il cielo del terrazzo è diventato un piombo allargato,
pesante e plumbeo.
I tricicli arrugginiti sono sempre rimasti lì.
Ma casa mia non è più casa,
è un luogo sottile di morte,
di cavilli senza senso appiccicati con la ceralacca al frigorifero;
è l’ingordigia che viene bloccata
e al suo posto un passato di verdure,
per entrare nel vestito rosso.
È l’ansia che mozza il respiro,
il litigio nascosto tra le ragnatele ed i cunicoli,
è il cuscino che cola sulle notti d’ipersonnia,
è l’oggetto lanciato sulla fronte,
è ciò che si può dire male in tutte le sue forme.

Scavare l’osso per distogliere la carne;
lo scheletro muto regge il peso della gravità.
Si ascolta fuori come un fruscìo;
sono i monaci che stridono il campanello.
È notte –
Si condensa l’aria in un tono elegiaco,
fanno da coro gli uccelli notturni;
si intravedono solo occhi gialli.
E tira il vento, stira le foglie,
smuove i rami spezzati,
ulula alla luna bulbosa il suo tormento.
Il letto è nido d’api;
ogni notte mi vengono a pungere il cuore
per stillarne miele.
Le lenzuola non sono bianche,
ma di un leggero colore cremisi;
non le cambio da quando sei andato.
La bottiglia di vetro è sul tavolo;
dentro il liquido rosso sangue che cola
dalla saliva fino alla gola,
irretendo i sensi.
Il giorno mi ha sempre disgustata;
un pullulare a frotte di gente dai visi di sifilide,
stanchi e arrabbiati.
I fiori di campo crescono rigogliosi –
Una volta li strappai tutti e li feci cadere sulla tua tomba.
Miagola il gatto in cerca di cibo;
si acciambella sulle caviglie e guarda dicendo:
“sono qui”.

Aspro è il giorno per chi non ha dormito;
si contano le ore lentamente,
sgocciola il minuto sulla fronte,
una bomba ad orologeria –
un tessuto fine.
Si squarcia il cielo da cui sbucano i raggi timidi;
la morte è sorella e amante,
si fa astro nascente quando le cose smettono di respirare,
buca l’inchiostro la luce, i vescovadi cuciono e sfibrano le fila, si affannano i bambini verso il campo.
Nella luna io cerco la tua ombra;
mi è amaro il sapore che mi hai lasciato sulle labbra –
filano dritti i capelli come aghi d’ebano,
compatti.
La malattia sfebbra come neve al sole,
fioriscono i campi dimenticati,
si celebrano le feste pagane ballando
e bagnandosi la fronte benedetta.
L’amore è la culla dentro cui nasce la rosa,
la pietanza assaggiata con palato dolce,
il sorriso inasprito dai nervi contriti,
le mani che faticano il lavoro.
Coltivo piccole manie come neonati impudenti,
le vedo strillare e contorcersi come aborti,
una non essenza del tempo,
una noesi tra paradiso e inferno.
Fratello che non vedi,
ci sono albe misteriose dietro la tua tenda,
ci sono forbici tagliate sulla pelle,
ci sono occhi amari che contemplano l’assenza.
Sorella che piangi,
non vedi come le vesti silenziose ti calzano addosso,
non vedi come ti sei ridotta all’osso?
La tetra salma risponde dalla terra,
ci indica la via verso l’infinito.
E noi corriamo, ignari, sul prato ormeggiato,
calpestando le impronte di quelli che furono,
e che ci osservano dall’alto.
Mi senti forse? Sei sperduto nella notte,
ignaro del fantasma che regnava nella casa.
Io ti chiamo ogni giorno, sussurro il tuo nome al soffitto, in silenzio.
E giuro d’averti sentito in un sogno –
Parlavi al mio orecchio cose indicibili.
E mi sembra d’averti perso nuovamente,
nel grido onirico che resta muto.
Come curare i pensieri ossessivi

Sganciare ad una ad una
Le macchie di muschio
Abbarbicate sui fili nervosi.
Staccarli con cura come si fa con
Le pulci, un animale da compagnia.
Slegare la loro saliva smacchiata su tutti i cordoni e le cellule,
sventrare il nucleo che le tiene incollate
alla corteccia prefrontale.
Badate, non sarà semplice aprire un cranio;
le ossa si tritureranno e scalceranno come bambini capricciosi,
opponendo resistenza.
Ma voi bucherellate ciò che rimane e filtrate
Capienza e lama da taglio.
Tutte le macchie devono essere lavate via,
con un po’ di candeggina i tessuti non ne risentiranno.
L’importante è sgretolare le zampine che trasmettono le stesse immagini,
ore ed ore al giorno.
Disinnescare l’attimo in cui c’è pausa,
pinzare per bene il malfattore e tirare via.
Potrebbe essere necessario un batuffolo,
per tamponare lo zampillo.
Dopo aver rimosso tutte le macchie di muschio,
aver cura di accarezzare le parti lese
e chiedere scusa.
Dopodiché richiudere il cranio,
e godere di tutti i momenti,
la felicità.

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Canto presente 55: Francesco Palmieri

21 lunedì Feb 2022

Posted by Deborah Mega in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

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Canto presente, Francesco Palmieri, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Francesco Palmieri

 

Da “Studi lirici (solo parole d’amore)” edizioni La Vita Felice, ottobre 2012

 

QUANDO TI TROVERO’

 

quando ti troverò amore

tu non volterai lo sguardo

da un’altra parte

 

quando ti troverò

tu non mi lascerai solo

nella strada

né ti nasconderai più

perché io ti rincorra

con troppo fiato nella gola

 

quando ti troverò amore

tu non avrai un segreto

da nascondere,

tu non avrai segreti

 

quando ti troverò

tu non giocherai

al gatto e al topo

e non sarai tu il gatto

non sarò io il topo

 

quando ti troverò amore

sarà una giornata d’estate

e ci saranno i fiori nei giardini,

il vento profumerà di rose

e brillerà il sole

negli occhi tuoi d’estate

e di fiori

 

quando ti troverò amore

tu mi chiamerai per nome

ed io ti chiamerò per nome

 

e per tutto il giorno

noi non ci lasceremo mai

noi non ci lasceremo più.

 

 

[ED ORA]

 

ed ora

che mi hai dannato al gelo,

posso stare qui o altrove

sopra o sottoterra,

al centro della stanza

o lungo cento strade,

 

posso respirare

o tapparmi naso e bocca,

uscire se c’è il sole

o buttare via la chiave,

 

posso apparecchiare

o guardare com’è profondo un piatto,

posso sentirmi carne

o solo un po’ di fumo

 

posso coprirmi ancora

o strapparmi anche la pelle,

sentire tutto il tremito

lo scricchiolio del ghiaccio

 

ed ora

che mi hai dannato al gelo,

ho fatto dell’inverno la mia casa,

 

domani in un giardino

io sarò l’albero

e tu la neve.

 

 

Da “Fra improbabile cielo e terra certa” Edizioni Terra d’ulivi, gennaio 2015

 

PASSAGGIO DI CONSEGNE

 

conserva queste mie parole

per quando verrà il tuo inverno

(lo vedrai sui rami

di alberi a fine autunno,

su un’altalena ferma

nei parchi di novembre,

nel freddo sulle mani

e i passeri sul filo

a prendere la neve,

lo sentirai nel ghiaccio

che incrosta a fior di pelle

e non ci sarà più scialle

a trattenere stelle,

non ci sarà più tempo

per altro giro e danza,

e lo saprai per certo

che è solo andata il viaggio

e non c’è freno ai giorni,

non uno che ritorni,

che l’essere felici è stato breve

per noi che siamo ore

ma abbiamo sottopelle

l’impronta dell’eterno),

conserva queste mie parole

per quando verrà il tuo inverno

e un passo dietro l’altro

tu ti farai da parte

a chi chiederà la strada

per le sue gambe forti

per il vento sulle spalle

l’avanzo dei domani

la creta nelle mani

(e non avrà sospetto

che tu hai ancora fame

che spasimo è il suo seno

che aspetti un altro treno

ed è un obbligo di carne

il decreto che tradisce,

un computo di giorni

a fare il vuoto intorno),

non un respiro in più

da questo inverno mio

e neanche una parola

per la consolazione,

sarà solo sapere

che tutto quanto è stato,

 

che sono andato avanti

nel solco di discesa

che fa più estranei i vivi

e meno lontani i morti.

 

 

IL GIOCO DELLA VERITÀ

 

bruciare fino all’ultima scintilla,

questo tocca,

strappare con i denti dalla pelle

la residua piuma che ti resta

 

recidere lo spago ai palloni nella testa,

pungere le bolle per lo scoppio

e sia l’aria e il nulla

l’inconsistente che li tiene

 

domani

al cenno lieve della luce,

riporrò i vestiti sulla porta

e uscirò nudo

al ghiaccio che c’è fuori

 

in cielo

in terra

e dappertutto.

 

Da “Il male nascosto” Edizioni Terra d’ulivi, maggio 2016

 

LA QUINTA STAGIONE

 

ormai non ci credo più, io,

che camminavo con occhi spalancati e luci,

io, che ogni mattina correvo sul balcone

ad aspettare rondini d’aprile

e fiori freschi e nuovi esplosi dentro ai vasi,

 

che a novembre uscivo all’ora dei lampioni

(e piovesse, speravo, quell’acqua venuta da lontano)

e dalle case un chiudersi di porte

le voci dei bambini a chiedere la cena

 

non ci credo più, io,

che ho conosciuto campi a farsi grano

e le cicale pigre nei pomeriggi lunghi

papaveri, rosso e ulivi

e poi l’ottobre e l’uva,

le giacche più pesanti

riprese dagli armadi

 

erano gli anni del rosario a maggio,

del pane segnato dalla croce,

di Cristo che moriva verso sera

e alla domenica campane e voli a riportarlo in vita

(ed era festa nei vestiti nuovi,

nelle cucine accese di mattina presto)

 

era la primavera e poi l’estate,

era l’autunno e poi l’inverno,

era l’attesa certa di un ritorno

e tornavano a novembre anche i morti

quando s’accendevano lumini sotto ai quadri

e si cuoceva il pane con l’uva passa e il vino

 

ormai non ci credo più

e so per certo che nessuno torna

mai niente che ritorni.

 

 

IL MALE NASCOSTO

 

mai ti mostrerò le mie ferite

 

(e il piatto da lavare nel lavello

la polvere che cresce già nell’angolo

il libri aperti e chiusi ad uno ad uno

perché non c’è parola che mi salvi)

 

vedrai con i tuoi occhi il corpo intatto

il nodo fatto bene alla cravatta

il viso che sorride senza barba

ed io che dico in chiaro: tutto bene

 

(e no, tu non saprai

che sotto alla mia giacca

ho sempre una camicia

con uno squarcio netto in mezzo petto).

 

 

Da “Biografie” Edizioni Terra d’ulivi, maggio 2019

 

COME CI SI ACCORGE

 

come ci si accorge

quando l’anima è perduta

e non più ha scosse il sangue

 

e rimane il camminare

dare fuoco al gas

per qualcosa da mangiare

pulire vetri e panni

lavare il pavimento

 

credevi alla scommessa

che dio c’era anche nei sassi

e comunque e in ogni caso

noi si era un po’ speciali

 

(ma non bastò una candela

a fermare il temporale

-fu mia nonna che l’accese

e la posò sul davanzale,

chiamò angeli e beati

martiri e santi in paradiso-

ma venne grandine dal cielo

che spezzò tutte le spighe)

 

si diceva che c’è un fine

al passaggio di noi qui a terra,

che siamo tutti sottopelle

particelle d’universo,

che in fondo al ciclo naturale

cesserà ogni dolore

e senza carne e né più tempo

non avremo noi paura

 

forse l’anima era quella

pensare buone tutte le cose

avere in corpo mille vite

e tu per sempre bella

vaniglia fra i capelli

 

forse l’anima era quella,

quel guardare dietro ai vetri

come scendeva giù la neve

e sentir tremare dentro

quanto bianco, quanto silenzio,

e nessun freddo, neanche un brivido,

 

nemmeno quando senza guanti

prendemmo il ghiaccio fra le mani.

 

 

(A MIA FIGLIA)

 

ricordami come mano

un passo alle spalle

a guardarti il cammino

 

ricordami all’angolo

come una fotografia

tra la mensola e il muro,

come il gattino, l’orsetto,

ora in fondo alla cesta

 

e se ti verrò in mente

qualche giorno o per anni,

tu fammi leggero

scarta errori e dolori

sfoglia il velo di nero

delle colpe a mio nome

poi di quelle accadute

senza averle volute

 

guarda all’attimo puro

quando io padre e tu figlia

stavo avanti nel buio

per le ombre sui muri

l’improvvisa paura

 

e ricordami un breve

ricordami lieve

 

sarò morto due volte

se sarò sulle spalle

un altro peso di croce.

 

 

[IL PASSERO]

 

il passero

preso nella stretta

sembra più domestico

 

mangia

beve

quando è sera dorme

 

solo certe notti

sbatte un po’ le ali

cinguetta dentro al sonno

 

forse sogna.

 

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Canto presente 54: Adriana Gloria Marigo

11 venerdì Feb 2022

Posted by Deborah Mega in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

≈ 1 Commento

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Adriana Gloria Marigo, Canto presente, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Adriana Gloria Marigo

Poesie scelte    

 

da   Un biancore lontano, LietoColle, 2009

 

*

Tu non hai memoria dell’infinito

al mio sorriderti nella sera d’aprile

alta su Treviso, dopo lo stupore del temporale

che sorprese lo sfarfallio del nostro pensiero.

 

Neppure ricordi la luce intrepida sull’erba

vibrante il fresco dell’acqua generosa,

i petali volati lontani dal fiore,

gli umidi balsami nell’aria, di nuovo azzurra.

 

 

*

Trascorsi stagioni in terra di nessuno –

landa vasta, senza orizzonte

al plausibile, al gioco ermeneutico

o al magico conto che serve

il viaggio fenicio.

 

Il tempo trascorse dalla terra

per verticale di linfe

e nel punto di fuga iniziò – alla prospettiva –

l’evento creatore.

 

 

da   L’essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice, 2012

 

*

Attesi l’estate per l’esultanza

della luce, la benedizione

dell’ombra, quando lo zenit

è acceso e tutta l’aria

è ambizione della sera

l’intesa di un intrico

verde pulsato di bianco.

 

Venne invece la distrazione

del prodigio, l’orbita rovesciata

nella gravità dei corpi, l’urto

scomposto alla letizia.

 

 

*

S’inclusero le tue parole

in una perla d’aria

– memoria tenue d’universi –

mentre io sgranavo giorni

nei miei occhi di ninfa

mi feci vertigine d’ala

intesi l’ammanco originale

la tua nascita sotto un graffio di vento.

 

 

da   Senza il mio nome, Campanotto Editore, 2015

 

Amor coeli

Sovrastati dal suono della luce

non ci trattengono basse correnti

dove motteggia sempre vero

il tonfo della specie

bassura transitiva di minimo

non accettabile all’inquieto

malleolo in danza.

 

E s’avvera l’azzurro teso

Stando in maestà la luna

di notte viene un vento raro

ad avvolgersi selvatico

sugli alberi spersi nella brughiera

a sconfinare stelle fino in terra.

 

E s’avvera l’azzurro teso,

la sua pagina infinita.

 

 

 

da   Astro immemore, Prometheus, 2020

 

*

Basterà l’aria levantina

selvatica e scarna di oggi

sull’iperbole stesa del prato

 

il cielo di nubi zoomorfo

a specchiare l’incerta

profusione vegetale

 

imprimere cesura al frusto

mentre ad agresti lunari

ascendono canti alati.

 

 

*

Obbediente alla congiura dei miti celesti

dalle geometrie sassose oltre il lago

irrompe con lama tagliente

il ventoso sterminatore di foglie

piegate alla confisca dei neutrini di luce,

impone tra la dura trama grigia

spore di cielo, notazioni somiglianti

a suoni su pentagramma.

 

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Canto presente 53: Silvana Pasanisi

09 mercoledì Feb 2022

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

≈ 1 Commento

Tag

Canto presente, poesia contemporanea, Silvana Pasanisi

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Silvana Pasanisi

LETTERE DEL DISTURBO

Carissimo amore
figlio di un cane
scendo ora da questo pandemonio
e pensavo di invitarti a leggere qualche rima
quelle storte che non mi mandi più.
Ne ho bisogno
piccolo disturbo solido,
invenzione delle quindici del pomeriggio,
avverto la tua mano esattamente nella sua posa.
Avevi un meccanismo perfetto
conservalo
ne rivedo il ritmo
il ticchettio dell’orologio.
Mio amore d’altre letture
sono la sposa di tutte le tue mani
io
dovresti saperlo,
non ho altro sangue a disposizione
ma qualche immagine si
se vuoi.
Ti ho scritto da dov’ero
ed è qui il punto.
Non c’era arrivo e nessuna partenza,
restavamo attaccati a piccoli fiori botanici
nello stesso posto
confuso
ingrigito da piccoli alveari.
Una lettera non può arrivare cosi.
Ora qui si tratta di partire
da movimento a movimento,
siamo intesi, ci manterremo in piedi con qualche utensile
l’uno con l’altro
un tandem da piccole manifestazioni eroiche.
Ho parlato con gli amici
mi portano alla rotonda
sono cosi perfettamente sincroni.
Tu non hai mai indovinato un accordo
dio quanto eri fuori tono.
La voce però
aveva un’ infinita anima baritonale
diffusa
da Creatore.
Questa è una lettera
si scrive per un motivo,
e io devo riavvolgere un’intera pellicola,
pensa quanto tempo starò muta a riguardare le scene.
Mandami un colore
uno che parta felicemente
senza croci
senza nemmeno la minima alleanza.
Vedrò di farne qualcosa
mi rinvigorisce il pensiero
dare utilità a qualcosa già perfetto
come la somma del viola e del giallo
o il perbene di certe donne
aggraziate
Mi disturba non sentire la tua voce
era nel basso
nella tastiera
nell’orlo del mio vestito
ora è nell’anticamera del mio gelso bianco.
Ora devo andare
scusa la stanchezza
ho usato vigore e pezzi interi di alchimie
devo conservarmi per tutti gli usi
come fai tu.
In calce al foglio trovi tutto
anima
esempio
storia
presupposti
angolazioni.
Ora anche le scarpe mi sembrano appaiate.

IL DISPETTO

Questa va a memoria
per fare dispetto ai morti
va tenuta a mente
va considerata senza discrezione
Se vi pare poi
dimenticatela
o aggiustatela
mentre siete col vostro cane
Vale per tutte quelle trame non scritte
Per tutte le volte che la realtà ha sopraffatto il mezzo
l’unico mezzo che abbiamo
pieno di parole
Per mancanza di inchiostro
Pure
Per arresto cardiaco
Pure
Che strano
Pensavo di poterne salvare almeno una
di donna come me
con gli stessi vermi
con lo stomaco pieno di capoversi
con l’utero assassino
Non è andata così
Con fare recitativo
impiegate tempo ad imparare i nomi
Ma sono morte
e sono insieme
Non chiedo più alle vive
Il mio appello è alle croci
sotto tutta la terra
Rassegnatevi
Li siamo salve
Intere
A memoria
Da tenere a memoria

PIETA’ DI ME

Scusate se insisto
se mi permetto
avreste per me un aspetto di ripiego?
Si
un paio di occhi scuri come la neve
un portamento antico
a spremere fierezza sui fianchi

Come un limone sul balcone di fronte
che non si inchina più alla sua pianta
Scusate
lo so
vi sembreranno richieste fuori luogo
voi siete una platea intera
e io una
ma per sbagliare bene
devo farvi inumidire gli occhi
e ho bisogno di una forma di sostegno
che non mi pianga addosso

Scusate se insisto
tutte le bambine che sono
non fanno una donna sana

Avreste per me
Qualcosa da dire al mio posto?

ELEGIA DEL CONTRARIO

Sei più bella cosi
morta
Appariscente ma giusta
esaltata dai buoni amici
e non da te

Qui c’era un si
deve essere scappato
sulle inconsistenti nebbie dell’accondiscendenza
Ne faremo buona cenere di legna1313
per il primo fuoco

Lo vedevo quel filo che ti legava alla vita
cosi volgare
Eretico

Lascia che arrivi il finale
A chiacchierare poco
A rendere grazia
A eliminare il sospetto
Stai meglio
morta
le mani giunte e il cappello spostato sugli occhi
le lacrime arrivate fino alle ossa
il libro
diviso in piccole parti

Fottili

arrenditi prima
falli pensare

La foto in cui somigli
a quello che vorrebbero dire di te
l’ho messa sulla lapide
ho scritto con la lingua bagnata
Qui non c’è nessuno
potete piangere
nessuno vi vede

APERTURE ORDINARIE

Si apra il ramo
spuntino a modo loro le sostanze impreviste
foglie
argomenti
clave usate sotto dettatura
amori da fame
quello che ancora non è stato detto
Si chiudano i varchi appassionati
non c’è tempo
Ora che ho la tua attenzione
affacciati e segna col dito i tratti
Può funzionare
se tutto è troppo per una valigia
Da qui
in solitaria
passano isole
qualcuna forse la riconosceresti
promontori lontanissimi
non so
mi dicono siano necessari al viaggio.
Che non si dica mai
mai
che lo sguardo non arrivi al pianeta seguente
che non pratichi l’ingordigia
Oseremo chiamare per nome
una ad una
le conchiglie che portano al mare
Gli arcipelaghi no
quelli faranno di noi
esattamente quello che vogliono

LE MIE SORELLE

Le mie sorelle
sono sottili
fogli di pergamena sottili
dalle gambe fragorose di tritolo
che camminano storte
e ti silenziano il sonno
ti operano lo sguardo

Hanno un rumore di fondo
senza ombra
la loro copertura
e’ da ambiente dell’altro mondo
povero poverissimo
come un santuario chiuso
srotolano i capelli
di lunghezza impercorribile
ma loro lo sanno che cadranno
tutti
e sulle loro teste si spaccherà la luce

Sulla copertina della rivista
sembrano spettatrici casuali
iridescenti
Non credere a niente di quello che vedi
hanno rami lunghissimi e contorti
intrecciati
all’interno del libro ispido
troverai cotone da cucire
tra le cosce e le pieghe
e si svuotano le mascelle
di saliva irata

Con un intero mare al tramonto

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Canto presente 52: Anna Maria Bonfiglio

03 giovedì Feb 2022

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

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Anna Maria Bonfiglio, Canto presente, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Anna Maria Bonfiglio

CANTO MINIMO

Ora che la vita stride nelle ossa
ammalorate
la viola incide l’arco minimale
del canto che vorrebbe lievitare.
E l’accompagna un suono
come d’incanto
un incendio che esplode e si fa verso.

Venne sull’ala ubriaca della notte
la voglia di cantare
e fu subito festa
distesa geometria di voli
impennati all’albero più alto
un gioco pazzo
di cui t’accorgi tardi e che tradisce
segreto che ti sguscia dalle mani
prima dell’allegria, prima del sogno.

Abiti la più nuda fra le case
vesti la più impossibile menzogna
e ti fai strada chiusa
anello inciso di desideri e date
età del disincanto
stella che irradia inutili bagliori
profeta di stagioni di declino.

ASSENZA

Forse è naturale consegna
quest’assenza che nessuno reclama
l’ombra solo a me visibile
negli occhi di chi mi parla.

L’azzurro è svolato
verso cieli che ignoro
la notte è segreto
che taglia il respiro.

Ovunque, la pena.

Attendere lune chiare
fra i rami secchi del platano
mentre tu navighi altre barche
e tendi a svalutare
l’oro del mio cuscino.

Svegliarsi e sentire
la vita che torna ―
un grembo profondo
per nascere ancora.

IL TEMPO BREVE
(a Carmelo Pirrera, in memoria)

Dicemmo ci sarebbe stato tempo.
Eppure sapevamo
che alle nostre spalle
tramavano i pirati
che i giardini sarebbero sfioriti
e i campi maturato altro grano.

“Che tempo è, signore?”
“Tempo di solitudine, amico”

La pioggia di febbraio
ha sciolto il miele del tuo canto
e maggio sarà un mese come un altro
solo più lungo forse
e un po’ più solitario
senza colombe e glicini sui muri.

“Che tempo ora sarà, signore?”
“Tempo che fa più breve il nostro, amico”.

GIORNO DEI MORTI

Al mattino era la cerca agli angoli
più oscuri delle stanze ―
forse i Morti ci avrebbero premiati
entrando nella notte a piedi scalzi
o tramutati in misteriosi insetti.
La mosca, per esempio, era zio Gino ―
dieci anni ed una polmonite.

La nonna raccontava della guerra
da cui zio Raffaele tornò dopo
tanti anni dentro una teca lignea

(ombre del nostro immaginario
custoditi dai Lari della casa)

Lo scotto era salire alla collina
e pregare in ginocchio ―
mestizia a sacrificio
e per ringraziamento

Ci accompagnano ora altre assenze
brandelli scomposti della nostra vita
che un giorno ― pare ―
saranno ricomposti

nessuno sa se è vero.

IN ALTRO LUOGO
(a mio padre)

Muti d’abbracci i nostri giorni
si persero nel tempo di un respiro.
Vicini nella resa
ci prendemmo le mani
-fievoli le tue, percorse
da ingrossati rivi pallidi,
le mie rapaci, ancora a reclamare
crediti legittimi e insoluti.

E’ un’altra volta autunno
e nell’umida luce
che taglia il silenzio della stanza
torni anche tu
nella quietezza antica che mi manca.
Potessi avere almeno la certezza
di ritrovarti ad aspettarmi
-quando chiuderò per sempre la mia casa-
e insieme finalmente camminare.

L’APPARENZA

Non guardare di me l’occhio che ride
la voce fresca
o l’ilare bocca che adesca.
Nell’atlante che sfiori con le dita
non cercare le alture ardimentose
o le pianure erbose.
Esplora invece i fiumi azzurri
sotterranei che adornano
le mani, le logorate valli
i merletti dei tarli.
Quello che non appare
è l’ago che segna la scissione
fra il viaggio dell’andata
e l’inversione.

MATTUTINO

Sei tornato nel sonno
dell’ora mattutina
-piccolo dono estorto a mani avare-
e avevi sulla bocca
l’oro del tuo silenzio risolino.
Ti frugavo nel cuore con le mani
per trovare di me qualche frammento
una scaglia rimasta conficcata
nella tua carne d’uomo.

Poi ti oscurò la luce
e fu di nuovo giorno.

 

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Canto presente 47: Davide Cortese

31 sabato Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 47: Davide Cortese

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Canto presente, Davide Cortese; poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

DAVIDE CORTESE

Mi soqquadra
il tuo sguardo.
Dice un blu
che cielo dopo cielo
è stato azzurro
e bianco nuvola
per tornare blu
fino a me.
E i miei occhi nero rondine
ti volano dentro.

*
Non siamo che reduci dal più abbagliante degli splendori.
Tutto ciò che di più saggio abbiamo detto,
noi lo abbiamo detto da bambini.
La più alta vetta dell’arte,
l’abbiamo toccata da bambini.
La gloria a cui aspiriamo da grandi,
noi l’abbiamo posseduta da piccoli:
ed era soltanto l’umile tappeto
davanti al tempio sfavillante
della nostra gioia.

*
Tra i fiocchi di neve che cadono
ce n’è sempre uno,
non visto,
che risale il cielo.
Ogni autunno ha una foglia segreta,
che rimane salda all’albero.
C’è sempre tra gli uomini
un uomo che non muore.
Egli attende
che quelli che lo conoscevano
si siano tutti spenti.
Resta acceso
a illuminare
un’eternità che non so.

*

Disfare una barchetta di carta
per scrivere sul foglio marezzato
versi che hanno sete d’avventura.
Rileggere parole migranti
che salpano per sempre lontano
muovendo con la mano un addio.

*

PRIMA DI PARTIRE PER LA NAMIBIA

Cosa cerco laggiù nel deserto
(laggiù: polvere e sole,
grembo dolce della madre nera)
che non sia già qui nel mio petto?
Cos’è che mi chiama a sé?
di chi, questa voce antica?
Da lontano e da vicino
io rispondo: “Sono qui”.
Eccomi al cospetto
del silente deserto.
Non mi nego, no, al tuo richiamo.
Io vengo a te
a camminare sulla pelle di un dio.
Non un solo granello andrà perso.
Non un solo granello.
Sul sonno della tua pelle
muovo i miei arcani passi.
Tu sei deserto se solo io sono qui.

*

Mi basta il sole, adesso
e saper vivo il tuo respiro
pensare che da qualche parte
scintilla il tuo sorriso
e c’è a vagabondare nell’aria
un atomo della tua luce.
Sei un pensiero felice.
Tu non farci caso se ti amo.

*
Ecco il corpo
con cui compio il mio destino.
La mia innocenza
ha toccato la tua innocenza.
E non siamo mai più
stati innocenti.
In noi vita e morte
nel gioco nudo
di fare l’amore.

*

Crollano l’una accanto all’altra
tutte le estati segate dalle cicale.

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Canto presente 40: Massimo Botturi

08 sabato Giu 2019

Posted by Loredana Semantica in Canto presente

≈ 3 commenti

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Canto presente, Massimo Botturi, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

MASSIMO BOTTURI

A MIA MADRE

 Quasi cadesse ancora quel filo d’erba nuova
dalla tua mano e hai appena due anni
ora che in fila, aggiusti il borsellino
per quando sarà il conto.
Le poche tue cibarie, un flit per i mosconi
galanterie portate da casa in questo uffizio
dove le giovinette sistemano scaffali
e taciturne vanno alla pesa.
Sempre attenta, io t’ho veduta in queste faccende
un soffio d’aria, versata d’innocenza sui vortici del mondo
tra le rotonde e i clacson sguaiati
luminarie, file di denti come promessa.
Ora sei china
non più al figliolo nudo dai gomiti incrostati
ma alla severità delle vene, delle ossa
di ciò che ti sorregge a fatica
senza un pianto.

QUANDO POI SMETTE DI PIOVERE

Quando poi smette di piovere, fa strano
e sembra che più niente ci sia a volare intorno.
Ti sembra d’esser mai esistito, e che le foglie
si chiamino a custodi del mondo
con le leggi
le regole non scritte che spingono le verdi
e annullano le gialle alla fine dei respiri.
È come avere te, un foglio bianco, sesso aperto
per contraddire Darwin in sette giorni solo;
è come avere letteratura, mani e bocca
volume in edizione extra lusso.
Gli occhi, ancora
come dei secchi d’acqua con dentro le tue lune
le tue mammelle poco educate
il tuo ombelico, sporgente come un pesce
alle briciole del pane.

L’UOMO ACCANTO

Quando dormo profondo allungo il corpo
come l’acqua dentro il vino
come i sogni, che odorano di more e tempesta.
Torno al Vico
a quel trasloco di San Martino, alla maestra
che m’educò all’amore per libero pensiero.
Ritorno al lume, chiuse le imposte
e al libro nuovo. Sulla credenza via dallo sporco
perché oro, sarebbe stato i giorni a venire.
Dormo e sboccio
maturo come il fiore di pero e di genziana
tra i tiri dello schioppo nel bosco e altri lamenti.
E quando dormo profondo
in altri mondi, poi getto le mie viole a ricordo;
ho calze corte, un piccolo maglione sfibrato
ma sorrido. Sì forte che del sangue poi m’esce
e mostra il segno
sul labbro un bacio pronto a venire
l’uomo accanto.

ROSSA

Là, una rosa
ha già varcato il limite imposto di un cancello;
la debole ed inutile leggina che la vuole
di proprietà a un’anziana signora.
Ma n’è nulla
ciò che la vanità scrive in calce, lei si fionda
accetta il rischio d’essere scissa;
che so io, da uno innamorato prima che torni a casa
da una ragazza mentre l’annusa
e trova pari, al seno suo lavato di fresco.
Eccola china
del peso di rugiada scolpita, come vena
varice della terra ghiaiosa
Dio inventore.

INTERMITTENZE

Questa mia stanza ha un occhio a est, piccino.
Davanti un sortilegio di foglie, a inverno coppi.
La luna ci sghignazza minuti, forse un’ora
poi gira il culo e va verso il Michigan, Milano
o una città che adesso mi scordo.
Sembra niente, ma a me vien su il magone
perché è una bella donna che sfugge, come gli anni
Allora viene in mente quando prendevo il treno
e tra una riga e l’altra di un libro salutavo
le amiche pendolari di stessa mia premura.
Nemmeno un caffè insieme;
garretti, borse, corse
e metropolitane d’ogni colore, e tram.
Mi viene anche in mente la mia morosa mora
le uscite di nascosto dal padre che dormiva
le scuse alla sorella portata per candela.
E allora penso, porca miseria, è proprio vero
son attimi che passano svelti quelli belli
ma restano che sembrano secoli, ciao amore!

 

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Canto presente 39: Pasquale Del Giudice

30 giovedì Mag 2019

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, SINE LIMINE

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 39: Pasquale Del Giudice

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Canto presente, Pasquale Del Giudice, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

PASQUALE DEL GIUDICE

Dal corpo.

Avere un corpo, zampe e zanne, trascinare
in giro un guscio, al guinzaglio
della coscienza, un ordigno in prestito,
oscuro oggetto di studi, provvisorio
intrico, ferraglia che stride
il proprio involucro, ignorato
dall’altezza degli occhi, delle analisi sommarie
indagini sulle superfici, sui paesaggi
terrestri, dal taglio della propria
inconsapevolezza, inconsistenza conoscitiva,
dal corpo scavare il corpo della terra
concentrato di lesioni, assimilate
ferite, cancellazioni e stratificazioni
scendendo con la penna, ribaltare
il progetto degli appezzamenti, la cartina
delle proprietà, delle vene, delle strade
lasciandone emergere il risvolto,
il lavorio sotterraneo di gallerie,
funzioni, formiche, avi che trasportano briciole
ossigeno, monumenti alla debolezza di tutti,
col corpo rinvenire genealogie
verticali e parentele orizzontali,
tra ulivi bisnonni e piante neonate,
essere un corpo é non avere corpo,
l’illusione di un giorno, servire
il destino della storia e l’ordine del discorso,
avvenire nei sensi, consumare il gioco
di stare al mondo, prescritti, urbanizzati
urtando altre parti di mondo,
riproducendolo, nei fraintendimenti,
nei dialoghi della bocca e delle braccia,
desiderando il mistero di un altro corpo,
dall’enigma del proprio, esposti e difesi
nella carne, cartapesta di pori
e vespaio di cellule altrui, con cui
guerreggiare a nome di un altro,
nel solo corpo che hai e che non ti appartiene
a nome tuo e di nessuno che moltiplica i giorni,
le scuse, i passatempi per restare in piedi
tra gli altri, contro gli altri,
avere un corpo, un materasso su cui morire,
deteriorarsi, contando, misurando
parole tra sé e la propria carcassa,
oscurarsi tra le coperte, in nuovi
anfratti, pieghe, lasciando cadere sillabe,
come squame, pelli secche, cicliche mute
come distanze cadute, di pareti e mura di sé
anni, crolli, avvicinandosi alla polvere,
dal corpo sentire i gradi, il calore,
signore crudele al giuramento degli alberi,
col corpo tornarsene a casa, nell’altra gabbia,
torcendo il capo tra gli archivi,
mentre la città muove strumenti, apparecchi
macchine, motori, alla finestra
guardare la pace estiva, le cattedrali,
gli edifici, la miseria, l’asfalto,
le televisioni che parlano a vuoto, i ritagli
di giornale, le scadute politiche del mondo,
dalle vetrate degli occhi, vedere chi vince
più vicino alla morte, la vita di ognuno
una storia di commiati diretti al comune,
all’ultimo congedo, mentre si cerca
invano la particella neutra, il volto dell’altro,
il laccio, l’accordo a quella frequenza monotona
neutra, sottopelle, dove non termina il filo
e una testa, una cellula si lega all’altra,
occhi di tutti i colori, corpo di Dio,
corpo di tutti i corpi, tutto il dolore del mondo
vedere con tutti gli occhi del mondo,
soffrire la sincronia delle piaghe mentre
si diffondono, si ripetono, ognuno
portatore sano di ferite, che arreca agli altri,
disperdendo il primo trauma, dal corpo.

Ipotesi sulle aule studio.

Geometrie che si ripetono
in un’armonia predisposta di sedie
banchi e postazioni computer,
rigidità inflessibile
di architetture razionaliste
composizione minimalista,
patria di zaini, occhiali, matite
occhiate, effetti personali, segreti amori
mondo sottomarino, enorme
acquario di pesci boccheggianti, di pazzi
che parlano da soli, macchine
che borbottano in parallelo, di sottolineature
di sacrifici di parti di testo espunte dal testo,
di testi messi insieme, stuprati e riassunti
passati da una bocca all’altra, fabbrica
di impuniti travisamenti,
le aule studio rivelano l’interesse
la curiosità verso l’altro e il fastidio
l’attrazione e la repulsione del diverso
origliato nel proprio universo,
le biblioteche sono allevamenti
intensivi della specie, in cui la scrittura
passa il testimone filogenetico
mentre si gonfia e si rigonfia il palloncino
solipsistico degli scopi personali,
l’illusione dei propri obiettivi,
la prefigurazione degli esami
mettendosi alla prova
ognuno nutrito dalla benzina del suo fine,
le aule studio sono palestre di boxe
sale d’addestramento
dove ognuno si prepara alla gara
prendendo a pugni il suo sacco, il suo libro,
camere iperbariche, anticamere
d’arrivismo sociale,
in questi luoghi amo i distratti,
chi fissa un punto a caso della stanza,
chi incrocia uno sguardo fuoriuscito
dalla sua bolla d’attenzione
chi è incapace di concentrarsi su di sé,
chi si annoia di sé, chi è innamorato
della fisionomia dei corpi, del mondo
che gli passa vicinissimo nelle sue forme
e sta attento a non approfondirlo,
amante della superficie, del gusto del vedere
divinità innalzatasi a contemplare
l’ansia dei suoi figli sfiniti e contratti dal lavoro
al di sopra o al di sotto dei suoi doveri
del suo debito nei confronti della vita,
in una via di mezzo, nel possibile
tra il conosciuto e lo sconosciuto,
ognuno in attesa dell’evento, dell’impatto
effettivo, eterno riscaldamento
nelle aule studio si fanno ipotesi sui freni
sulla tenuta del motore, officine
in cui si eseguono rituali, prove
sulle gomme, crash test, cercando di coprire
e prevedere le domande, di mangiare
l’intera torta del programma
in vista dell’esame che forse non si terrà mai,
studiare per un esame è un esercizio chirurgico,
un’ossessione della prestazione,
leggere è guidare a caso per le strade del mondo,
conoscere cose per il piacere di farlo,
nelle ore o nei giorni di festa
le aule studio sono ospedali senza pazienti
reparti dormienti, letti vuoti, corridoi spenti.

Volti prismatici di un mocio.

Polipo addomesticato, sbattuto sulla pietra
sulle superfici di casa,
piste d’atterraggio o da pattinaggio
per curling amatoriali
per parrucche di treccine idroassorbenti,
scettro delle signore di casa
migliore amico, fucile delle casalinghe,
alghe redivive a contatto con l’acqua,
teste schiantate da un battiscopa all’altro
maltrattate da donne frustrate, sottomesse
alla gerarchia patriarcale
allo scazzo di badare a figli, mariti e amanti,
futuro strumento di rivolta,
arma con la quale i lavoratori domestici
otterranno l’indipendenza,
un mocio è una lattuga dalla facile usura
un sommozzatore col fiatone
un ragazzetto bullizzato
col cranio nel cesso, torturato,
immerso e strizzato più volte;
dovremmo lasciarlo prosperare
nel suo secchio specifico, in ammollo
come una creatura marina
una medusa di listarelle nel suo acquario,
senza farlo disidratare,
imputridire nel lercio del passato,
ogni tanto versando dell’acqua fresca
della vita nuova o del detersivo
come forma di premio, come dental stick,
come dessert, come bevanda
analcolica bluastra allucinogena,
il mocio è un regalo, un prestito di Zeus
alle faccende domestiche
ballerino provetto, come tutti
inizia a perdere pezzi, a puzzare di marcio,
a soffrire di calvizie, lasciando in giro
ciocche, parti di chioma,
la sua arte è trattenere il fiato
la giusta misura d’acqua
per affrontare le insenature, i rischi
e le strettoie quotidiane della vita,
sapendosi sporcare e ripulire,
rimettendosi nuovamente in gioco;
uno e molteplice, questo straccio sofisticato
è un esemplare di Komondor
tenuto in un angolo o in un ripostiglio
dal temperamento notoriamente
equilibrato, affettuoso, indipendente
gentile e tranquillo, rasta con asta
un mocio non è altro che un omaggio
divino alla testa danzante di Rud Gullit.

La manutenzione.

Sono vivo, un cantiere aperto,
una macchina usata, un mostro precario
civilizzato, puntualmente i peli mi rispuntano sul viso,
il sebo si accumula nei pori,
il mondo è la criniera di un cavallo,
ogni cosa necessita di manutenzione e del suo stalliere,
della sua lametta e del suo giardiniere,
di revisioni, di versioni, di una controllatina
ai freni, alla tenuta dei bulloni
la vegetazione, le unghie ricrescono, la pelle decade,
ciclicamente sono necessarie
radiografie, controlli delle pompe
del sistema e del livello di putrefazione raggiunto,
è opportuno ridurre ad ordine umano
la matematica delle sterpaglie,
più cresci più muori, più muori più cadi a pezzi,
più perdi illusioni, più i tuoi gesti
si sommano negli errori degli anni,
hanno avuto incidenza, hanno ferito e perdonato,
hanno deluso e smentito se stessi,
esposta alle intemperie e alla consunzione del tempo
la vita è un cadavere sezionato
dunque le cose muoiono con gusto
e ogni giorno implica lo sforzo
di tenere a bada il loro disfacimento,
la loro fuga, la loro tentata ribellione
rimandando la loro fine,
ritinteggiando le porte e i capelli, le pareti,
la manutenzione tiene sveglio il mondo
il suo bisogno di cure, morte che ci tiene in piedi,
che stimola, smuove a mettere in ordine la stanza
a usare il tempo nel migliore
o nel peggiore dei modi, sperperando
quello che resta in affronto al tempo
e a se stessi, costantemente ridare senso
dove si era dato senso, nei rapporti sociali
nei propri spazi, nel cassetto
delle delusioni, opponendosi alla forza
centrifuga che mette in moto la macabra pantomima,
bisogna immaginare Sisifo barbiere,
crollare è darla vinta alle liane, alle piante rampicanti
quando ti sommergono i piatti da lavare,
quando la tua casa si arrende
alla forza riassorbente dell’edera
e del muschio, delle erbe infestanti, dei nidi di ragno,
dei topi, delle formiche, dei rifiuti dei passanti.

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Canto presente 38: Alfonso Ravazzano

23 giovedì Mag 2019

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, SINE LIMINE

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 38: Alfonso Ravazzano

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Alfonso Ravazzano, Canto presente, POESIA

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

ALFONSO RAVAZZANO

LA GRAMMATURA DELL’INCERTO

Prendevi in prestito
i respiri che mostravano
coraggio e che io cercavo
in ogni luogo di confine.
La tua gola piena di tubi
mi ricordava il gesto del subacqueo
quando mira ai pesci.

 

Non è tanto sparire allontanarsi
è rimanere aggrappati a noi stessi.
Io e tutte le mie assenze
abbiamo il peso del buio
la grammatura dell’incerto
il sapore di un miscuglio
già bevuto.

 

Parlare di chiodi, di attese
una mano a martello
e lo sguardo disfatto.
Tu che il sonno lo inventi
pensa a salvarti ad essere
là dove potresti rinascere.

 

Il senso delle parole è in una foto che guardo
da una montagna di tormenti, descrive l’esercizio
della fatica silenziosa, quella che spinge l’aria
verso luoghi che non abbiamo abitato e nel disegno
dello sguardo la descrizione di un salto infinito.

 

I pesci hanno tanto coraggio e non si aspettano niente.
Ti avevo chiesto un bacio ma tu tardavi a morire
mentre l’amo feriva l’acqua senza averne paura.

 

Nutrire ogni forma di delirio
la mano aggiunge acqua alla sete
e il freddo è una coperta di sogni
si riesce a sentirne il calore da fuori
possibile sfidare le superfici isteriche
quando sdraiati si resta più deboli
cosa sono le cosidette assenze
se non tornano i conti e le somme
può servire adagiarsi su uno strato di pelle
quello più vicino alla luce in un fiato.

 

Ogni volta che muori
la dismisura del viaggio
fra il tuo allontanarsi
e il mio divenire – verifica
l’attimo in cui suggerivi
di comprendermi.
Dentro a questa geografia
dello smarrimento – regni
un poco risparmiata e cupa.
Ogni sillaba che costruisce
il tuo nome genera altri mondi
altre incomprensioni o incertezze.
Rivedo la tua mano dettare
in un foglio scarabocchiato
disegni visibili e necessari.
Tu m’abbandonasti al confine
imperturbabile di una città
che non avremmo mai conosciuto.

 

Guarda i miei occhi le tue debolezze
fissami pure potremmo incontrarci
Il male che mi porgi è la geometria dei vinti
sono per quello che respiri anche se non saprai dimenticarlo
Io prendo coraggio dal tuo labbro quello che bacia
la fisionomia del sangue.
Aprimi succhiando l’aria che non dovrò respirare.

 

La respirazione è un talento
la somma dei rami tagliati
la voce matura dei passeri
e altre direzioni di volo
è tutto nelle radici di un acero
la variante dell’ossigeno
raggiunta la trachea
sentirai soltanto un soffio d’aria
sei troppi movimenti e linee
per sparire.

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Canto presente 12: Antonio Fiori

24 venerdì Feb 2017

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ 2 commenti

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Antonio Fiori, Canto presente, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:

Antonio Fiori

Il filo

che cuciva le carni
che ne conteneva gli spasmi
che tratteneva la gioia che davi
e il decorso dei giorni preziosi
che impediva il riaprirsi dei tagli
che ci univa nonostante gli altri
che voleva, voleva legarci…
non è marcio, ancora resiste
ha un capo che tiro ogni tanto
– lo senti, amore, quel filo di voce
che arriva di nuovo, miracolo,
al tuo lontanissimo capo ?

(inedita, pubblicata su fb)

Che dirti

Che dirti, sorellina, se non che scrivo da due anni a notte fonda
senza una penna, allo scarso lume del display
se non che amo senza farlo o lo faccio senza amore sull’onda
del ricordo o del sogno dove c’era lei.

Che altro ho da raccontarti che questi scampoli, scritti in qualche
pozzo di tempo sul misterioso desco dell’ufficio
con due telefoni nemici e una parola che all’improvviso parte
– piccola ancella, nunzia di scherzo o di cilicio.

da Trattare la resa, Solodiecipoesie, Lietocolle, 2009

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Canto presente 10: Mariangela Ruggiu

13 venerdì Gen 2017

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Canto presente, Mariangela Riggiu, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:

Mariangela Ruggiu

ogni giorno vieni Amore
vestito da uomo

e ti guardo con occhi di meraviglia

mi sorprende sempre
che tu abbia occhi e mi guardi
che tu abbia dita e disegni
contorni alle mie trasparenze

vieni ogni giorno
mi nasci come un bambino
e mi chiami madre

eppure sei padre di me
sei ponte tra le acque che sono
e fuoco nel buio
e musica dei respiri
ala di questi voli
sei tutti i nomi
sei tutte le mani
e ti guardo con occhi di meraviglia
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Canto presente 9: Giovanni Baldaccini

30 venerdì Dic 2016

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Canto presente, Giovanni Baldaccini, poesia attuale, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:

Giovanni Baldaccini

Verso ancora

Aspettami sotto casa
domani o ancora
e se il cielo è di pioggia
indossa
qualche nuvola sparsa
una finzione
d’aria
e le domande
tirale sottovento
altrimenti gli odori copriranno
tutto il gusto d’amaro.
Non assicuro niente
tu rimani
e l’ombrello appoggiato contro il muro
legaci fazzoletti
e vento
che lo gonfi di sera
come una spedizione di frontiera
un’altra sponda
forse
primasera.
Mandami qualche cosa da scordare
ciclamini
un biglietto forato
una conchiglia.
Io non lo so se vengo:
capirai.

[tratta da Oltre il varco di notte, ed. LaRecherche] Continua a leggere →

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Canto presente 8: Marisa Guagliardito

09 venerdì Dic 2016

Posted by Deborah Mega in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 8: Marisa Guagliardito

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Canto presente, Marisa Guagliardito, poesia attuale, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:

Marisa Guagliardito

*

il corpo addosso non ha voce del tempo futuro

se non alita inchiostro e climi

di pioggia o sereno sulle spalle

se concavo non raccoglie nel giro di una pagina

tutto il forse

tutto il certo invisibile

che sente arrivare alle braccia come

l’erba mossa come

un bimbo come

la stretta del sole

quando sale la poesia e ci alziamo

per tenerci in piedi

*

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Canto presente 7: Liliana Zinetti

25 venerdì Nov 2016

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Canto presente, Liliana Zinetti, poesia attuale, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Liliana Zinetti

Dal porto sepolto

I

Come febbre attraversi infetti
il sangue che pure attraverso te
fiorisce, tocchi la fronte le mani
sei goccia compatta, scalpello d’ossa
non ti appartengono né ritrosia né gentilezza
ferocemente nasci vieni
pretendi di tradurre la vita intraducibile.

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Canto presente 6: Silvia Rosa

11 venerdì Nov 2016

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 6: Silvia Rosa

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Canto presente, POESIA, Silvia Rosa

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Silvia Rosa

COME UN SEGNO NERO A MARGINE
 
Ha una forma irregolare
il dire
quando gli spigoli improvvisi
del temp
scontornano parole
e tace lo schioccare vorticoso
della lingua sul palato
come un frullare d’ali
a misurare – stanco –
il perimetro del vuoto.

Ha un movimento in girotondo
ogni lemma, prima dello schianto,
prima di precipitare
in coincidenza del silenzio
incrinandosi nel centro
e più dentro, nel profondo,
fino all’origine di senso.

Il mio corpo cede peso all’anima
e cambia di significato e di sostanza
nello spazio del discorso
si appunta come un segno nero
a margine,
nel bianco di una pausa
muto, fugge la distanza
– annullandosi –
si fa eterno, senza verbo, sconfinato.

da “DI SOLE VOCI”, LietoColle 2015

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Canto presente 5: Monica Puleo

28 venerdì Ott 2016

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 5: Monica Puleo

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Canto presente, Monica Puleo, poesia attuale, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Monica Puleo

Ad A. A.

Anch’io oggi ho molto da fare,
Anna;
devo avvolgere il cuore
nella carta da pacchi dei giorni
il cui domani è oggi.
E sigillare le unghie
nel lardo bianco
dell’attesa
sospesa.

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Canto presente 4: Alessandra Carnaroli Carloni

14 venerdì Ott 2016

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Alessandra Carnaroli Carloni, Canto presente, poesia attuale, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Alessandra Carnaroli Carloni

80
mia madre non mi vuole
né la prima né la seconda
aperta due volte come una
caramella all’ananas
che a nessuno  gli piace
 
ho scritto un foglio intero che
voglio morire giovane
appesa ad un balcone, un ramo
un tubo ben fissato
 
però dopo la cura dirò che mi è passata Continua a leggere →

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