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Capo Horn - Tijuana. Cuentos Olvidados, Emilio Capaccio, Racconti, Rufino Blanco Fombona, Sant'Antonio la canaglia, TRADUZIONI
SANT’ANTONIO LA CANAGLIA
(1904)
Rufino Blanco Fombona (1874-1944)
Traduzione di Emilio Capaccio
Nella sua opera si alternano vari generi letterari: poesia, narrativa, saggistica, libri di viaggi. Fervido oppositore della dittatura del generale Juan Vicente Gómez e per questo incarcerato e in seguito esiliato in Spagna e in Francia. Figura distaccata del modernismo, il suo stile abbraccia anche altre correnti artistiche degli inizi del XX secolo: positivismo, realismo, naturalismo. In particolare, nei racconti e nelle novelle, oltre al suo fervore politico, è chiara l’influenza di Maupassant e di Balzac ed è quasi sempre presente una concezione pessimistica della società attraverso la rappresentazione e l’enfatizzazione dei suoi elementi più tipicamente ignobili e corrotti. Il racconto proposto è tratto dalla raccolta: “Cuentos americanos”.
Si chiamava Casimiro Requena, ed era nato in un piccolo villaggio delle valli di Aragua (1). Il suo mestiere consisteva nel vendere acqua porta a porta. Al mattino molto presto lo si incontrava in groppa alla sua asina: “Grazia di Dio”, come lui la chiamava. “Grazia di Dio”, carica per giunta di due barili, imboccava il sentiero di una sorgente vicina, dove l’acqua pura e cristallina ricordava l’acqua di un filtrino.
Di ritorno dalla fontana, “Grazia di Dio”, ancheggiando con le due botti piene d’acqua, e con Requena, cavaliere al suo fianco, attraversava le solite calle, si fermava davanti alle solite case, e riprendeva un’altra volta, più o meno a ogni ora, il sentiero della sorgente.
“Grazia di Dio” sembrava una persona, e a detta di tutti era più intelligente del suo padrone. Casimiro, taciturno e di mal genio, era anche goffo come un maiale. Piccolo, ventruto, allargato, somigliava a una botte. Era strabico e si rasava tutto il viso, ma non lo faceva tanto spesso, e quantunque la sua figura apparisse lucida e liscia, sembrava perennemente emaciato o con una cera da malaticcio. Lo chiamavano il “Sagrestano”, tanto per la sua faccia glabra, quanto per il suo fervore religioso, e anche perché da giovane era stato chierichetto. La fede del “Sagrestano” non era bigottismo. Mai sentimento più sincero si era annidato nel petto di un uomo. La fede di Casimiro era proverbiale. Anche le donne lo prendevano in giro.
Sulla porta della chiesa, uscendo dalla messa la domenica mattina, una battuta di qualcuno era sempre rivolta a Requena:
— Casimiro – dice uno — vuoi comprare un autentico osso di Spirito Santo?
Tutti iniziano a ridere. Requena vorrebbe scannare quello sboccato.
— Non badare a quel vagabondo, Casimiro – azzarda un altro ironicamente.
— Come potrei passarci sopra – freme Requena — se viene a prendersi gioco di cose divine nella mia barba. Un osso dello Spirito Santo! Ignorante! Le ossa dello Spirito Santo sono custodite dal papa!
Casimiro era colui che vestiva le figure sacre alla vigilia della festa patronale, durante la Settimana Santa e nel giorno di Pasqua. Era il primo a portare la candela nelle processioni. Era anche colui che dava al curato i polli più grassi, i porcelli più inquartati, le nespole più ricche e profumate.
Casimiro offriva al curato ogni genere di servizio, credendo di servire la Chiesa e, cosa ancora più importante, credendo di servire Dio.
In una particolare occasione il curato si era servito dei buoni uffici del “Sagrestano” contro un nemico della Chiesa. Un giovane del posto, da poco arrivato da Caracas, dove si era impregnato di volterrianesimo di strada, aveva fondato un giornaletto giacobino, “El Rayo”, non più grande di un fazzoletto, sul quale scherniva il governo, nella persona del capo civile, e il clero, nella persona del curato.
Il magistrato si era rivelato inamovibile. A causa della sua infermità viveva da tempo tra quella gente e siccome era un uomo intelligente, onesto e buono, tutti gli volevano bene, e il governo non pensava di rimpiazzarlo. Il magistrato, perciò, se la prendeva a ridere delle invettive di “El Rayo”. Non si poteva dire lo stesso del curato che contestava gli attacchi contro il clero, la Chiesa e il “Messaggero Cattolico”, un quotidiano provinciale. Ma le sue argomentazioni non scalfivano l’avversario e il curato si sentiva meno forte del nemico.
Le opinioni erano dibattute in città. I progressisti, cioè gli adepti di “El Rayo”, rappresentavano la maggioranza. Il giornalista ateo trionfava sul curato. E così il curato, come ultimo argomento di discussione, mandò Casimiro Requena, una notte, a legnare il giornalista.
— Lo ammazzerò, signor curato, contate su di me che lo ammazzerò.
— Ammazzarlo, no, figliuolo – ribatté il curato. — La morte è un crimine. E tu pensi che Dio perdonerebbe un tal misfatto? Una buona bastonata è sufficiente. Così lascerà il villaggio.
Ma Casimiro Requena ritornò alla sua idea.
— E se mi aggredisce, signor curato? Se mi aggredisce, lo ammazzo. Lo ammazzo per Dio e Dio mi perdonerà.
Il curato si rendeva conto della situazione. Se quell’animale avesse accoppato davvero il giornalista, lui, il parroco, nonostante i suoi copricapi e le vesti sacre, sarebbe stato coinvolto nel fatto delittuoso. Ecco perché fece a Requena un discorso duro da fargli rizzare i capelli. Tuttavia, quando Requena se ne andò, borbottò sottovoce:
— Va bene, non lo ammazzerò, però lo farò sanguinare.
***
Il servizio della consegna dell’acqua terminava a mezzogiorno. Requena approfittava del pomeriggio, dopo la siesta e prima dell’indeclinabile partita a bocce, per andare a tagliare l’erba nei campi vicini. Quell’erba costituiva la cena di “Grazia di Dio”.
A volte Casimiro andava alla mangiatoia a vedere rimpinzarsi la sua asina, la sua compagna, la sua amica, la sua confidente, il suo unico amore umano, l’amore dei suoi amori terreni. Si compiaceva nel guardare luccicare la pelle di “Grazia di Dio”; e le passava la striglia, spazzolandola, come se spazzolasse la chioma a una gentil novizia. Poi, il granturco veniva messo a bagno in una vasca di acqua salata. La somara seguiva questi preparativi con occhi avidi e quando il “Sagrestano” non si dava premura nel servirla, la ciuca, unendo le orecchie sopra la fronte, cominciava a ragliare: vouugh! vouugh!…
— Vengo, golosa, vengo — rispondeva Requena, come se l’asina fosse una persona, e la guardava con occhi innamorati.
Un giorno il “Sagrestano”, secondo la sua abitudine, si alzò sul far dell’alba, riscaldò il caffè, masticò il suo biscotto e si diresse alla mangiatoia per bardare l’asina. Ma la sorpresa fu grande. “Grazia di Dio” non c’era.
Requena corse fuori, per la calle. La porta era aperta. Dal marciapiede, Casimiro scrutò lo spazio profondo, appena schiarito da un presentimento di aurora. Poi s’incamminò per cento, duecento, trecento metri, scrutando e interrogando l’ombra. Si pose la mano sulla testa e si accorse di essere uscito senza cappello; pensò di aver lasciato aperta la porta di casa, e tornò indietro. Sulla strada incontrò un altro mattiniero.
— “Grazia di Dio” si è smarrita – gli disse
— Te l’avranno rubata.
— Non credo, la cavezza sembrava masticata, inoltre, era già logora, e l’asina è forte.
— Ma la tua asina non ha le ali, come è potuta uscire?
Requena spiegò come quella notte per diabolica casualità il cancello fosse rimasto aperto, e continuò a parlare e a camminare attraverso il villaggio assopito, alle prime luci dell’alba.
In seguito, dovette affittare un’asina per il servizio della consegna dell’acqua. Non voleva comprare un’altra bestia. Non disperava di trovare un giorno o l’altro quella ingrata, ma cara, “Grazia di Dio”. Confidava per questo in San Antonio. Era sempre stato devoto a San Antonio e non dubitava che il buon santo gli avrebbe restituito l’asina.
Per molti giorni, al suo capezzale, accese alcune candele a sant’Antonio; ma questo piccolo santo domestico a Casimiro non parve sufficiente per tale impresa:
— Il sant’Antonio della chiesa è più miracoloso – pensò Requena.
Il Sant’Antonio della parrocchia, grande come un uomo e dolce come una donna, era una preziosa immagine scolpita nel legno. Da lui andò Casimiro. Domandò, implorò e pose sull’altare un fascio di candele da accendere.
Le preghiere e le candele erano numerose, ma l’asina non comparve. Casimiro non aveva perso la fiducia.
— Solo Sant’Antonio può ascoltarmi – rimuginava, credendo che le offerte avrebbero potuto obbligare il santo.
Requena diede al curato tutti i risparmi che custodiva nella fodera del suo pagliericcio per comprare a San Antonio una veste nuova.
— Con quei soldi puoi comprare un’altra somara – gli disse il prete.
— Non m’importa, signor curato! Non voglio un’altra asina, voglio la mia “Grazia di Dio”.
Alla fine arrivò la veste nuova per Sant’Antonio. La mattina in cui il santo inaugurava l’abito, Casimiro, risvegliandosi, volò allo stazzo. Qualcosa gli diceva nel cuore che “Grazia di Dio” sarebbe stata lì, pasturando nel suo recinto come se mai si fosse assentata.
La delusione di Requena fu grande. “Grazia di Dio” non c’era.
Questo miracolo fallito gli fece capire che quella mattina tornava a perdere la sua asina. Requena cominciò a risentirsi con il santo.
— Come – pensava — questo Sant’Antonio fa miracoli a tutti e a me non ne vuol fare! Che cosa gli danno gli altri? Una candela, niente. Che cosa gli pregano? Un’orazione e se ne vanno. Io invece…
Nella mente di Casimiro passava il ricordo degli innumerevoli pacchi di candele bruciate, della bella veste nuova, delle interminabili preghiere, delle notti di suppliche che aveva consacrato a quel Sant’Antonio così ingrato e smemorato.
Casimiro cominciava a disperare. Sant’Antonio non voleva compiere il miracolo di far ritornare l’asina. Nell’anima del “Sagrestano” quell’ingiustizia di Sant’Antonio fece nascere in lui un sentimento di ripugnanza nei confronti del santo; la ripugnanza si trasformò in rancore con la persistenza dell’ingiustizia, fino a diventare la fiamma di un odio. Ora, Requena odiava Sant’Antonio, il Sant’Antonio della parrocchia, l’immagine della chiesa, quel sordo, ingiusto, spietato Sant’Antonio del posto.
Nell’ottusa zucca di Requena cominciò a germogliare l’idea di sostituire quell’immagine con un’altra dello stesso santo. Se avesse potuto regalare un altro Sant’Antonio alla chiesa! Un giorno, di punto in bianco, chiese al curato:
— Signor curato, quanto costa un Sant’Antonio?
Il curato lo informò. Un Sant’Antonio costava molto caro. Il “Sagrestano” non poteva permettersi il lusso di fare una rivoluzione nella chiesa e di destituire il Sant’Antonio dall’ostinata ingiustizia.
Un pomeriggio, terminato il servizio della consegna dell’acqua, si sdraiò su un’amaca e cominciò a pensare.
— Andrò alla porta della chiesa, getterò in aria un pugno di terra e nella direzione in cui prenderà a volare, me ne andrò in cerca di “Grazia di Dio”. Sant’Antonio, commosso dalla mia pietà, mi sta mandando quest’idea. Non è vero, mio Signore?
Era, oramai, notte fonda quando Requena tornò alla sua casupola, taciturno, avvilito, accigliato, triste. “Grazia di Dio” non c’era.
Era stata una burla di Sant’Antonio. A quell’idea Casimiro schiumava di rabbia.
La mattina seguente, quando il chierichetto aprì la chiesa per la messa delle cinque, Requena, era nella piazza accanto e spiava da dietro gli alberi. Appena l’uscio fu aperto, entrò nella chiesa. I passi del chierichetto già si perdevano sullo sfondo, sotto la volta, quando Requena raggiunse l’altare di Sant’Antonio.
Non si inginocchiò e non si fece il segno della croce, davanti all’immagine del santo, solamente disse:
— Tu non sei sant’Antonio, sei San Diavolo.
In quel momento entrarono due donne anziane. Il ciabattio dei loro passi risuonava sullo sfondo, verso l’altare maggiore. Requena ebbe la sensazione di un oggetto che rotolasse sulle piastrelle. Le pie si inginocchiarono davanti al Tabernacolo, biascicando le loro preghiere. Di lì a poco si sedettero. Requena le osservò e dopo osservò la calle. La calle si schiarì per alcuni istanti. L’alba accelerò la sua corsa. Allora Requena, si diede fretta all’improvviso, estrasse il machete da sotto la mantella, introdusse la lama nelle giunture della vetrata e una volta aperta la nicchia, dove trionfava la bonomia di Sant’Antonio, diede uno spintone al santo che ruzzolò per terra con un gran fracasso.
Mentre le due donne atterrite urlavano e il chierichetto accorreva, Requena brandiva il machete e decapitava il santo.
La testa del santo stava rotolando ancora sulle piastrelle quando Requena uscì dalla chiesa esclamando:
Dio sa che te lo sei meritato, canaglia.
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[1] Si trovano nello stato omonimo nella parte settentrionale del Venezuela che si affaccia sul Mar dei Caraibi.
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