
In copertina: Rita Pacilio, fotografia di Lucia Pinto
da Luna stelle… e altri pezzi di cielo, 2003
Si dice che solo il dolore
conosce ciò che non dura
eppure sull’orlo del pozzo
alita la memoria del viaggio
e lentamente mi sorprendi
tra i libri, là dentro mi annusi
da cacciatore insonne
per abitare tempo e anima.
Torniamo spesso nelle cose passate
come si fa con i sogni taciuti
un planare basso sulla terra
per amare le immagini rimaste.
Chi è stato innamorato
sigilla
grandi tempeste e silenzi sapienti
passa piegato, sopporta, si inginocchia.
Chi è stato innamorato dà un senso a ogni cosa
sa tornare, sa rimanere.
*
Vengono e vanno di bocca in bocca
i baci sulla lapide, colpi di unghie
risvegliano inquietudini lente
il sonno e la verità di chi non canta più.
Allora bisogna aprire le braccia
spiegarsi a vela sull’onda dopo la morte.
Un uccello in fuga, sì, una capriola nell’aria
essere testimone assoluto di oblio
e nuvole lattose. Conquistare il coraggio
la forza di vivere oltre l’epigrafe.
da Ciliegio forestiero, 2006
Vedessi come affonda il coltello feroce,
nella carne trasfigurata. Penetra
dietro la pupilla ferisce i desideri
in ombra.
Vedessi come taglia lentamente
la bocca che ribolle gocce sapide e sangue.
Cosa hai udito nella conchiglia,
l’onda che ritorna, il suo odore?
Forse la profonda voce del dio del vento
con la lancia in mano?
*
Non domandarti le foglie che ho riempito i rami
o il succo di ciliegia sulla bocca.
Non importa il tempo
delle radici in terra feconda
non sarà lì che torneremo amanti.
Ha avuto un senso il tronco
e l’intaglio delle parole.
Fino a terra
confessione segreta dell’ultimo atto
nell’incavo delle spalle si è posato
lo sfioramento d’ala
due anime le nostre tra succose ciliegie forestiere.
da Tra sbarre di tulipani, 2008
Lei sta morendo
nel verde del suo sguardo
quanto di pioggia in mare.
Pioggia di fine estate
fuori dal seno pieno.
Tremolante tra le begonie
sul balcone.
Lei sta morendo
nei fili d’erba
quanto dita e fiori di cespugli.
Di lei resteranno le cose cancellate.
da Gli imperfetti sono gente bizzarra, 2012
Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite
è latente lo scontento sulle spalle
gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.
Io mi trovo qui dove non si torna indietro.
*
La prigione di mio fratello
ha le finestre sorde
esala l’anima ancora sbalordita
dalla paura del lampo
suoni di saluti nella campana
a morte
e sul collo il respiro che non vuole finire.
L’ecatombe ogni notte si maschera
impaziente il mormorio nei reparti
è illecito l’omaggio agli dei
si arriva sempre presto sottovento
menzogne e sacrilegi nascosti.
La prigione di mio fratello
è oracolo timido
probabile occhio spia
una pietra desolata
nella recinzione gli uccelli dormono
di là
nessuna barca esiste più.
da Quel grido raggrumato, 2014
Lei è la maschia forza che risorge
dalla morte, sotto il porticato c’è
la festa alle viscere rancide
e la consolazione dalla tenebra.
È faticoso buttare i languori
quel primo seme raggrumato
largo, tornito, ricolmo nella gonna
colpita.
Quella sera erano una folla profanata
un tetto che soccombe molle, senza luce
tumefatto di collera.
Quella che hai amato
io l’ho uccisa
l’ho scucita lungo la schiena
le ho tirato via la carne
succhiato il sangue
l’ho stesa sul lenzuolo:
è lei stessa quel Cristo feroce.
da L’amore casomai, 2018
E ti rispondo dal fulmine nelle nuvole
dalla misura della mano cento metri più su
spingendo il parapetto nelle fughe a tre voci
è qui che gli aquiloni si riavvolgono
di fronte alla lampada sconsolata.
Ricordo l’odore dell’anima emorragica
quando lei e le altre mutarono in frammenti
inghiottite nel bruno solitario.
Ti accoppiasti alla tazza mentre inciampavo
nel rombo verde dell’anello
questo potrebbe essere tutto, invece le forme
delle lodi ebbero colori pallidi e furono dolci
i brandelli del luneggiare.
Così ci addormentiamo nella direzione della terra
a orecchie fredde a scaldare le mani.
da La venatura della viola, 2019
Qualcosa di troppo accresce
l’orgoglio e la colpa di essere nati qui
in questo garbuglio di allarmi profondi
dove porti in rovina e chiusi come porte
rendono l’acqua inutile e il tramonto povero
se esistesse l’origine di una parola
dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie
farlo in segreto, silenziosamente
tracciare una virgola dopo l’apparenza
allargarci sul gambo come fa la viola.
da Quasi madre, 2022
Lasciata nel riflesso come un filo
legato a una vertigine
sfrangiata da piccole pieghe
lei
si adorna di sogni avvampati.
Mia madre riflette cicli di giorni
e notti rimestando dialoghi
platonici, i silenzi del destino.
Se la verità non avesse segreti
avrebbe la tua limpida voce,
giardini fioriti, la porta aperta.
La senti? Ha detto qualcosa?
La divinazione è nel lampo,
nel morso di un ultimo bacio.
Potessi ricordare una carezza
quel poco amore che era tutto
per raggiungerti.
Potessi smettere di sentire l’odio
che agiti nella testa vecchia,
mi chiami tre volte, mai con il mio nome.
Testi tratti da Rita Pacilio, “Come fosse luce”, Macabor, 2023. Poesie e antologia critica con un saggio introduttivo di Mara Venuto.