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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Rita Pacilio

Rita Pacilio, “Come fosse luce”, Macabor, 2023

20 lunedì Mag 2024

Posted by Deborah Mega in POESIA, Segnalazioni ed eventi

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Tag

poesia contemporanea, Rita Pacilio

In copertina: Rita Pacilio, fotografia di Lucia Pinto

 

da Luna stelle… e altri pezzi di cielo, 2003

 

Si dice che solo il dolore

conosce ciò che non dura

eppure sull’orlo del pozzo

alita la memoria del viaggio

e lentamente mi sorprendi

tra i libri, là dentro mi annusi

da cacciatore insonne

per abitare tempo e anima.

Torniamo spesso nelle cose passate

come si fa con i sogni taciuti

un planare basso sulla terra

per amare le immagini rimaste.

 

Chi è stato innamorato

sigilla

grandi tempeste e silenzi sapienti

passa piegato, sopporta, si inginocchia.

Chi è stato innamorato dà un senso a ogni cosa

sa tornare, sa rimanere.

*

Vengono e vanno di bocca in bocca

i baci sulla lapide, colpi di unghie

risvegliano inquietudini lente

il sonno e la verità di chi non canta più.

Allora bisogna aprire le braccia

spiegarsi a vela sull’onda dopo la morte.

Un uccello in fuga, sì, una capriola nell’aria

essere testimone assoluto di oblio

e nuvole lattose. Conquistare il coraggio

la forza di vivere oltre l’epigrafe.

 

da Ciliegio forestiero, 2006

 

Vedessi come affonda il coltello feroce,

nella carne trasfigurata. Penetra

dietro la pupilla ferisce i desideri

in ombra.

Vedessi come taglia lentamente

la bocca che ribolle gocce sapide e sangue.

 

Cosa hai udito nella conchiglia,

l’onda che ritorna, il suo odore?

Forse la profonda voce del dio del vento

con la lancia in mano?

*

Non domandarti le foglie che ho riempito i rami

o il succo di ciliegia sulla bocca.

Non importa il tempo

delle radici in terra feconda

non sarà lì che torneremo amanti.

Ha avuto un senso il tronco

e l’intaglio delle parole.

 

Fino a terra

confessione segreta dell’ultimo atto

nell’incavo delle spalle si è posato

lo sfioramento d’ala

due anime le nostre tra succose ciliegie forestiere.

 

da Tra sbarre di tulipani, 2008

 

Lei sta morendo

nel verde del suo sguardo

quanto di pioggia in mare.

 

Pioggia di fine estate

fuori dal seno pieno.

Tremolante tra le begonie

sul balcone.

 

Lei sta morendo

nei fili d’erba

quanto dita e fiori di cespugli.

 

Di lei resteranno le cose cancellate.

 

da Gli imperfetti sono gente bizzarra, 2012

 

Sputa i suoi drammi

coi colpi di tosse

per gioco, per amore

scorie sottili nelle mani esibite

 

è latente lo scontento sulle spalle

 

gli imperfetti sono gente bizzarra

lasciati nell’arena, non so dire esattamente,

come un silenzio, un ghigno.

Ho pensato che Dio ama l’insicurezza

e le sfumature dei dirupi.

 

Io mi trovo qui dove non si torna indietro.

*

La prigione di mio fratello

ha le finestre sorde

esala l’anima ancora sbalordita

dalla paura del lampo

suoni di saluti nella campana

a morte

e sul collo il respiro che non vuole finire.

 

L’ecatombe ogni notte si maschera

impaziente il mormorio nei reparti

è illecito l’omaggio agli dei

si arriva sempre presto sottovento

menzogne e sacrilegi nascosti.

 

La prigione di mio fratello

è oracolo timido

probabile occhio spia

una pietra desolata

nella recinzione gli uccelli dormono

di là

nessuna barca esiste più.

 

da Quel grido raggrumato, 2014

 

Lei è la maschia forza che risorge

dalla morte, sotto il porticato c’è

la festa alle viscere rancide

e la consolazione dalla tenebra.

È faticoso buttare i languori

quel primo seme raggrumato

largo, tornito, ricolmo nella gonna

colpita.

Quella sera erano una folla profanata

un tetto che soccombe molle, senza luce

tumefatto di collera.

 

Quella che hai amato

io l’ho uccisa

l’ho scucita lungo la schiena

le ho tirato via la carne

succhiato il sangue

l’ho stesa sul lenzuolo:

è lei stessa quel Cristo feroce.

 

da L’amore casomai, 2018

 

E ti rispondo dal fulmine nelle nuvole

dalla misura della mano cento metri più su

spingendo il parapetto nelle fughe a tre voci

è qui che gli aquiloni si riavvolgono

di fronte alla lampada sconsolata.

Ricordo l’odore dell’anima emorragica

quando lei e le altre mutarono in frammenti

inghiottite nel bruno solitario.

Ti accoppiasti alla tazza mentre inciampavo

nel rombo verde dell’anello

questo potrebbe essere tutto, invece le forme

delle lodi ebbero colori pallidi e furono dolci

i brandelli del luneggiare.

Così ci addormentiamo nella direzione della terra

a orecchie fredde a scaldare le mani.

 

da La venatura della viola, 2019

 

Qualcosa di troppo accresce

l’orgoglio e la colpa di essere nati qui

in questo garbuglio di allarmi profondi

dove porti in rovina e chiusi come porte

rendono l’acqua inutile e il tramonto povero

se esistesse l’origine di una parola

dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie

farlo in segreto, silenziosamente

tracciare una virgola dopo l’apparenza

allargarci sul gambo come fa la viola.

 

da Quasi madre, 2022

 

Lasciata nel riflesso come un filo

legato a una vertigine

sfrangiata da piccole pieghe

lei

si adorna di sogni avvampati.

Mia madre riflette cicli di giorni

e notti rimestando dialoghi

platonici, i silenzi del destino.

Se la verità non avesse segreti

avrebbe la tua limpida voce,

giardini fioriti, la porta aperta.

La senti? Ha detto qualcosa?

La divinazione è nel lampo,

nel morso di un ultimo bacio.

 

Potessi ricordare una carezza

quel poco amore che era tutto

per raggiungerti.

Potessi smettere di sentire l’odio

che agiti nella testa vecchia,

mi chiami tre volte, mai con il mio nome.

 

Testi tratti da Rita Pacilio, “Come fosse luce”, Macabor, 2023. Poesie e antologia critica con un saggio introduttivo di Mara Venuto.

 

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LA POESIA PRENDE VOCE: ELISA RUOTOLO, RITA PACILIO, MICHELA ZANARELLA

24 martedì Gen 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

≈ 1 Commento

Tag

Elisa Ruotolo, Maria Allo, Michela Zanarella, Rita Pacilio

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Elisa Ruotolo

di Elisa Ruotolo, da “Corpo di pane”, Edizioni Nottettempo, 2019, legge la stessa autrice

Rita Pacilio

di Rita Pacilio “Ricorderà il suo peso affaticarsi” da “Quel grido raggrumato”, La vita felice, 2014, legge la stessa autrice

Michela Zanarella

di Michela Zanarella “Esiste una lingua segreta” da “Recupero dell’essenziale”, 2022, Interno Libri, legge la stessa autrice

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Una vita in scrittura: Rita Pacilio

20 mercoledì Apr 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA, Una vita in scrittura

≈ 1 Commento

Tag

Rita Pacilio, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto a Rita Pacilio che l’ha interpretato come segue

Grazie infinite, Rita.

La mia vita in scrittura è legata indissolubilmente alla vita. L’orfanità paterna e la malattia di mio fratello hanno condizionato il mio stare al mondo, sicuramente.

Non denuncerò di me l’assedio
e il rapimento.
Sulla carne intreccerò l’amore.
Perdonerò anche Dio
perché tu non pianga.

(da Tra sbarre di tulipani – LietoColle, 2005)
***
Così, per sentirmi meno concentrata sulla parte più dolorosa della mia condizione interiore, ho deciso di calarmi nel mondo, nella sua profondità, e di cercare negli animi umani le stesse dinamiche emotive che mi somigliassero per trovare empaticamente una connessione emozionale. Partendo dagli altri ho imparato a conoscere e ad accogliere anche me stessa. Soprattutto, ho imparato ad avere rispetto amorevole per i segreti e gli aspetti misteriosi che appartengono alla natura.

Il mondo è un corpo devastato
ha l’erba secca per il troppo pianto
è steso di fianco senza parole in bocca
alle dita manca il segno della pace,
si avverte il lamento del lupo in agonia
la neve permanente morire piano, piano.
Qualcuno dice non puoi farci niente
rassegnati al timbro del frastuono,
allora coglierò tutte le viole
le terrò insieme come faceva nonna
adornerò capelli scombinati
e
abbandonata alla saggezza del necessario sarò povera delle solite cose.

(da La venatura della viola – Ladolfi, 2019)
***
Senza accorgermene, via via, la mia vita finiva nelle pagine dei miei libri. Con cura e pazienza mi sono lasciata invadere e incantare dalle metafore, spesso struggenti e impreviste, per catturare in maniera visionaria, le particelle impercettibili della storia, della memoria e dei sentimenti.

Dimmi che la mia bocca
butta giù le porte
quando tace.
E che mi porterai il mare
tra i piedi nudi
a parlarmi di tutto.

(da Tra sbarre di tulipani – LietoColle, 2005)
***
Ho studiato sociologia con laurea in psicologia sociale, specializzandomi nella mediazione del conflitto interpersonale, forse proprio per quietare tormenti interiori e le mie fragilità esistenziali.

Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio peregrinare stanco/ per l’urlo muto/ per la corsa che mi affanna e dice./ Il destino è un cerchio senza fine.

(da Gli imperfetti sono gente bizzarra – LVF, 2012)
***
Studiare, leggere e scrivere sono sempre andati di pari passo: una specie di tessitura composta da tanti dettagli al fine di approfondire i fenomeni che muovono le emozioni. Mi sono sempre interrogata sull’assenza, sul tempo, sul perdono, sulla compassione e sul dolore. Mi sono occupata della solitudine e della frustrazione dell’ammalato, del disagio sociale, dell’indifferenza sociale, del corpo e della sua caducità.

Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite

è latente lo scontento sulle spalle.

Gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.

Io mi trovo qui dove non si torna indietro.

(da Gli imperfetti sono gente bizzarra – LVF, 2012)
***
L’amore in tutte le sue forme (l’amore malato, il sopruso …)
Quella che hai amato
io l’ho uccisa
l’ho scucita lungo la schiena
le ho tirato via la carne
succhiato il sangue
l’ho stesa sul lenzuolo:
è lei stessa quel Cristo feroce.

(da Quel grido raggrumato – LVF, 2014)

L’amore è la tematica sottesa a ogni mio scritto; amore come vera e unica motivazione di vita: testamento simbolico e spirituale per l’umanità intera.

[…] Allora, tu, quando io morirò, devi fermarti e smettere di ascoltare coloro che opprimono curiosità e coraggio. Dai voce, invece, alla libertà e nutriti di gioie salvate dalle risate grasse, dai colori estivi, parole che sommate fanno algebre strane. Stordisciti di sapienza, capelli sciolti, di polmoni vuoti e verità. Quando non ci sarò più schiarisci la voce e tieni con te il carico prezioso della tenerezza umana.»

(da Prima di andare – LVF, 2016)
***
L’obiettivo della mia poetica, infatti, è la diagnosi del mondo. Per questo, mi piace ripetere che, secondo me, la poesia è un luogo di esperienza, di incontro, di elaborazioni e modificazioni che partono da un atto di fede e di speranza. È stato molto complicato mettersi in gioco, farsi leggere, pubblicare, partecipare ai Concorsi o Premi. Soprattutto, vincere ed essere apprezzata, accolta. Niente era ed è scontato. Ricordo che venticinque anni fa per far leggere i miei testi inediti ai grandi della poesia, riuniti in un convegno internazionale sulla parola poetica, andai di persona. Presi il treno e dalla mia provincia campana arrivai a Montiglio, in Piemonte. Fu l’esperienza che ha segnato il mio futuro nella scrittura perché fu allora che venni invogliata a pubblicare e a perseguire nella poesia. Certo, non sono mancati sacrifici, errori e delusioni. Chi di noi non ha subito un torto, un’ingiustizia o un tradimento!

Fammi un favore… questa volta
mi è sembrato possibile riuscirci
qualcosa simile a togliere lo sporco
dalle mani o discutere nella striscia
d’ombra che raggela quando sono qui.
Non serve a niente arrivare in anticipo
cercare di piacerti un’altra volta.
Ci provo da quando ero bambina
nel catino freddo di nonna da cui uscivo
più piccola e più bianca.
Lascia perdere, non è così che diventi
fiume! Ma io scorro senza tregua,
senza consolazione ed è incredibile
quanto oceano sia diventata
nel vetro scuro dei tuoi occhiali
se ogni giorno appaio povera, profanata.

(da Quasi madre – Pequod, 2022)

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La vetrina di Limina: “Quasi madre” di Rita Pacilio – Pequod, Collana Rive, 2022

11 lunedì Apr 2022

Posted by Deborah Mega in Vetrina

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Tag

Pequod, POESIA, Rita Pacilio

 

Fammi un favore… questa volta

mi è sembrato possibile riuscirci

qualcosa simile a togliere lo sporco

dalle mani o discutere nella striscia

d’ombra che raggela quando sono qui.

Non serve a niente arrivare in anticipo

cercare di piacerti un’altra volta.

Ci provo da quando ero bambina

nel catino freddo di nonna da cui uscivo

più piccola e più bianca.

Lascia perdere, non è così che diventi

fiume! Ma io scorro senza tregua,

senza consolazione ed è incredibile

quanto oceano sia diventata

nel vetro scuro dei tuoi occhiali

se ogni giorno appaio povera, profanata.

 

 

[…] Ecco allora Rita Pacilio mettere a nostra disposizione una poesia “calma”, una poesia della parola quotidiana (meno male!), una sabiana poesia onesta, rifiutandosi di accedere, tanto per fare qualche esempio, a qualsiasi “scatenamento” espressionista, o surrealista, o peggio, parole in libertà più o meno futuristiche, perché il suo progetto stilistico appartiene a un bisogno aurorale di poesia, giocata sulla figura della madre, non più come un colloquio con i morti di tanta lirica contemporanea, da Pascoli a Raboni, per esempio, ma invece come dialogo, con una presenza che disarticola continuamente la quotidianità e che possiede già “naturalmente” una propria disarticolazione. Una madre come completamento della stessa autrice. […]

Dalla postfazione di Piero Marelli

Rita Pacilio (Benevento, 1963) è poeta e scrittrice. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. È stata tradotta in nove lingue. Sue recenti pubblicazioni: Gli imperfetti sono gente bizzarra, Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, La principessa con i baffi, L’amore casomai, La venatura della viola, Cosa rimane, Pretesti danteschi per riflettere di sociologia, Quasi madre.

 

https://www.rplibri.it/rita-pacilio/

 

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Nota critica di Carlo Di Legge su “La venatura della viola” di Rita Pacilio, Ladolfi, 2019

23 lunedì Mar 2020

Posted by Deborah Mega in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, Recensioni

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Tag

Carlo Di Legge, La venatura della viola, Rita Pacilio

Cara Rita, riesco, in questi giorni di calma un po’ irreale, a rileggere il tuo ultimo libro La venatura della viola – Ladolfi, 2019: un bel titolo, tanto per cominciare, inventato nel contesto di quell’infinito immaginario che tutti ci muove, facendo sì che troviamo senso alla vita. Comincio a leggere, e vengo diretto in modo assai favorevole e anche a me congeniale dalla tua Lettera introduttiva. Vi si avverte un tono pacato, rasserenato e rasserenante, che forse non c’era in molti tuoi lavori visti.

Le prime poesie, per la verità, sembrano contraddire ciò che ho appena scritto. E avviene che, nonostante la presenza, sovente, del senso compiuto – ricordo bene la tua scrittura precedente, che certamente corrispondeva a una visione del mondo – , s’incontri il tu : tu, “che mi vuoi archiviare” e lo fai “interrompendo il nostro discorso”, “nella nebbia rancorosa e scura” (p. 10). Non sto a domandarmi il chi; ma subito, a p. 11, prosegui con menzione dell’ “ultimo litigio/uscito dalla bile” e accenni alla “fossa” e “al timore di saperci morti”; eppoi  (per un esempio), “Mani agitate sconvolgono ricordi/il nome; la data di nascita schiamazza/per terra” (p. 14) – efficace, certo – in un mondo in cui “tutte le persone … muoiono senza compassione,/come se il peccato fosse l’amore” (p. 16): allora non resta che “l’alloggio della rassegnazione” ma, a un mondo del genere, scomposto, non certo allegro, non felice, si adegua solo il linguaggio spezzato, lacerato, il mutamento non proprio gradevole al/del soggetto. Messo in dubbio anche il soggetto? Non so. Ma “Il mondo è un corpo devastato” (p. 17) e questo incipit è davvero un simbolo per i tuoi libri, quelli che avevo già letto, e pare che anche la tua poesia non possa risultare diversa, se la visione del mondo sarà questa: così “Qualcuno dice che non puoi farci niente”. Ma qui, proprio qui nel cuore dell’immagine della tua Waste Land, cominci a tener fede alla Lettera introduttiva, perché quel “qualcuno dice …” sottintende anche “ma …”: l’eccezione dell’ottimismo, la presenza di un alcunché di positivo, che arriva, con le linee dell’ “allora coglierò tutte le viole/le terrò insieme …/abbandonata alla saggezza del necessario” (p. 17). Ed è la saggezza che parla, con la viola. Da questo momento, il mondo e il libro, è vero, non sono affatto pacificati – già a fine p. 18 s’affaccia l’assurdo (da sotto terra guardare la luna e fare una piroetta “per vederti sorridere”?); tuttavia, nei momenti che ritieni di sutura, affacci questa immagine gentile, che giova al libro e alle cose, fin dal titolo: l’essenza (di violetta?) nel fazzoletto e di nuovo, con il ricordo della nonna, la narrazione dell’infanzia; certo che anche un’essenza – si direbbe, figura metonimica –  oppure consuetudine per “spirito” – si apparenta strettamente con la trasparenza della venatura e, volendo, di lì alle “albe e l’universo” intero, se in ogni monade si raccoglie il caos ordinato; ed è vero, questa gentile venatura-per-violetta-per-kosmos dice, o è come dicesse, “manca sempre una parola se mi nascondi” (p. 19); violetta è figura associata al perdono e all’ancora una volta (p. 20); le immagini di pacificazione (p. 21) sono collegate, suppongo, a quelle della natura; e così alla natura “del poco” (p. 22) che può essere tutto ciò che serve, alle “venature della viola” (p. 26) che occorrerà ringraziare di tutto ciò che si trova, e d’essersi lasciate trovare; al “vorrei essere un albero” ai piedi del quale “le violette” (p. 28).

Un altro cuore del libro, credo, a p. 23: “Ci si ammala. Per eccesso di fiducia”. Ma poi, meglio, “Ci si ammala per avidità”. Ancora saggezza.

Credo si tratti qui di un libro importante, dove, alla visione-diagnosi del male del mondo e dell’anima, si presenta spessissimo un simbolo d’infanzia, o più simboli della natura ritrovata (ancora bella, nitida, “Ho tre alberi in cima agli occhi” p. 40); uno o più promettenti ritorni.

Ed ecco un incontro in cui diventa estraneo una persona che ben si conosce, e sarà meglio così, forse? O no? (p. 26); ancora i pensieri tristi “Se dovessi scriverti da morta” aggiustarsi come pacate “parole dette/risposte giuste, cortesi” (p. 33):; “viola” sarà ultima parola del libro (p. 44), e, nel silenzio, da cui infine sappiamo “di essere sorretti” (p. 36), campeggia il “batticuore che guarda in alto/guizzo estremo e gentile/senza disperazione”, ancora “Quella venatura della viola/… già compiuta nella sua totalità”. In fondo, nulla. Ma, volendo, si trova che sia tutto.

Grazie per il regalo, hai trovato un bel simbolo grazioso e potente.

Carlo Di Legge

 

***

Vorrei essere un albero

raspato nelle croste dai fulmini

contare le formiche sul ceppo

al vento sbattere la mia testa matta.

Se hai paura non tornare indietro:

vedi la confidenza dell’inverno?

Lungo il tronco si appuntisce il bosco

si piega a terra con le violette in mano.

***

Come noi, i pomeriggi di marzo assottigliano

continuiamo a non saperci dire che ci amiamo.

Nessuno, te compreso, ha visto in controluce

la combinazione per consolare le cellule perse

tra un atto e l’aria blu. Le parole, una dopo l’altra

mentre spaiamo calzini e prudenti teorie.

Se unissimo i punti

troveremmo l’infinito lasciato incompiuto

il bacio a tradurre il reale e l’altra faccia.

***

Qualcosa di troppo accresce

l’orgoglio e la colpa di essere nati qui

in questo garbuglio di allarmi profondi

dove porti in rovina e chiusi come porte

rendono l’acqua inutile e il tramonto povero

se esistesse l’origine di una parola

dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie

farlo in segreto, silenziosamente

tracciare una virgola dopo l’apparenza

allargarci sul gambo come fa la viola.

 

Rita Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, sociologa, mediatrice familiare, si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di saggistica, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. Ha ideato e coordina il Festival della Poesia nella Cortesia di San Giorgio del Sannio. Sue recenti pubblicazioni di poesia: Gli imperfetti sono gente bizzarra, Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, Al polso porto catene, La venatura della viola.

Per la narrativa: Non camminare scalzo, L’amore casomai.

Pubblicazioni di letteratura per l’infanzia: La principessa con i baffi,Cantami una filastrocca, La favola dell’Abete, La vecchina brutta e cattiva.

È stata tradotta in greco, in romeno, in francese, in arabo, in inglese, in spagnolo, in catalano, in georgiano, in napoletano.

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Intervista a Rita Pacilio: La venatura della viola

30 lunedì Set 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

≈ 1 Commento

Tag

La venatura della viola, POESIA, Rita Pacilio

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia Rita Pacilio, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La venatura della viola, Giuliano Ladolfi Editore, ottobre 2019

Continua a leggere →

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Canto presente 23: Rita Pacilio

15 venerdì Set 2017

Posted by Deborah Mega in Canto presente, LETTERATURA, Poesie

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Tag

poesia contemporanea, Rita Pacilio

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:

Rita Pacilio

*

LA VOCE È UNA PIETRA NERA

Billie dormiva anche di giorno

l’alcool lascia segni sulle gote

nel baffo tirato senza grazia

– la riluttanza della fede fallace –

 

si sdraiava con il corpo senza-corpo

nella stanza infantile dell’allodola

a otto anni sul pavimento del night

ingoiava i suoni e le interferenze

 

si trattenevano i singhiozzi nella voce

alta e nera di seppia. L’eleganza possibile

pettinava le particelle scure della storia

per abbassarle nella parola intima

 

basta questo per possedere la vita

ripetuta nella continuazione del chorus

laborioso, improvvisato, meditato piano

quando il sole dilata il centro e il suo chiodo.

 

BILLIE HOLIDAY, detta Lady Day (1915 – 1959), è stata una cantante statunitense fra le più grandi di tutti i tempi nei generi Jazz e Blues. Infanzia travagliata e dolorosa, a soli quindici anni, iniziò la sua carriera di cantante nei club di Harlem. Il suo stile è connotato da una vena sofisticata e da un timbro espressivo discorsivo, quasi recitativo, flemmatico. Unica nella sua interpretazione melodica del chorus è considerata la regina dell’improvvisazione.

(tratta da Il suono per obbedienza, poesie sul jazz – Marco Saya Edizioni 2015)

*

Sono il ciottolo ripudiato dall’oceano

mentre la vanga scava fino ai cieli d’estate

dove resta immobile il seme infuriato.

Difficile dirti adesso le foglie sulla via

quando file di formiche sui bordi

spalancano voragini nel suolo raffreddato.

Non chiedono perdono né fanno lamento

le facce dei degenti

sotto giornali stesi come coperte al sole

perché Dio li ama fino al mattino.

 

(tratta da Gli imperfetti sono gente bizzarra – La Vita Felice, 2012)

*

Ho parlato al tuo corpo fraterno

conficcato nella pioggia che lava

sollevato ruggiti sfibrati

per pietrificarne i momenti.

 

In questa scorza ci sentiamo stretti

provoca dolore la bruna pupilla

lo so, tu sai scucire la terra

una grossa onda sul nostro campo.

 

Rinascere dal poco movimento

ogni istante si converte

la riga che non fa triangoli

un’immagine che resta al centro.

 

Così ti riparo dalle voci

e fisso il segno delle parole

qui ti lascio lamento malato

custode di ossa imporporate.

 

Non cambiare l’odore al soffitto.

 

(tratta da Gli imperfetti sono gente bizzarra – La Vita Felice, 2012)

*

Avrei voluto piangerti con gli occhi di una vecchia

con le dita scuoiate e spaventose

dipinte sul mio volto scavato

caduta, graffiata dai calcinacci di sguardi gonfi

rabbrividita nel ventre ossuto

cupa e rabbiosa come un astro nella notte,

invece facevo il rumore di un ramo, umido, sradicato

bianco di acero, troppo smilzo

che sperava di indossare le tagliole nel terreno

un segno triste, cammino della memoria di tibie e cosce.

Avrei voluto farti tornare indietro dalla bocca dei vermi

aprirti alla luce di te stesso

sperare di cambiare il fregio dopo la pioggia

togliere la ruggine alla melma appiccicosa

e partorirti senza mestruo.

Avrei voluto farti scivolare dal mondo all’età di ottant’anni

dopo quaranta estati ammainate nell’erba secca

cresciuta sulla tua barbapapà.

Adesso continua a muoversi l’oscurità sulla tua schiena.

 

(tratta da Quel grido raggrumato – La Vita Felice 2014)

*

Non devi restituirmi la difesa

appuntire collera tra me e te

riparare nelle mani a forma di cuore

tutti i pensieri belli e tristi

che raccontano beltà sbarazzine,

 

non devi sbattere porte per dimenticare

il mento alzato agli uomini che ho

baciato. Non maledire

le parole dei poeti che mi hanno

 

voluta in sposa e poi copiata.

Non devi perdonare i dubbi di Romeo

il suo Pater Nostro in ginocchio

bruciato nelle lettere perfette

 

mai spedite. Che fatica

aprire gli occhi e trovarsi attorcigliata

sembrare un tuono, lunga, un fiume stretto.

Vedersi seminata, vangata

un miscuglio di quesiti spalancati.

 

(tratta da Prima di andare – La Vita Felice 2016)

*

Capiterà a tutti di essere una boa

in mezzo al mare, una boa

dalla forma di pesce supino

dalla voce umana con braccia di violino

 

al posto delle branchie l’anima

spugna polposa e fili d’erba i capelli.

 

Si diventa così quando si va via

 

un nome senza nome

rimasto tra le palpebre e la mente

giovinezze disperse in un altro viaggio.

Quando anche le viscere svuoteranno

 

residui della traversata

resteranno bucce vuote

involucri rancidi, mezzi sorrisi,

il seno ormeggiato.

 

Questo siamo quando lasciamo

una casa, un fiore, chi abbiamo amato.

Capiterà a tutti di essere una boa

 

in mezzo al mare, pesci, uccelli dal ventre tremante.

 

(tratta da Prima di andare – La Vita Felice 2016)

*

La copia 

Non potrai mai essere come me
non hai gli occhi verdi di marzo
quel silenzio pacato, tiepido
la fine del mio amore per l’inverno.
Non potrai avere capelli bianchi
ho impiegato anni per tenere riccioli
i ricordi. Copiare ciò che sono io:
le scale in ginocchio, il coraggio,
preghiere urlate, pianto la morte
degli uccelli caduti dai rami.
Non sei madre degli alberi
e ai limoni tu non sei mancata.
Queste rughe le vedi? Non sono tue
ci vogliono secoli di scavo
per arrivare al calco di Pompei
un bacio segnato dalle dita
dove non porti il cerchio dell’anello.
L’atteggiamento sì, la copia falsa
quando il vestito compri uguale
al mio. La voce, il tono, passi lenti,
la risata. Non sarai il porto d’armi
chiuso nel cassetto, labbra amare
attaccate alla libertà, la bandiera
della paura. Quella no, s’impiglia
alla miseria del desiderio nefasto
consola lo sfondo delle ossa inclinate:
domandare alla guerra la fotografia.
Il petto disfatto la mia miscela.
(tratta da L’amore casomai – Racconti inediti)

*

Non invidiatemi
ho la pelle vecchia e stanca
ho i capelli bianchi, li vedete?
Non vedete le ossa distese
quanti muri alzano tra me
e il vento?
Non invidiatemi perché non ho
l’orizzonte della verità.
Passo nella cruna arrugginita
dove separo gli occhi dal ricordo.
Non dovete invidiarmi
qui la tempesta mi ustiona intera.

 

(tratta da L’amore casomai – Racconti inediti)

 

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Il cerchio e la botte: RITA PACILIO

05 lunedì Dic 2016

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Tag

POESIA, Rita Pacilio

 

Proseguono le interviste del lunedì di autori, poeti e scrittori potenzialmente noti, modestamente noti, mediamente noti, molto noti.

Il titolo dell’intervista che proponiamo oggi indica che lo scambio di domande e risposte è rapido e conciso. Nelle risposte non è permesso dilungarsi oltre tre righe. Colpo su colpo, come i bottai che ne assestavano ai fasci di legna della botte e ai cerchi che li stringevano. Attività dalla quale deriva il noto detto: “Un colpo al cerchio e uno alla botte”. Qui da intendersi non tanto nel senso di mantenere l’equilibrio in una situazione scomoda, ma, piuttosto in quello del convergere, tra botta e risposta, al risultato comune di raccontare con le parole dei poeti il mondo della poesia.

L’autore intervistato oggi è RITA PACILIO, la quale è stata interpellata anche in un’altra occasione per Sette domande sulla poesia.

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Sette domande sulla poesia: RITA PACILIO

06 lunedì Giu 2016

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Tag

Deborah Mega, Rita Pacilio

Proseguiamo con le interviste di autori e personaggi potenzialmente noti, modestamente noti, mediamente noti, molto noti che sono pubblicate il lunedì. Il titolo di questa intervista è Sette domande sulla poesia, perché sottoponiamo all’autore sette domande su importanti temi della poesia. A differenza dell’intervista “Il cerchio e la botte” qui la risposta è di lunghezza libera. Anche questa, come “Il cerchio e la botte”, è un’intervista tipo che sarà sottoposta ad altri autori oltre a quello intervistato oggi che è RITA PACILIO.

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