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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

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Edgar Allan Poe: il poeta del mistero

16 mercoledì Feb 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Tag

Edgar Allan Poe, poesia, traduzione

Perché la tartaruga ha il passo sicuro,
è questa una ragione per tagliare le ali dell’aquila?

E. A. P.

poe

Edgar Allan Poe (1809-1849), articolo e traduzioni di Emilio Capaccio

Egdar Allan Poe nacque il 19 gennaio del 1809 a Boston, nel Massachussetts.
Fu il secondogenito di una coppia di attori girovaghi, David Poe Jr. (1784-1811) ed Elizabeth Arnold Poe (1787-1811), i quali vennero a mancare entrambi, quando Edgar ebbe appena 3 anni.
La madre morì in seguito a una lunga malattia, probabilmente tubercolosi o polmonite, sola e abbandonata dal marito, in uno squallido albergo di Richmond, chiamato “Indian Queen Tavern”.
Per quanto riguarda la morte del padre, invece, le fonti dell’epoca concordano nell’affermare che morì poco tempo prima o dopo la morte della moglie, ma non sono state mai chiarite le circostanze della sua morte, né è stato mai rinvenuto il luogo della sua sepoltura.
Oltre a Edgar, gli altri figli della coppia furono: William Henry Leonard (1807-1831) anche egli versato alla poesia, prematuramente scomparso a causa di una grave forma di tubercolosi, e Rosalie (1810-1874), la cui nascita, suscitò, all’epoca, molte dicerie sull’effettiva parentela con i fratelli.
Il padre di Poe, infatti, diventato violento e schiavo dell’alcool, aveva abbandonato la moglie, Elizabeth, quando presumibilmente la stessa non avrebbe potuto essere stata già incinta della bambina.
Alla morte dei genitori, i 3 bambini furono separati e dati in affidamento: il fratello maggiore fu affidato ai nonni di Baltimora, nel Maryland, mentre Edgar e Rosalie, che sarebbe diventata un’ottima insegnante di calligrafia presso una scuola femminile di Richmond, furono affidati a due diverse famiglie di Richmond, in Virginia, rispettivamente alla famiglia di John e Frances Allan, di origini scozzese e facoltosi commercianti di tabacco, e alla famiglia di John e Jane Scott Mackenzie.
Nel 1815, Poe si trasferì a Londra con la famiglia adottiva dove ricevette la prima istruzione presso alcune scuole private.
Nel 1821, ritornato a Richmond, cominciò ad appassionarsi molto presto alla musica, alla letteratura e alla poesia, iniziando a scrivere i suoi primi versi e frequentando la scuola di Joseph H. Clarke.
In questo periodo, si infatua di Jane Stith Craig Stannard (1793-1824), madre di Robert Stannard, compagno di studi di Poe.
La donna lo aveva sempre elogiato e incoraggiato nei suoi primi sforzi letterari e a lei Poe dedicò una delle sue poesie più belle: To Helen.
La morte prematura di Jane, in seguito a uno scoppio di un’arteria, gettò il poeta in una profonda disperazione.
L’anno seguente iniziò la frequentazione di Sarah Elmira Royster (1810-1888), quindicenne e sua vicina di casa.
I due, a causa della disapprovazione del padre della ragazza, che non considerava Poe adatto a sposare la figlia perché squattrinato e orfano, vissero una breve relazione clandestina e passionale fino a quando la volontà del padre non la spuntò e la ragazza dovette lasciare Poe per sposare, qualche tempo dopo, il ricco uomo d’affari Alexander Barrett Shelton (1807-1844).
Nel 1826, con già tante sofferenze alle spalle, si iscrisse all’università di Charlotteville, Virginia, alla facoltà di lingue antiche e moderne, ma 6 mesi dopo fu costretto a lasciare l’università a causa dei debiti che aveva contratto con il gioco d’azzardo, e del conseguente rifiuto del padre adottivo di continuare a pagargli la retta universitaria.
In aperto conflitto con John Allan, nel 1827, decise di lasciare la Virginia per andare a Boston, dalla zia Maria Clemm, parente del padre naturale.
Qui conobbe la figlia di Maria Clemm, Virginia, che diventerà nel 1836 sua moglie, quando la ragazza non aveva ancora che 13 anni, con un matrimonio celebrato in segreto.
Sempre nel 1827, pubblicò la sua prima raccolta di versi: Tamerlane and Other Poems, seguita, nel 1829, dalla seconda raccolta, intitolata: Al Aaraaf, Tamerlane and Minor Poems.
Dopo lo scarso successo di queste prime raccolte, decise di entrare nell’Accademia militare di West Point, ma circa 8 mesi più tardi si fece cacciare per insubordinazione, determinando la definitiva rottura con il padre adottivo che nel 1834 lo cancellerà anche dalle disposizioni testamentarie.
Nel 1831 si trasferì per un breve periodo a New York dove pubblicò senza successo una terza raccolta di poesie, intitolata: Poems.
Ritornato nuovamente a Baltimora, dalla zia Clemm, iniziò a scrivere i primi racconti horror e del grottesco, collaborando con alcuni giornali di Baltimora, Richmond, New York e Filadelfia, tra i quali: “Saturday Visitor”, “The Courier”, “The Gift”, Southern Literary Messenger”.
I racconti riscossero inaspettatamente un notevole successo di pubblico, tanto che sull’onda della popolarità, gli fu offerto la carica di vicedirettore del “Southern Literary Messenger”.
Dal 1838 al 1840 diresse, insieme a William Evans Burton (1804-1860), il giornale “Burton’s Gentleman’s Magazine” di Filadelfia.
In questo stesso periodo pubblicò anche il suo unico romanzo: The Narrative of Arthur Gordon Pym, e nel 1840 la sua prima raccolta di racconti: Tales of the Grotesque and Arabesque, tradotta nel 1856 da Charles Baudelaire (1821-1867) con il titolo: “Histoires extraordinaires”.
Nel 1844 si trasferì nuovamente a New York e l’anno successivo divenne redattore e proprietario del “Broadway Journal”.
Pubblicò sulla rivista “The Evening Mirror”, il poemetto The Raven con il quale raggiunse la definitiva consacrazione.
Tuttavia, le continue difficoltà economiche, l’abuso di alcool e le accuse di plagio mosse in seguito alla pubblicazione di un secondo volume di racconti dal titolo: Tales (accuse già ricevute in occasione della pubblicazione di un trattato di conchiliologia, nel 1838), gettarono Poe in uno stato di profonda prostrazione che lo costrinse a chiudere definitivamente il “Broadway Journal”.
La crisi si acuì enormemente nel 1846 con la morte della moglie, Virginia, per tubercolosi, a soli 27 anni.
Nonostante tutto, nel 1848, riuscì a pubblicare un poema in prosa sul tema della cosmogonia dell’universo dal titolo: Eureka.
Iniziò successivamente una serie di viaggi in molte città degli Stati Uniti, tenendo conferenze, recitando poesie, conducendo una vita dissoluta e facendo uso di droghe, soprattutto laudano.
In questo periodo, intrecciò molte brevi relazioni amorose nel tentativo di smorzare un continuo e intimo malessere.
Si riavvicinò al suo vecchio amore, Sarah Elmira Royster, rimasta, nel frattempo, vedova, con la quale strinse un rinnovato legame amoroso che avrebbe dovuti condurli a celebrare quelle nozze che non avevano potuto celebrare in passato per l’ostilità del padre della ragazza.
Il 27 settembre del 1849 Poe uscendo di casa scomparve inspiegabilmente.
Aveva lasciato detto a Sarah Elmira Royster, con la quale doveva sposarsi qualche giorno dopo, che avrebbe dovuto incontrare il suo editore Griswold, dopodiché sarebbe andato a prendere la zia Maria Clemm a Baltimora per portarla definitivamente a Richmond.
Poe non andò né a Baltimora né si incontrò con Griswold.
Fu ritrovato da un amico 6 giorni dopo sul ciglio di una strada, completamente stralunato, semi-cosciente e in preda a delirium tremens.
Morì in ospedale 3 giorni più tardi, il 7 ottobre del 1849, all’età di 40 anni, senza poter spiegare lucidamente quello che gli era accaduto.
Molte teorie si sono congetturate negli anni sulle cause della sua morte, alcune estremamente fantasiose.
Secondo una versione, resa da una testimonianza, fu adescato in un’osteria da alcune persone che lo avrebbero fatto ubriacare per costringerlo a votare più volte lo stesso candidato, una pratica subdola in uso nel XIX secolo, chiamata “cooping”.
Tuttavia, la versione che sembrerebbe più accreditata, esaminando i sintomi che Poe presentava nel momento del ritrovamento, senza avere peraltro una prova certa da un punto di vista medico-legale (poiché non fu mai eseguita un’autopsia e, in aggiunta, il certificato di ricovero in ospedale, insieme all’atto di morte, non sono mai stati ritrovati), potrebbe essere quella che sostiene l’ipotesi che Poe sia morto a causa di idrofobia, contratta dal morso di qualche animale di cui nemmeno lui poté accorgersi o prestò attenzione.

ULALÌ

Solo abitavo
in un mondo di lamento,
e la mia anima una marea stagnante,
finché la bella e dolce Ulalì si fece timida mia sposa,
finché la fulva e giovane Ulalì si fece ridente mia sposa.

Ah, men ― meno scintillanti
son le stelle della notte
degli occhi della radiante fanciulla!
giammai può contender ciò che può far la bruma
dalle tinte di porpora e di perla della luna,
col più trasandato boccolo dell’umile Ulalì ―
giammai può accostarsi al raggiante sguardo più svagato e modesto d’Ulalì.

Or Dubbio ― Or Pena
più non vengono,
perché l’anima sua mi rende sospiro per sospiro,
e per tutto il giorno
splende, forte e luminosa,
Astarte, in mezzo al cielo,
mentre sempre a lei volge gli occhi di matrona la cara Ulalì ―
mentre sempre a lei volge gli occhi di viola la giovane Ulalì.

EULALIE [1] 

I dwelt alone
in a world of moan,
and my soul was a stagnant tide,
till the fair and gentle Eulalie became my blushing bride ―
till the yellow-haired young Eulalie became my smiling bride.

Ah, less ― less bright
the stars of the night
than the eyes of the radiant girl!
that the vapor can make
with the moon-tints of purple and pearl,
can vie with the modest Eulalie’s most unregarded curl ―
can compare with the bright-eyed Eulalie’s most humble and careless curl.

Now Doubt ― now Pain
come never again,
for her soul gives me sigh for sigh,
and all day long
shines, bright and strong,
Astarte within the sky,
while ever to her dear Eulalie upturns her matron eye ―
while ever to her young Eulalie upturns her violet eye.

FANNY [2]

Il cigno morente dei laghi del nord
intona, chiaro e dolce, il suo inno selvaggio di morte,
e come la solenne melodia evade
per la collina e la valle e nell’aria si dissolve,
così giunse la tua morbida voce musicale,
così tremò sulla tua lingua il mio nome.

Come sprazzo di luce in una nuvola d’ebano
che invela l’austero cielo di mezzanotte,
trapassando la fredda sera nel suo nero sudario,
così giunse il primo sguardo di quell’occhio;
ma come roccia adamantina,
stette il mio spirito e affrontò il colpo.

Lascia che la memoria richiami il ragazzo
che depose il suo cuore sul tuo sacrario,
quando lontano risuonano i suoi passi
ricorda che proruppe al tuo fascino divino;
una vittima uccisa sull’altare dell’amore
da occhi ammalianti che scrutavano sdegnosamente.

FANNY 

The dying swan by northern lakes
sing’s its wild death song, sweet and clear,
and as the solemn music breaks
o’er hill and glen dissolves in air;
thus musical thy soft voice came,
thus trembled on thy tongue my name.

Like sunburst through the ebon cloud,
which veils the solemn midnight sky,
piercing cold evening’s sable shroud,
thus came the first glance of that eye;
but like the adamantine rock,
my spirit met and braved the shock.

Let memory the boy recall
who laid his heart upon thy shrine,
when far away his footsteps fall,
think that he deem’d thy charms divine;
a victim on love’s alter slain,
by witching eyes which looked disdain.

A F …

Adorata! Tra ferventi dolori
che s’accalcano intorno al mio passo terreno ―
(miserabile passo, ahimè! dove cresce
una deforme rosa solitaria) ―
la mia anima riceve per lo meno conforto
nel sogno di te, ed in esso conosce
un Eden di blando riposo.

E così la tua memoria viene a me
come una qualche remota isola incantata
in qualche mare tumultuoso ―
qualche oceano che mormora da lontano e libero
dalle burrasche ― ma dove, in quel frattempo,
i cieli più sereni, continuamente,
solo su quella isola luminosa, sorridono.

TO F …

Beloved! amid the earnest woes
that crowd around my earthly path ―
(drear path, alas! where grows
not even one lonely rose) ―
my soul at least a solace hath
in dreams of thee, and therein knows
an Eden of bland repose.

And thus thy memory is to me
like some enchanted far-off isle
in some tumultuous sea ―
some ocean throbbing far and free
with storms ― but where meanwhile
serenest skies continually
just o’er that one bright island smile.

UN SOGNO

In visioni di tenebrosa notte
ho sognato di gioie svanite, ma un sogno
ad occhi aperti di vita e di luce
mi lasciava col cuore spezzato.

Ah, cosa non è un sogno di giorno
per chi i suoi occhi ha posato
sulle cose intorno a lui con un lampo
che volge ancora al passato?

Quel sogno santo ― quel sogno santo,
mentre tutto il mondo stava strillando,
mi sostenne qual amorevole fascio,
amorevole spirito guida.

Sebbene quella luce, in notte e bufera,
tremolò tanto da lontano ―
che mai può esserci di più puramente splendente
nella diurna stella del Vero?

A DREAM

In visions of the dark night
I have dreamed of joy departed ―
but a waking dream of life and light
hath left me broken-hearted.

Ah! what is not a dream by day
to him whose eyes are cast
on things around him with a ray
turned back upon the past?

That holy dream ― that holy dream,
while all the world were chiding,
hath cheered me as a lovely beam
a lonely spirit guiding.

What though that light, thro’ storm and night,
so trembled from afar ―
what could there be more purely bright
in Truth’s day-star?

A M …

O, io non mi curo che la mia sorte terrena
ben poco abbia della terra in sé,
che anni d’amore siano stati bruciati
nel delirio d’un momento:

Non m’importa, mia adorata,
che i disperati siano di me più felici,
ma che tu debba immischiarti in questo mio destino
che mi porta ad andar via.

Né che le mie sorgenti d’estasi
stiano zampillando ― ahimè! di lacrime ―
o che il brivido d’un singolo bacio
abbia scosso i molti anni.

Né che fiori di venti primavere
si siano appassiti come il loro colore
che giace morituro sul mio cuore oppresso
dal peso d’una stagione colma di neve.

Né che l’erba ― O! che possa prosperar!
sulla mia fossa stia crescendo o sia già cresciuta ―
ma che, mentre stia morendo o sia ancor vivo,
non possa io che esser solo, mia signora.

TO M …

O! I care not that my earthly lot
hath little of Earth in it,
that years of love have been forgot
in the fever of a minute:

I heed not that the desolate
are happier, sweet, than I,
but that you meddle with my fate
who am a passer by.

It is not that my founts of bliss
are gushing ― strange! with tears ―
or that the thrill of a single kiss
hath palsied many years ―

‘Tis not that the flowers of twenty springs
which have wither’d as they rose
lie dead on my heart-strings
with the weight of an age of snows.

Not that the grass ― O! may it thrive!
on my grave is growing or grown ―
but that, while I am dead yet alive
I cannot be, lady, alone.

LA DORMIENTE [3]

A mezzanotte, nel mese di giugno,
mi trovo sotto la mistica luna.
Un vapor d’oppio, confuso, umidiccio,
esala dal suo anello dorato
e mollemente cala, goccia a goccia,
sulla cima quieta del monte;
assonnato e musicalmente
slitta lento verso la valle universale.
S’inclina sulla fossa il rosmarino;
fluttua il giglio sulla corrente;
la bruma avvolgendosi al suo petto
fa dissolvere il rudere nel silenzio.
Guarda, simile al Lete! Osserva! Il lago
abbandonarsi a un sonno cosciente
e per nulla vorrebbe svegliarsi.
Dormono tutte le Bellezze! ― Osserva
là dove giace Irene coi suoi Destini!

O, splendente fanciulla! Può esser
giusto questo bovindo aperto sulla notte?
Brezze viziose, dalle cime degli alberi,
scorrono ridenti attraverso la grata ―
brezze intangibili, in magica rotta,
vanno e vengono attraverso la tua stanza
ondulando le tende del baldacchino
così capricciose ― così spaventose ―
sulle palpebre chiuse e orlate, sotto le quali
dormiente la tua anima resta celata,
cosicché, dal pavimento e sulle pareti
come fantasmi s’issano e cadono le ombre!
O, fanciulla adorata, non provi sgomento?
Perché mai, e cosa mai stai sognando tu, qui?
Di certo sei venuta da lontani mari
a meravigliare questi alberi del giardino!
Strano il tuo vestito! Strano il tuo pallore!
E più strane le tue trecce così lunghe
e tutta questa grandiosa silenziosità!

Dorme la fanciulla! O, possa il suo sonno
esser come duraturo, tanto profondo!
Lo serbi il cielo nella sua santa fortezza!
Si tramuti questa stanza in altra più sacra,
questo letto in altro malinconico,
e prego Iddio che ella possa restare
con occhi serrati, finché non se ne andranno
i pallidi spettri ammantati.

Dorme la mia amata! O, possa il suo sogno
esser come lungo tanto profondo!
Possano lievi i vermi strisciar sopra di lei!
Lontano nella foresta, antica e oscura,
per lei possa spalancarsi una grande cripta ―
qualche cripta che sovente si richiuse
allungando i suoi neri e alati pannelli,
trionfante, sui drappi stemmati
nei funerali della sua grande famiglia ―
qualche sepolcro remoto e solitario,
contro il cui portale lei abbia lanciato
delle pietre, per gioco nell’infanzia ―
qualche tomba dalla cui porta risonante
ella mai più forzerà a levarsi un eco,
tremando al pensiero, povera figlia della colpa!
che là dentro erano i morti a gemere tanto.

THE SLEEPER

At midnight, in the month of June,
I stand beneath the mystic moon.
An opiate vapor, dewy, dim,
exhales from out her golden rim,
and softly dripping, drop by drop,
upon the quiet mountain top,
steals drowsily and musically
into the universal valley.
The rosemary nods upon the grave;
the lily lolls upon the wave;
wrapping the fog about its breast,
the ruin moulders into rest;
looking like Lethe, see! the lake
a conscious slumber seems to take,
and would not, for the world, awake.
All Beauty sleeps! ― and lo! where lies
Irene, with her Destinies!

Oh, lady bright! can it be right ―
this window open to the night?
The wanton airs, from the tree-top,
laughingly through the lattice drop ―
the bodiless airs, a wizard rout,
flit through thy chamber in and out,
and wave the curtain canopy
so fitfully ― so fearfully ―
above the closed and fringéd lid
neath which thy slumb’ring soul lies hid,
that, o’er the floor and down the wall,
like ghosts the shadows rise and fall!
Oh, lady dear, hast thou no fear?
Why and what art thou dreaming here?
Sure thou art come o’er far-off seas,
a wonder to these garden trees!
Strange is thy pallor! strange thy dress!
Strange, above all, thy length of tress,
and this all solemn silentness!

The lady sleeps! Oh, may her sleep,
which is enduring, so be deep!
Heaven have her in its sacred keep!
This chamber changed for one more holy,
this bed for one more melancholy,
I pray to God that she may lie
forever with unopened eye,
while the pale sheeted ghosts go by!

My love, she sleeps! Oh, may her sleep,
as it is lasting, so be deep!
Soft may the worms about her creep!
Far in the forest, dim and old,
for her may some tall vault unfold ―
some vault that oft hath flung its black
and wingéd panels fluttering back,
triumphant, o’er the crested palls
of her grand family funerals ―
some sepulchre, remote, alone,
against whose portals she hath thrown,
in childhood, many an idle stone ―
some tomb from out whose sounding door
she ne’er shall force an echo more,
thrilling to think, poor child of sin!
It was the dead who groaned within.

CANTO [4]

Ti vidi nel tuo giorno nuziale ―
quando una vampa di rossore veniva da te
sebbene intorno la felicità si stendeva
e il mondo tutto l’amore avanti a te:

e nel tuo occhio una luce fiammante
(o qual che fosse) era tutta sulla terra
così che il mio sguardo di dolore
poteva vederne la bellezza.

Quel rossore, forse, era pudor di fanciulla ―
così come ben si comprende ―
benché i suoi bagliori avessero alzato più
ardita fiamma nel petto di colui, ahimè!

che ti vide nel tuo giorno nuziale
quando quel profondo rossore veniva da te
sebbene intorno la felicità si stendeva
e il mondo tutto l’amore avanti a te.

SONG

I saw thee on thy bridal day ―
when a burning blush came o’er thee,
though happiness around thee lay,
the world all love before thee:

and in thine eye a kindling light
(whatever it might be)
was all on Earth my aching sight
of Loveliness could see.

That blush, perhaps, was maiden shame ―
as such it well may pass ―
though its glow hath raised a fiercer flame
in the breast of him, alas!

who saw thee on that bridal day,
when that deep blush would come o’er thee,
though happiness around thee lay;
the world all love before thee.

A UNA IN PARADISO

Tu eri per me quel tutto, amore,
per il qual l’anima mia si struggeva,
un verde isolotto in mezzo al mare,
amore, un fontanile e un altare
tutto adorno di bei frutti e di fiori
e tutti miei erano quei fiori.

Ah, sogno troppo splendido per durare!
Ah, siderea speranza, che t’alzasti
solo per essere offuscata!
Là fuori una voce dal futuro grida,
“Avanti! Avanti!” ― ma è sul passato
(vortice oscuro!) che il mio spirito in bilico
giace, muto, immobile, inorridito.

Perché, ahimè! ahimè! per me
la luce della vita è passata!
Non più — non più — non più —
(questa lingua riserva il mare solenne
alle sabbie della riva)
fiorirà l’albero disseccato dal fulmine
o s’alzerà l’aquila ferita.

E tutti i miei giorni sono imbambolati
e tutti i miei sogni notturni
son dove il tuo occhio grigio volge
e dove il tuo passo scintilla —
in qualche eterea danza
su qualche etereo fiume.

TO ONE IN PARADISE

Thou wast all that to me, love,
for which my soul did pine:
a green isle in the sea, love,
a fountain and a shrine
all wreathed with fairy fruits and flowers,
and all the flowers were mine.

Ah, dream too bright to last!
Ah, starry Hope, that didst arise
but to be overcast!
A voice from out the Future cries,
“On! on!” — but o’er the Past
(dim gulf!) my spirit hovering lies
mute, motionless, aghast.

For, alas! alas! with me
the light of Life is o’er!
No more — no more — no more —
(such language holds the solemn sea
to the sands upon the shore)
shall bloom the thunder-blasted tree,
or the stricken eagle soar.

And all my days are trances,
and all my nightly dreams
are where thy gray eye glances,
and where thy footstep gleams —
in what ethereal dances,
by what eternal streams.

SONETTO – ALLA SCIENZA

Scienza! Vera figlia dell’antico tempo!
che muti ogni cosa coi tuoi occhi penetranti!
Perché predi così sul cuore del poeta,
vulture, le cui ali son ottuse realtà?

Come potrebbe egli amarti? o crederti giusta,
se non volesti che libero vagasse
in cerca di tesori per cieli ingioiellati,
benché con ali intrepide s’involò?

Non hai spinto Diana dal suo carro,
e cacciato via l’Amadriade dal bosco
che in una più felice stella ha trovato riparo?

Non hai strappato la Naiade alle sue correnti,
l’elfo al verde prato, e da me il sogno
dell’estate sotto l’albero di tamarindo?

SONNET – TO SCIENCE

Science! true daughter of Old Time thou art!
who alterest all things with thy peering eyes.
Why preyest thou thus upon the poet’s heart,
vulture, whose wings are dull realities?

How should he love thee? or how deem thee wise,
who wouldst not leave him in his wandering
to seek for treasure in the jewelled skies,
albeit he soared with an undaunted wing?

Hast thou not dragged Diana from her car?
and driven the Hamadryad from the wood
to seek a shelter in some happier star?

Hast thou not torn the Naiad from her flood,
the Elfin from the green grass, and from me
the summer dream beneath the tamarind tree?


A FS – S. O – D

Vorresti esser amata? ― allora fa’ che il tuo cuore
non abbandoni il sentiero d’oggi!
Essendo ogni cosa che ora tu sei,
non essere niente che non sei.

Così per il mondo i tuoi modi gentili,
la tua grazia, la tua più che bellezza,
saranno un tema di lode senza fine,
e l’amore ― un semplice dovere

TO FS – S. O – D [5]

Thou wouldst be loved? ― then let thy heart
from its present pathway part not!
Being everything which now thou art,
be nothing which thou art not.

So with the world thy gentle ways,
thy grace, thy more than beauty,
shall be an endless theme of praise,
and love ― a simple duty.

[1] La traduzione letterale del titolo della poesia è: “Eulalia”; componimento che Poe dedicò alla prima moglie-fanciulla, Virginia. Eulalia significa: “colei che parla dolcemente”. “Ulalì” è una libera trasposizione del traduttore.

[2] Poesia pubblicata sul “Baltimore Saturday Visiter”, il 18 maggio del 1833.

[3] La poesia venne pubblicata per la prima volta nel 1831 con il titolo: “Irene”. Il 22 maggio del 1841, completamente riveduta, fu pubblicata sul “Saturday Chronicle” di Filadelfia con il titolo: “The sleeper”

[4] La poesia fu dedicata a Sarah Elmira Royster, fidanzata di Poe che dovette sposare, per volere della famiglia, il facoltoso Alexander Barrett Shelton, il 6 dicembre del 1828.

[5] La poesia fu dedicata da Poe alla poetessa Frances Sargent Locke Osgood (1811-1850).

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Buon compleanno, Arthur

20 mercoledì Ott 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche

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Tag

Arthur Rimbaud, Emilio Capaccio, poesia, traduzione

Credo di essere all’inferno, quindi ci sono

A.R.

Arthur Rimbaud (1854-1891), traduzioni di Emilio Capaccio

Rimbaud

MIO BOHÉMIEN

Me ne andavo coi pugni nei taschini sfondati.
Il mio cappotto diventava ideale.
Andavo a cielo nudo, Musa! a te leale.
Oh! Là! Là! che amori splendidi sognati!

Le mie mutande avevano un largo foro.
Pollicino sognante, rimavo al furore
Della corsa. La mia locanda l’Orsa Maggiore,
Le mie stelle in cielo un dolce coro.

Le ascoltavo seduto sul ciglio delle vie,
Sere buone di settembre, sentivo un goccìo
Di rugiada sulla fronte, corposo liquore;

Facendo rime in ombre lunghe lunghe,
Come lire, trascinavo le stringhe
Delle scarpe ferite, un piede vicino al mio cuore.
 
MA BOHÈME

Je m’en allais les poings dans mes poches crevées.
Mon paletot aussi devenait idéal.
J’allais sous le ciel, Muse! et j’étais ton féal.
Oh! Là! Là! que d’amours splendides j’ai rêvées!

Mon unique culotte avait un large trou.
Petit Poucet rêveur, j’égrenais dans ma course
Des rimes. Mon auberge était à la Grande Ourse,
Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou.

Et je les écoutais, assis au bord des routes
Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes
De rosée à mon front, comme un vin de vigueur;

Où, rimant au milieu des ombres fantastiques,
Comme des lyres, je tirais les élastiques
De mes souliers blessés, un pied près de mon coeur!
 
SOGNATO PER L’INVERNO

D’inverno andremo in un piccolo vagone rosa
Con cuscini azzurri.
Staremo bene. Un nido di baci dissennati riposa
Negli angoli molli.

Chiuderai gli occhi per non veder dal finestrino
Smorfiare le ombre delle sere,
Queste mostruosità astiose popolate
Da demoni neri e lupi neri.

Poi ti sentirai la guancia scalfita …
Un piccolo bacio come un ragno folle
Ti correrà per il collo …

E tu mi dirai: “Cerca!”, inclinando la testa
E prenderemo tempo per trovar quell’animaletto
Che fugge tanto …
 
RÊVÉ POUR L’HIVER

L’hiver, nous irons dans un petit wagon rose
Avec des coussins bleus.
Nous serons bien. Un nid de baisers fous repose
Dans chaque coin moelleux.

Tu fermeras l’oeil, pour ne point voir, par la glace,
Grimacer les ombres des soirs,
Ces monstruosités hargneuses, populace
De démons noirs et de loups noirs.

Puis tu te sentiras la joue égratignée …
Un petit baiser, comme une folle araignée,
Te courra par le cou …

Et tu me diras: “Cherche!” en inclinant la tête,
Et nous prendrons du temps à trouver cette bête
Qui voyage beaucoup …
 
ORAZIONE DELLA SERA

Vivo seduto, come un angelo tra le mani d’un barbiere
Impugnando un boccale a forti scanalature,
L’epigastrio e il collo inarcato, una Gambier ai denti,
Sotto l’aria gonfia d’impalpabili velature.

Come gli escrementi caldi d’una vecchia piccionaia,
Mille sogni in me fanno dolci bruciature:
Poi a istanti, il mio cuore triste è come un alburno
Che insanguina l’oro giovane e scuro delle colature.

E quando ho ringoiato i miei sogni con cura,
Mi giro, avendo bevuto trenta o quaranta boccali,
E mi raccolgo per lasciare l’acre bisogno:

Dolce come il Signore del cedro e degli issopi
Piscio verso cieli bruni, molto alti e molto lontani,
Con il permesso dei grandi eliotropi.
 
ORAISON DU SOIR

Je vis assis, tel qu’un ange aux mains d’un barbier,
Empoignant une chope à fortes cannelures,
L’hypogastre et le col cambrés, une Gambier
Aux dents, sous l’air gonflé d’impalpables voilures.

Tels que les excréments chauds d’un vieux colombier,
Mille Rêves en moi font de douces brûlures:
Puis par instants mon coeur triste est comme un aubier
Qu’ensanglante l’or jeune et sombre des coulures.

Puis, quand j’ai ravalé mes rêves avec soin,
Je me tourne, ayant bu trente ou quarante chopes,
Et me recueille, pour lâcher l’âcre besoin:

Doux comme le Seigneur du cèdre et des hysopes,
Je pisse vers les cieux bruns, très haut et très loin,
Avec l’assentiment des grands héliotropes.

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Emilio Capaccio traduce Lya Luft

02 sabato Ott 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche

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Emilio Capaccio, Lya Luft, poesia contemporanea, traduzione

C’è gente che invece di distruggere, costruisce;
invece di invidiare, regala;
invece d’avvelenare, abbellisce;
invece di strappare, riunisce a aggrega.

L. L.

 

Lya Luft (1938-vivente), traduzioni di Emilio Capaccio

CANZONE NELLA PIENEZZA

Non ho più occhi di bambina
né corpo d’adolescente, e la pelle
traslucida da tempo s’è macchiata.
Ci sono rughe dove avevo seta, sono una struttura
allargata dagli anni e dal peso dei fardelli
buoni o cattivi.
(Ne ho caricati molti con piacere e altri per ribellione.)
Quello che posso darti è più di tutto
quello che ho perduto; ti do le mie vittorie.
La maturità che riesce a ridere
quando in altri tempi avrebbe pianto,
provare a volerti bene
quando in passato avrei voluto
solamente essere amata.
Posso darti molto di più adesso
di bellezza e gioventù: questi dorati anni
mi hanno insegnato ad amare meglio, con più pazienza
e con non meno ardore, a capirti,
se ti serve, ad aspettarti, quando vai via,
a darti ventre d’amante e affetto di compagna,
e soprattutto forza — che viene dall’apprendistato.
Questo posso darti: un mare antico e fidato
le cui maree — anche se fuggono — ritornano,
le cui correnti nascoste non portano distruzioni
ma l’interminabile sogno delle sirene.

CANÇÃO NA PLENITUDE

Não tenho mais os olhos de menina
nem corpo adolescente, e a pele
translúcida há muito se manchou.
Há rugas onde havia sedas, sou uma estrutura
agrandada pelos anos e o peso dos fardos
bons ou ruins.
(Carreguei muitos com gosto e alguns com rebeldia.)
O que te posso dar é mais que tudo
o que perdi: dou-te os meus ganhos.
A maturidade que consegue rir
quando em outros tempos choraria,
busca te agradar
quando antigamente quereria
apenas ser amada.
Posso dar-te muito mais do que beleza
e juventude agora: esses dourados anos
me ensinaram a amar melhor, com mais paciência
e não menos ardor, a entender-te
se precisas, a aguardar-te quando vais,
a dar-te regaço de amante e colo de amiga,
e sobretudo força — que vem do aprendizado.
Isso posso te dar: um mar antigo e confiável
cujas marés — mesmo se fogem — retornam,
cujas correntes ocultas não levam destroços
mas o sonho interminável das sereias.

QUESTI SONO I MIEI OGGETTI

Questi sono i miei oggetti:
hanno una patina che non è del tempo,
è il mio dolore
che li sfiora con la sua mano afflitta.
Questo è il mio viso:
occhi che, dal cercar troppo, scrutano
solamente didentro. E se tutto sfocia nella morte
allora questo è il mio destino. È là che sto andando,
speranza e protesta,
reggendo il candeliere degli amori
che mi illuminarono nella vita.

(Resisteranno, uno per uno,
al mio ultimo respiro?)

ESTES SÃO OS MEUS OBJETOS

Estes são os meus objetos:
têm uma pátina que não é do tempo,
é minha dor
roçando neles sua mão aflita.
Este é o meu rosto:
uns olhos que, de procurar demais, olham
só para dentro. E se tudo desemboca na morte
esse é o meu destino. É para lá que vou,
esperança e protesto,
segurando o candelabro dos amores
que me iluminaram na vida.

(Resistirão, singularmente,
ao meu último sopro?)

CONVITO

Non sono la sabbia
su cui si disegnano un paio d’ali
o grate davanti a una finestra.
Non sono solo la pietra che rotola
nelle maree del mondo,
rinascendo un’altra sopra ogni spiaggia.
Sono l’orecchio poggiato alla conchiglia
della vita, sono costruzione e disfacimento,
servo e padrone, e sono
mistero.

A quattro mani scriviamo questo copione
per il palcoscenico del mio tempo:
il mio destino ed io.
Non sempre siamo in sintonia,
non sempre ci prendiamo
sul serio.

CONVITE

Não sou a areia
onde se desenha um par de asas
ou grades diante de uma janela.
Não sou apenas a pedra que rola
nas marés do mundo,
em cada praia renascendo outra.
Sou a orelha encostada na concha
da vida, sou construção e desmoronamento,
servo e senhor, e sou
mistério.

A quatro mãos escrevemos este roteiro
para o palco de meu tempo:
o meu destino e eu.
Nem sempre estamos afinados,
nem sempre nos levamos
a sério.

TUTTI QUESTI ANGELI

Tutti questi
Angeli che la notte
agitano le tende e sussurrano frasi
che temi di capire:
se t’accolgono tra le braccia
se ti baciano sulla bocca,
se entrano nel tuo corpo,
non ti daranno la certezza che vivere, morire,
siano ugualmente soavi e difficili
folli e sensati, e più ancora urgenti?

Potrai alla fine amare, arrendendoti a quello
che ti sfiora con le sue ali,
ti chiama con le sue voci,
ti sferza costantemente con questa luce,
questo dolore.

TODOS ESSES ANJOS

Todos esses
Anjos que à noite
agitam cortinas e sussurram frases
que temes entender:
se te tomarem nos braços
se te beijarem na boca,
se te entrarem no corpo,
não te darão certeza de que morrer, viver,
são igualmente suaves e difíceis
loucos e sensatos , e urgentíssimos?

Poderás enfim amar, rendendo-te aquilo
que te aflora com suas asas,
te chama com suas vozes,
te vara constantemente com essa luz,
essa dor.

LA SPERANZA MI CHIAMA

La speranza mi chiama,
e io salgo a bordo
come se fosse il primo viaggio.
Se non conosco le mappe,
scelgo l’imprevisto:
qualunque segno è un buon auspicio.

Sia come sia, io vado,
Perché quasi sempre ci credo:
cammino con gli occhi chiusi
come un bimbo che gioca alla cieca.
Più d’una volta ne sono uscita ferita, o quasi affogata,
Ma non mi arrendo.

Il dolore accidentale è il prezzo della vita:
biglietto, assicurazione e pedaggio.
A ESPERANÇA ME CHAMA

A Esperança me chama,
e eu salto a bordo
como se fosse a primeira viagem.
Se não conheço os mapas,
escolho o imprevisto:
qualquer sinal é um bom presságio.

Seja como for, eu vou,
pois quase sempre acredito:
ando de olhos fechados
feito criança brincando de cega.
Mais de uma vez saio ferida, ou quase afogada,
mas não desisto.

A dor eventual é o preço da vida:
passagem, seguro e pedágio.

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Emilio Capaccio traduce Gioconda Belli

29 sabato Mag 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Emilio Capaccio, Gioconda Belli, poesia, traduzione

Credo che il solo fatto di esistere
implichi una responsabilità verso il futuro,
verso ciò che esisterà dopo di noi.

G. B.


Gioconda Belli (1948-vivente), traduzioni di Emilio Capaccio

MAGGIO

Non appassiscono i baci
come i malinches*
né mi crescono baccelli nelle braccia;
fiorisco sempre
con questa pioggia interiore,
come i verdi patii di maggio
perché amo il fiume, il vento e le nuvole
e il passo degli uccelli canterini,
malgrado sia irretita nei ricordi,
coperta d’edera come le vecchie pareti,
continuo a credere ai sussurri trattenuti,
alla forza dei cavalli selvaggi,
al messaggio alato dei gabbiani.
Credo alle radici innumerevoli del mio canto.

MAYO

No se marchitan los besos
como los malinches,
ni me crecen vainas en los brazos;
siempre florezco
con esta lluvia interna,
como los patios verdes de mayo
y río porque amo el viento y las nubes
y el paso del los pájaros cantores,
aunque ande enredada en recuerdos,
cubierta de hiedra como las viejas paredes,
sigo creyendo en los susurros guardados,
la fuerza de los caballos salvajes,
el alado mensaje de las gaviotas.
Creo en las raíces innumerables de mi canto.

  • malinches sono arbusti di fiori rossi, simili ad orchidee che fioriscono in maggio, originari del Sudamerica.

ABBANDONATI

Tocchiamo la notte con le mani
sgocciolandone l’oscurità tra le dita,
maneggiandola come il vello di una pecora nera.

Ci siamo abbandonati al disamore,
alla svogliatezza di vivere collettando ore nel vuoto,
nei giorni che si lasciano passare e tornano a ripetersi
intrascendenti
senza orme, né sole, né raggianti esplosioni di chiarore.

Ci siamo abbandonati dolorosamente alla solitudine
sentendo il bisogno dell’amore sotto le unghia,
il vuoto di un’obliteratrice nel petto,
il ricordo e il rumore come in una conchiglia
che ha vissuto troppo tempo in un acquario di città
e si porta solo l’eco del mare nel labirinto del suo guscio.

Come tornare a riprendere il tempo?

Interporgli il corpo forte del desiderio e dell’angoscia,
farlo retrocedere intimidito
per nostra infrangibile decisione?

Chissà se potremmo riprendere il momento
che perdemmo.

Nessuno può predire il passato
quando forse non siamo più gli stessi,
quando forse abbiamo dimenticato
il nome della strada
dove
qualche volta
potremmo
incontrarci.

ABANDONADOS

Tocamos la noche con las manos
Escurriéndonos la oscuridad entre los dedos,
Sobándola como la piel de una oveja negra.

Nos hemos abandonado al desamor,
Al desgano de vivir colectando horas en el vacío,
En los días que se dejan pasar y se vuelven a repetir,
Intrascendentes,
Sin huellas, ni sol, ni explosiones radiantes de claridad.

Nos hemos abandonado dolorosamente a la soledad,
Sintiendo la necesidad del amor por debajo de las uñas,
El hueco de un sacabocados en el pecho,
El recuerdo y el ruido como dentro de un caracol
Que ha vivido ya demasiado en una pecera de ciudad
Y apenas si lleva el eco del mar en su laberinto de concha.

¿Cómo volver a recapturar el tiempo?

¿Interponerle el cuerpo fuerte del deseo y la angustia,
Hacerlo retroceder acobardado
Por nuestra inquebrantable decisión?

Pero… quién sabe si podremos recapturar el momento
Que perdimos.

Nadie puede predecir el pasado
Cuando ya quizás no somos los mismos,
Cuando ya quizás hemos olvidado
El nombre de la calle
Donde
Alguna vez
Pudimos
Encontrarnos.

SFIDA ALLA VECCHIAIA

Quando arriverò a esser vecchia
– se ci arriverò –
e mi guarderò nello specchio
e conterò le rughe
come delicata ortografia
di pelle distesa,
quando potrò contare i segni
che hanno lasciato lacrime
e preoccupazioni,
e il mio corpo risponderà
già lentamente ai miei desideri,
quando vedrò la mia vita
ravvolta in vene azzurre,
in profonde occhiaie,
e scioglierò i miei capelli bianchi
per andare a dormire presto
– come si conviene –
quando verranno i miei nipoti
a sedersi sulle mie ginocchia ammuffite
per il passo di molti inverni,
saprò tuttavia che il mio cuore
ticchetterà – ribelle –
e i dubbi e i larghi orizzonti
saluteranno ancora
le mie mattine.

DESAFIO A LA VEJEZ

Cuando yo llegue a vieja
– si es que llego –
y me mire al espejo
y me cuente las arrugas
como una delicada orografía
de distendida piel.
Cuando pueda contar las marcas
que han dejado las lágrimas
y las preocupaciones,
y ya mi cuerpo responda despacio
a mis deseos,
cuando vea mi vida envuelta
en venas azules,
en profundas ojeras,
y suelte blanca mi cabellera
para dormirme temprano
– como corresponde –
cuando vengan mis nietos
a sentarse sobre mis rodillas
enmohecidas por el paso de muchos inviernos,
sé que todavía mi corazón
estará – rebelde – tictaqueando
y las dudas y los anchos horizontes
también saludarán
mis mañanas.

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“Lavoro” una poesia di Henry Van Dyke

01 sabato Mag 2021

Posted by emiliocapaccio in Eventi e segnalazioni, Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Emilio Capaccio, Henry Van Dyke, poesia, traduzione

Henry Van Dyke (1852-1933)

LAVORO

Traduzione di Emilio Capaccio

Lasciatemi fare il mio lavoro giorno dopo giorno,
Nel campo o nella foresta, allo scrittoio o al telaio,
Nella chiassosa piazza o nella stanza tranquilla;
Lasciatemi scorgerlo nel mio cuore e dire,
Quando vaganti piaceri m’invitano dal devio sentiero:
«È il mio lavoro; la mia benedizione, non la mia condanna;
Di tutto ciò che vive, io sono colui dal quale
Questo lavoro può esser fatto nel modo migliore».

Non lo vedrò né troppo grande, né insignificante,
Per giovare al mio spirito e saggiare le mie capacità;
Accoglierò felice le ore del lavoro,
E felice tornerò a casa, quando lunghe ombre cadono
La sera, per divagarmi, amare e riposare,
Perché so che il mio lavoro è il più giusto per me.

*

WORK

Let me but do my work from day to day,
In field or forest, at the desk or loom,
In roaring market-place or tranquil room;
Let me but find it in my heart to say,
When vagrant wishes beckon me astray,
“This is my work; my blessing, not my doom;
“Of all who live, I am the one by whom
“This work can best be done in the right way.”

Then shall I see it not too great, nor small,
To suit my spirit and to prove my powers;
Then shall I cheerful greet the labouring hours,
And cheerful turn, when the long shadows fall
At eventide, to play and love and rest,
Because I know for me my work is best.

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Emilio Capaccio traduce Robert Frost

21 domenica Mar 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Emilio Capaccio, Georg Heym, poesia, traduzione

La poesia è quando un’emozione ha trovato il suo pensiero

e il pensiero ha trovato le parole.

R. F.


Robert Frost, traduzioni di Emilio Capaccio

LA STRADA NON PRESA


Due strade divergevano in un bosco giallo
Pena non poterle percorrere entrambe
Essendo io un solo viaggiatore, a lungo esitai
Scrutandone una più lontano che potevo,
Fin dove si piegava tra i cespugli;

Poi presi l’altra, buona allo stesso modo
Ma aveva forse la pretesa migliore
Perché era erbosa e meno cercata
Anche se come per l’altra, il passaggio
L’avesse ugualmente segnata.

E tutte e due quella mattina erano coperte
Di foglie che nessun passo aveva annerito.
O, prenderò la prima un’altra volta!
Ma sapendo già che le strade vanno ad altre strade,
Dubitavo che sarei mai tornato indietro.

Dirò questo con un sospiro
In qualche luogo fra anni e anni a venire:
Due strade divergevano in un bosco, ed io —
Io presi quella meno battuta
E questo ha fatto tutta la differenza.
 
THE RAOD NOT TAKEN 

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that, the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
 
FUOCO E GHIACCIO

C’è chi dice che il mondo finirà nel fuoco.
C’è chi dice nel ghiaccio.
Per quello che ho assaporato del desiderio
Propendo per chi va in favore del fuoco.
Ma se conosco abbastanza l’odio
Dico che la devastazione del ghiaccio
Sarebbe tanto grande
E potrebbe bastare.
 
FIRE AND ICE

Some say the world will end in fire.
Some say in ice.
From what I’ve tasted of desire
I hold with those who favor fire.
But if I know enough of hate
To say that for destruction ice
Is also great
And would suffice.
 
FERMANDOSI AI BOSCHI IN UNA SERA DI NEVE

Di chi siano questi boschi penso di sapere.
Ma la sua casa è nel villaggio;
Non mi vedrà fermare qui
A guardare il suo bosco riempirsi di neve.

Il mio puledro penserà che sia strano
Fermarsi senza una fattoria nei paraggi
Tra i boschi e il lago ghiacciato
Nella più buia sera dell’anno.

Dà una scrollata al suo campanello
A domandare se c’è un errore.
L’unico altro suono è la spazzata
Gentile del vento e il fiocco lanuginoso.

I boschi sono amorevoli, profondi e oscuri,
Ma io ho una promessa da mantenere,
E miglia da fare prima d’addormentarmi
E miglia da fare prima d’addormentarmi
.
 
STOPPING BY WOODS ON A SNOWY EVENING

Whose woods these are I think I know.
His house is in the village, though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.

My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.

He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.

The woods are lovely, dark and deep,
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.
 
LA LIBERTA’ DELLA LUNA

Ho saggiato la luna nuova curva nell’aria
Su un albero nebbioso e grappolo di fattoria
Come a provare un gioiello tra i capelli.
L’ho saggiata con la piccola ampiezza del lustro,
Sola o in combinazione d’ornamento
Con una stella di prim’acqua quasi brillante.

L’ho posta a splendere ovunque ho voluto.
Scorrendo lenta su una sera inoltrata
L’ho strappata da una grata d’alberi torti,
L’ho portata a un’acqua lucente, più grande,
E calandola dentro ho visto guazzare la forma,
Correre il colore, ogni genere di meraviglia.
 
THE FREEDOM OF THE MOON

I’ve tried the new moon tilted in the air
Above a hazy tree-and-farmhouse cluster
As you might try a jewel in your hair.
I’ve tried it fine with little breadth of luster,
Alone, or in one ornament combining
With one first-water star almost as shining.

I put it shining anywhere I please.
By walking slowly on some evening later
I’ve pulled it from a crate of crooked trees,
And brought it over glossy water, greater,
And dropped it in, and seen the image wallow,
The color run, all sorts of wonder follow.
 
UN PICCOLO UCCELLO

Ho sperato che un uccello volasse via,
E non cantasse davanti casa mia;

Gli ho battuto sulla porta le mani
Quando non ho retto i suoi baccani.

In parte mio il torto è stato.
L’uccello non era di timbro stonato.

C’è qualcosa di sbagliato con convinzione
Nel voler far tacere una canzone.
 
A MINOR BIRD

I have wished a bird would fly away,
And not sing by my house all day;

Have clapped my hands at him from the door
When it seemed as if I could bear no more.

The fault must partly have been in me.
The bird was not to blame for his key.

And of course there must be something wrong
In wanting to silence any song.

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Emilio Capaccio traduce Georg Heym

14 domenica Mar 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Emilio Capaccio, Georg Heym, poesia, traduzione

Il sole pende enorme all’orizzonte
fiamme saetta l’arco della sera.
E il sogno della luce, alto, su tutto.

G. H.

,

traduzioni di Emilio Capaccio

 
LA QUIETE


La vecchia barca che nel porto tranquillo
il meriggio culla alla sua cima.
Gli amanti assopiti dopo il bacio.
Una pietra in fondo alla verde fontana.

Il riposo di Pizia, uguale al sonno
che a superni dèi cala dopo il banchetto.
Il pallido cero che sbianca il morto.
Criniere di nubi sopra una valle.

La pietra fattasi riso d’un tonto.
Coppi polverosi in cui resta ancora l’aroma.
Violini sfasciati nel ciarpame dei solai.
L’aria ferma prima della burrasca.

Una vela che luccica all’orizzonte.
L’essenza dei campi che attrae le api.
L’oro d’autunno, le foglie e il tronco adorni.
Il poeta che dello sciocco sente invidia.
 
DIE RUHIGEN


Ein altes Boot, das in dem stillen Hafen
am Nachmittag an seiner Kette wiegt.
Die Liebenden, die nach den Küssen schlafen.
Ein Stein, der tief im grünen Brunnen liegt.

Der Pythia Ruhen, das dem Schlummer gleicht
der hohen Götter nach dem langen Mahl.
Die weisse Kerze, die den Toten bleicht.
Der Wolken Löwenhäupter um ein Tal.

Das Stein gewordene Lächeln eines Blöden.
Verstaubte Krüge, drin noch wohnt der Duft.
Zerbrochne Geigen in dem Kram der Böden.
Vor dem Gewittersturm die träge Luft.

Ein Segel, das vom Horizonte glänzt.
Der Duft der Heiden, der die Bienen führt.
Des Herbstes Gold, das Laub und Stamm bekränzt.
Der Dichter, der des Toren Bosheit spürt.
 
DORMIVEGLIA


Frusciano le tenebre come un vestito,
gli alberi vacillano all’orizzonte.

Rifùgiati al cuor della notte,
scava dentro l’oscurità un nascondiglio
come l’ape nel favo. Fatti piccolo
nel tuo giaciglio.

Qualcosa vuol andare per i ponti,
scalpita sollevando gli zoccoli,
pallide, sussultano le stelle.

Come un’anziana si trascina la luna
da una parte all’altra
col dorso ricurvo.
 
HALBSCHLAF


Die Finsternis raschelt wie ein Gewand,
Die Bäume torkeln am Himmelsrand.

Rette dich in das Herz der Nacht,
Grabe dich schnell in das Dunkele ein,
Wie in Waben. Mache dich klein,
Steige aus deinem Bette.

Etwas will über die Brücken,
Er scharret mit Hufen krumm,
Die Sterne erschraken so weiß.

Und der Mond wie ein Greis
Watschelt oben herum
Mit dem höckrigen Rücken.
 
O, LE TUE LUNGHE CIGLIA


O, le tue lunghe ciglia,
l’acqua oscura dei tuoi occhi.
Lasciami dentro sprofondare,
discendere fin al fondo.

Come si cala il minatore alla profondità
e oscilla un lume molto tenue
sull’uscio della miniera,
per l’ombrosa parete,

così continuo a calarmi
per dimenticare sul tuo seno
ciò che in superficie riecheggia,
giorno, tormento, splendore.

Cresce fitto nei campi,
ove il vento dimora, con ebbrezza di messe,
l’alto spino delicato
Contro il cielo azzurro.

Dammi la tua mano,
e lascia che al crescer ci uniamo,
preda d’ogni vento,
volo d’uccelli solitari,

che d’estate ascoltiamo
l’organo sfiatato dei temporali,
che d’autunno ci bagniamo alla sua luce
sulla riva di chiare giornate.

Qualche volta andremo a sporgerci
sull’orlo d’un oscuro pozzo,
fisseremo il fondo silenzioso
e là cercheremo il nostro amore.

Oppure usciremo dall’ombra
di boschi dorati
per entrare, grandi, in qualche crepuscolo
che sfiori soavemente la tua fronte.

Divina tristezza,
ala d’eterno amore,
soleva il tuo boccale
e bevi da questo sogno.

Una volta approderemo alla fine
ove il mare macchiato di giallo
mutamente invade la baia
di settembre,

riposeremo a quella dimora
di fiori appassti,
mentre tra le rocce
trema un vento cantando.

E dal bianco pioppo
che s’innalza contro il cielo
cadrà una foglia annerita
a riposar sulla tua nuca.
 
DEINE WIMPERN, DIE LANGEN


Deine Wimpern, die langen,
Deiner Augen dunkele Wasser,
Laß mich tauchen darein,
Laß mich zur Tiefe gehn.

Steigt der Bergmann zum Schacht
Und schwankt seine trübe Lampe
Über der Erze Tor,
Hoch an der Schattenwand,

Sieh, ich steige hinab,
In deinem Schoß zu vergessen,
Fern, was von oben dröhnt,
Helle und Qual und Tag.

An den Feldern verwächst,
Wo der Wind steht, trunken vom Korn,
Hoher Dorn, hoch und krank
Gegen das Himmelsblau.

Gib mir die Hand,
Wir wollen einander verwachsen,
Einem Wind Beute,
Einsamer Vögel Flug.

Hören im Sommer
Die Orgel der matten Gewitter,
Baden in Herbsteslicht,
Am Ufer des blauen Tags.

Manchmal wollen wir stehn
Am Rand des dunkelen Brunnens,
Tief in die Stille zu sehn,
Unsere Liebe zu suchen.

Oder wir treten hinaus
Vom Schatten der goldenen Wälder,
Groß in ein Abendrot,
Das dir berührt sanft die Stirn.

Göttliche Trauer,
Schwinge der ewigen Liebe.
Hebe den Krug herauf,
Trinke den Schlaf.

Einmal am Ende zu stehen,
Wo Meer in gelblichen Flecken
Leise schwimmt schon herein
Zu der September Bucht.

Oben zu ruhn
Im Hause der dürftigen Blumen,
Über die Felsen hinab
Singt und zittert der Wind.

Doch von der Pappel,
Die ragt im Ewigen Blauen,
Fällt schon ein braunes Blatt,
Ruht auf dem Nacken dir aus.

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Emilio Capaccio traduce Alfred Tennyson

30 sabato Gen 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Alfred Tennyson, Emilio Capaccio, poesia, traduzione

Spingetevi al largo, sedendo un dietro l’altro, colpite
i sonori solchi; perché il mio scopo consiste
nel navigar oltre il tramonto.

A. T.

Stammi vicino quando la mia luce è fioca,
Quando il sangue scorre lento, e pungono
E formicolano i nervi; e il cuore è rivoltato,
E tutte le ruote dell’Essere sono lente.

Stammi vicino quando l’umore dei sensi
È soffocato da angosce che conquidono la fiducia,
E il tempo, un maniaco che sparpaglia la polvere,
E la vita, una furia che catapulta le fiamme.

Stammi vicino quando la fede è prosciugata
E gli uomini, mosche di una tarda primavera,
Che depongono le loro uova, e pungono e cantano
E si strofinano le loro piccole celle e muoiono.

Stammi vicino quando mi starò spegnendo
Per marcare il termine della sofferenza umana,
E sul limite basso e oscuro dell’esistenza
Il senso arcano di un giorno che sarà eterno.
 
BE NEAR ME WHEN MY LIGHT IS LOW

Be near me when my light is low,
When the blood creeps, and the nerves prick
And tingle; and the heart is sick,
And all the wheels of Being slow.

Be near me when the sensuous frame
Is rack’d with pangs that conquer trust;
And Time, a maniac scattering dust,
And Life, a Fury slinging flame.

Be near me when my faith is dry,
And men the flies of latter spring,
That lay their eggs, and sting and sing
And weave their petty cells and die.

Be near me when I fade away,
To point the term of human strife,
And on the low dark verge of life
The twilight of eternal day.
 
CADE LO SPLENDORE

Cade lo splendore sulle mura del castello
E su vette innevate vecchie di storia;
Trema la luce, lunga lunga, sopra i laghi
E la selvaggia cateratta balza nella gloria.
Soffia corno soffia, fa’ volare echi selvaggi,
Soffia corno; rispondete echi, morenti, morenti, morenti.

O, origlia, O, ascolta! come sottili e chiari
E più sottili e più chiari e più lontano stanno andando!
O, dolci e remoti, da rupi e strapiombi
I corni della terra degli Elfi stanno suonando!
Soffia, lasciaci sentire la risposta delle valli di porpora,
Soffia corno; rispondete echi, morenti, morenti, morenti.

O amore, essi muoiono lassù in floridi cieli,
Tramortiscono su collina o campo o fiume;
I nostri echi rotolano da anima ad anima,
E crescono sempre, per sempre.
Soffia corno soffia, fa’ volare echi selvaggi,
Soffia corno; rispondete echi, morenti, morenti, morenti.
 
THE SPLENDOR FALLS

The splendor falls on castle walls
And snowy summits old in story;
The long light shakes across the lakes,
And the wild cataract leaps in glory.
Blow, bugle, blow, set the wild echoes flying,
Blow, bugle; answer, echoes, dying, dying, dying.

O, hark, O, hear! how thin and clear,
And thinner, clearer, farther going!
O, sweet and far from cliff and scar
The horns of Elfland faintly blowing!
Blow, let us hear the purple glens replying,
Blow, bugles; answer, echoes, dying, dying, dying.

O love, they die in yon rich sky,
They faint on hill or field or river;
Our echoes roll from soul to soul,
And grow forever and forever.
Blow, bugle, blow, set the wild echoes flying,
And answer, echoes, answer, dying, dying, dying.
 
LACRIME INUTILI LACRIME

Lacrime, inutili lacrime, non so cosa vogliano dire,
Lacrime dal fondo d’una divina disperazione
Vengono al cuore e s’adunano negli occhi,
Nel guardare gli allegri campi autunnali
E pensando ai giorni che non ci sono più.

Radiosi come la prima luce che riverbera su una vela
E che riporta dagli inferi i nostri compagni,
Tristi come l’ultima luce che s’arrossa su chi
È calato con tutto ciò che amiamo oltre il bordo;
Così tristi, così radiosi, i giorni che non ci sono più.

Tristi ed estranei come in albe d’una oscura estate
Il primo cinguettio d’uccelli mezzo risvegliati
Per orecchi morenti, come per occhi morenti
Il varco che pian piano s’allarga in un fievole quadrato;
Così tristi, così radiosi, i giorni che non ci sono più.

Cari come i baci che si ricordano dopo la morte
E dolci come quelli che invano abbiamo sognato
Su labbra che sono per altri; profondi come l’amore,
Profondi come il primo amore e folli d’ogni rimpianto;
O Morte in Vita, i giorni che non ci sono più.
 
TEARS IDLE TEARS

Tears, idle tears, I know not what they mean,
Tears from the depth of some divine despair
Rise in the heart, and gather in the eyes,
In looking on the happy autumn-fields,
And thinking of the days that are no more.

Fresh as the first beam glittering on a sail,
That brings our friends up from the underworld,
Sad as the last which reddens over one
That sinks with all we love below the verge;
So sad, so fresh, the days that are no more.

Ah, sad and strange as in dark summer dawns
The earliest pipe of half-awakened birds
To dying ears, when unto dying eyes
The casement slowly grows a glimmering square;
So sad, so strange, the days that are no more.

Dear as remembered kisses after death,
And sweet as those by hopeless fancy feigned
On lips that are for others; deep as love,
Deep as first love, and wild with all regret;
O Death in Life, the days that are no more!

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Emilio Capaccio traduce Walt Whitman

15 domenica Nov 2020

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Emilio Capaccio, poesia, traduzione, Walt Whitman

Il mare è per me un miracolo senza fine.
Pesci che nuotano, scogliere, il moto delle onde,
navi che portano uomini …
Quali più strani miracoli di questi?

W. W.

Walt Whitman, traduzioni di Emilio Capaccio

 
IO CREDO CHE UNA FOGLIA D’ERBA


Io credo che una foglia d’erba non sia meno del quotidiano lavorio delle stelle,
E una formica è egualmente perfetta, e un granello di sabbia, e l’uovo dello scriccio,
E la raganella è uno dei capolavori più grandi,
E il rovo che si arrampica potrebbe adornare le camere del cielo,
E il ganghero più piccolo nella mia mano potrebbe irridere tutti gli ingranaggi,
E la mucca che sminuzza con il capo calato sovrasta qualsiasi statua,
E un topo è un miracolo sufficiente a far vacillare sestilioni di miscredenti,
E io potrei venire ogni pomeriggio della mia vita a osservare la figlia dell’agricoltore
Che bolle il tè nel suo bollitore di ferro e inforna il tortino.

Io trovo e incorporo gneiss, carbone, filati estesi di muschi, frutti, grani, esculenti radici,
E sono completamente stuccato di quadrupedi e uccelli,
E ho lasciato ciò che è alle mie spalle per buone ragioni,
E richiamo ogni cosa e di nuovo la richiudo, quando ne ho voglia.

Invano affrettarsi o adombrarsi;
Invano le plutoniche rocce emanano il loro vecchio calore contro il mio approccio;
Invano il mastodonte si ritira sotto le sue ossa polverizzate;
Invano gli oggetti si stagliano in leghe lontane, e assumono molteplici forme;
Invano l’oceano si deposita nelle cavità, e i grandi mostri vi abitano il fondo;
Invano la poiana si dà alloggio nel cielo;
Invano il serpente scivola tra i ceppi e i rampicanti;
Invano l’alce s’addentra in segreti passaggi del bosco;
Invano l’alca dal becco a rasoio veleggia verso nord fino al Labrador;
Io la seguo velocemente, ascendo al nido nella fessura della scogliera.
 
I BELIEVE A LEAF OF GRASS


I believe a leaf of grass is no less than the journey-work of the stars,
And the pismire is equally perfect, and a grain of sand, and the egg of the wren,
And the tree-toad is a chef-d’oeuvre for the highest,
And the running blackberry would adorn the parlors of heaven,
And the narrowest hinge in my hand puts to scorn all machinery,
And the cow crunching with depress’d head surpasses any statue,
And a mouse is miracle enough to stagger sextillions of infidels,
And I could come every afternoon of my life to look at the farmer’s girl boiling her iron
tea-kettle and baking shortcake.

I find I incorporate gneiss, coal, long-threaded moss, fruits, grains, esculent roots,
And am stucco’d with quadrupeds and birds all over,
And have distanced what is behind me for good reasons,
And call anything close again, when I desire it.

In vain the speeding or shyness;
In vain the plutonic rocks send their old heat against my approach;
In vain the mastodon retreats beneath its own powder’d bones;
In vain objects stand leagues off, and assume manifold shapes;
In vain the ocean settling in hollows, and the great monsters lying low;
In vain the buzzard houses herself with the sky;
In vain the snake slides through the creepers and logs;
In vain the elk takes to the inner passes of the woods;
In vain the razor-bill’d auk sails far north to Labrador;
I follow quickly, I ascend to the nest in the fissure of the cliff.
 
NOI DUE QUANTO TEMPO FUMMO INGANNATI


Noi due, quanto tempo fummo ingannati,
Ora trasfigurati, fuggiamo in fretta come fugge la natura.
Siamo natura, a lungo siamo stati assenti, ma ora torniamo,
Diventiamo piante, tronchi, foglie, radici, corteccia,
Siamo accampati sulla terra, siamo rocce,
Siamo querce, cresciamo fianco a fianco negli spazi liberi,
Bruchiamo, siamo in mezzo alle mandrie selvagge, spontanei come chiunque,
Siamo due pesci che nuotano accanto nel mare,
Siamo quello che sono i fiori della robinia,
Stilliamo l’aroma sui canali la mattina e la sera,
Siamo anche la dozzinale traccia delle bestie, dei vegetali, dei minerali,
Siamo due falchi predatori, ci alziamo in volo e dall’alto scrutiamo la valle,
Siamo due soli splendenti, siamo noi che bilanciamo noi stessi,
sferici e stellari, siamo come due comete,
Ci aggiriamo zannuti e a quattro zampe nella boscaglia, scagliandoci sulla preda,
Siamo due nuvole che guidano alte, le mattine e i pomeriggi,
Siamo mari che si mescolano, allegre onde che rotolano l’una sull’altra,
che si sprizzano l’un l’altra,
Siamo quello che è l’aria, trasparente, ricettiva, pervia, impervia,
Siamo la neve, la pioggia, il freddo, l’oscurità,
Samo qualunque prodotto e influenza del globo,
Abbiamo girato e rigirato finché non siamo giunti di nuovo a casa, noi due,
Abbiamo gettato tutto tranne la libertà, tutto tranne la gioia.
 
WE TWO HOW LONG WE WERE FOOL’D


We two, how long we were fool’d,
Now transmuted, we swiftly escape as Nature escapes,
We are Nature, long have we been absent, but now we return,
We become plants, trunks, foliage, roots, bark,
We are bedded in the ground, we are rocks,
We are oaks, we grow in the openings side by side,
We browse, we are two among the wild herds spontaneous as any,
We are two fishes swimming in the sea together,
We are what locust blossoms are,
We drop scent around lanes mornings and evenings,
We are also the coarse smut of beasts, vegetables, minerals,
We are two predatory hawks, we soar above and look down,
We are two resplendent suns, we it is who balance ourselves
orbic and stellar, we are as two comets,
We prowl fang’d and four-footed in the woods, we spring on prey,
We are two clouds forenoons and afternoons driving overhead,
We are seas mingling, we are two of those cheerful waves rolling over each other
and interwetting each other,
We are what the atmosphere is, transparent, receptive, pervious, impervious,
We are snow, rain, cold, darkness,
We are each product and influence of the globe,
We have circled and circled till we have arrived home again, we two,
We have voided all but freedom and all but our own joy.
 
O ME! O VITA!


O Me! O Vita! di domande che si susseguono come queste,
D’infiniti treni di miscredenti, di città nutrite da dissennati,
Di me stesso che sempre disapprova se stesso (perché chi è più miscredente di me, chi più dissennato?)
Di occhi che inutilmente implorano la luce, di scopi abbietti, di lotte sempre ricominciate,
Dei miseri risultati d’ogni cosa, della sordida e arrancata folla che vedo attorno a me,
Dei vani e inservibili anni degli altri, io agli altri intrecciato,
La domanda, O Me! così triste, ricorrente — Che c’è di buono in tutto questo, O Me, O Vita?

Risposta.

Che tu sia qui — che la vita esista ed esista l’identità,
Che la potente commedia vada avanti e che tu possa offrire il tuo verso.
 
OH ME! OH LIFE!


Oh me! Oh life! of the questions of these recurring,
Of the endless trains of the faithless, of cities fill’d with the foolish,
Of myself forever reproaching myself, (for who more foolish than I, and who more faithless?)
Of eyes that vainly crave the light, of the objects mean, of the struggle ever renew’d,
Of the poor results of all, of the plodding and sordid crowds I see around me,
Of the empty and useless years of the rest, with the rest me intertwined,
The question, O me! so sad, recurring — What good amid these, O me, O life?

Answer.

That you are here — that life exists and identity,
That the powerful play goes on, and you may contribute a verse.

 

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Traduciamo Louise Gluck: Violet

01 domenica Nov 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Louise Gluck, Nobel, poesia, traduzione

Ancora una traduzione di una poesia del neo premio nobel Louise Gluck.

Qui il post di introduzione a cui rinvio per le motivazioni della rubrica “Traduciamo Louise Gluck” e per le altre traduzioni delle quali troverete i links nei commenti a quel post.

da “The wild Iris”, 1992

Violet

Because in our world
something is always hidden,
small and white,
small and what you call
pure, we do not grieve
as you grieve, dear
suffering master; you
are no more lost
than we are, under
the hawthorn tree, the hawthorn holding
balanced trays of pearls: what
has brought you among us
who would teach you, though
you kneel and weep,
clasping your great hands,
in all your greatness knowing
nothing of the soul’s nature,
which is never to die: poor sad god,
either you never have one
or you never lose one.

Violetta

traduzione di Loredana Semantica

Perché nel nostro mondo
qualcosa è sempre nascosto,
minuscolo e bianco,
piccolo e ciò che tu chiami
puro, noi non ci addoloriamo
come ti addolori tu, caro
maestro sofferente; tu
non sei più smarrito
di quanto lo siamo noi, sotto
l’albero di biancospino, la raccolta delle spine
bilanciata da cassette di perle: cosa
ti ha condotto tra noi
chi ti insegnerebbe, anche se
ti inginocchi e piangi,
stringendo le tue grandi mani,
in tutta la loro grandezza non sapendo
niente della natura dell’anima,
che non è mai morire: povero dio triste,
o non ne hai mai una
o non la perdi mai.

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Traduciamo Louise Gluck: Vespers

24 sabato Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Louise Gluck, poesia, traduzione

Si prosegue con le traduzioni del neo premio Nobel per la letteratura: Louise Gluck. Stavolta è la volta delle piante di pomodoro. Non ci sono dubbi che il testo ha un significato nascosto. Spero possiate coglierlo. Questa iniziativa di traduzione è iniziata qui. A quel post vi rimando per la lettura delle altre traduzioni, i cui link sono nei commenti.

Vespers

In your extended absence, you permit me
use of earth, anticipating
some return on investment. I must report
failure in my assignment, principally
regarding the tomato plants.
I think I should not be encouraged to grow
tomatoes. Or, if I am, you should withhold
the heavy rains, the cold nights that come
so often here, while other regions get
twelve weeks of summer. All this
belongs to you: on the other hand,
I planted the seeds, I watched the first shoots
like wings tearing the soil, and it was my heart
broken by the blight, the black spot so quickly
multiplying in the rows. I doubt
you have a heart, in our understanding of
that term. You who do not discriminate
between the dead and the living, who are, in consequence,
immune to foreshadowing, you may not know
how much terror we bear, the spotted leaf,
the red leaves of the maple falling
even in August, in early darkness: I am responsible
for these vines.

Vespri

traduzione di Loredana Semantica


Durante la tua lunga assenza, mi hai permesso
di usare la terra, prevedendo
un certo ritorno dall’investimento. Devo riferirti
di aver fallito il mio compito, principalmente
per quanto riguarda le piante di pomodoro.
Penso che non dovrei essere incoraggiata a coltivare
pomodori. Oppure, se lo sono, tu dovresti contenere
le forti piogge, le notti fredde che vengono
così spesso qui, mentre altre regioni godono
di dodici settimane d’estate.
Tutto questo ti appartiene: d’altra parte
io ho piantato i semi, ho visto i primi germogli
come ali squarciare il suolo, è stato il mio cuore
a spezzarsi per la peronospera, la macchia nera si è diffusa
così rapidamente moltiplicandosi nei filari. Io dubito
che tu abbia un cuore, che tu possa capire questi termini.
Tu che non distingui tra morte e vita, che sei, di conseguenza,
immune dai presagi, potresti non saperlo
quanto ci terrorizzi vedere una foglia macchiata,
le foglie rosse d’acero che cadono
anche in agosto, nella prima oscurità: io sono la responsabile
di questi rampicanti.

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Traduciamo Louise Gluck: Parable of faith

18 domenica Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ 2 commenti

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Louise Gluck, poesia, traduzione

Col contributo di Antonella Pizzo prosegue la traduzione delle poesie di Louise Gluck iniziata qui

Dalla raccolta “Meadowlands”, 1996

Parable of faith

Now, in twilight, on the palace steps
the king asks forgiveness of his lady.
He is not
duplicitous; he has tried to be
true to the moment; is there another way of being
true to the self?
The lady
hides her face, somewhat
assisted by the shadows. She weeps
for her past; when one has a secret life,
one’s tears are never explained.
Yet gladly would the king bear
the grief of his lady: his
is the generous heart,
in pain as in joy.

Do you know
what forgiveness mean? it mean
the world has sinned, the world
must be pardoned 

Parabola di fede

(traduzione di Antonella Pizzo)

Ora, al crepuscolo, sui gradini del palazzo
il re chiede perdono alla sua donna.
Lui non è falso; ha provato ad essere vero al momento;
c’è un altro modo di essere fedele a sé stesso?
La donna
nasconde il suo viso, un po’
aiutata dalle ombre. Piange
per il suo passato; quando si ha una vita segreta,
le proprie lacrime non vengono mai spiegate.
Eppure il re avrebbe sopportato
la sofferenza della sua donna: il suo
è cuore generoso,
nel dolore come nella gioia.

Lo sai
cosa significa perdono? significa
che il mondo ha peccato, che il mondo
deve essere perdonato.

qui potete ascoltare la lettura in lingua originale

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Traduciamo Louise Gluck: The red poppy

10 sabato Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, SINE LIMINE

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Louise Gluck, poesia, traduzione

In Italia ha destato una certa sorpresa l’attribuzione del Nobel per la letteratura a Louise Gluck, poetessa statunitense, nata a New York nel 1943. In pochi la conoscevano, e le poesie che circolano in rete probabilmente non le rendono giustizia, tant’è che non mancano le polemiche. Però potrebbe trattarsi di un problema di traduzione. Per conoscere meglio questa autrice ho pensato di tentare una traduzione alternativa delle poesie che circolano in rete. Una alla volta, in modo che abbiano ciascuna massima attenzione. Come quando si osserva un quadro su uno sfondo nero o una parete vuota per coglierne al meglio le linee e i colori. Lo considero un esperimento, alla ricerca della poetica di un’autrice che è stata ritenuta degna di così ambito riconoscimento. Al termine di questo percorso, l’esperimento sarà diventata esperienza. Se avete voglia di cimentarvi ho scovato qui un nutrito elenco di testi in lingua originale. Antonella Pizzo mi ha segnalato quest’altra ricca raccolta qui. Se poi volete proporre alla redazione i vostri esperimenti, siete benvenuti. Buona poesia a tutti.

The great thing
is not having
a mind. Feelings:
oh, I have those; they
govern me. I have
a lord in heaven
called the sun, and open
for him, showing him
the fire of my own heart, fire
like his presence.
What could such glory be
if not a heart? Oh my brothers and sisters,
were you like me once, long ago,
before you were human? Did you
permit yourselves
to open once, who would never
open again? Because in truth
I am speaking now
the way you do. I speak
because I am shattered.

 

Il papavero rosso

(traduzione di Loredana Semantica)

 

La cosa migliore è

non avere pensieri

i sentimenti: oh quelli ce li ho

nel cielo ho un signore chiamato sole

fiorisco per lui

gli offro il rosso del mio cuore

rosso come la sua presenza.

Cos’altro potrebbe essere un tale splendore

se non passione? Oh miei fratelli e sorelle

eravate come me voi tanto tempo fa

prima di diventare umani?

Anche voi vi siete permessi

di brillare una volta

chi mai vorrebbe farlo di nuovo?

Perché in verità adesso

sto parlando la vostra lingua.

Io parlo perché sono distrutta.

 

 

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