Arthur Conan Doyle (1859-1930), scozzese (foto web)
DAL MAR DEL NORD (Traduzione di Emilio Capaccio)
Le sue guance bagnate erano dagli sprizzi del Mar del Nord, andavamo dove ciottoli e marea s’incontrano; lunghe onde rotolavano da lontano facendo le fusa con arricciature ai nostri piedi. E come noi andavamo mi sembrò che tre vecchi amici si fossero rivisti quel giorno, il vecchio, vecchio cielo, il vecchio, vecchio mare, e l’amore, vecchio quanto loro. Veniva dal mare una bruma meditabonda, la vedemmo distendersi, piega su piega, e notammo il gran sole alchimista mutare tutto il suo bordo plumbeo in oro. Osservate bene, osservate bene, mia signora, il grigio sotto, l’oro sopra, solo così la vita più grigia può splendere tutta dorata in luce d’amore.
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BY THE NORTH SEA
Her cheek was wet with North Sea spray, we walked where tide and shingle meet; the long waves rolled from far away to purr in ripples at our feet. and as we walked it seemed to me that three old friends had met that day, the old, old sky, the old, old sea, and love, which is as old as they. Out seaward hung the brooding mist we saw it rolling, fold on fold, and marked the great Sun alchemist turn all its leaden edge to gold, look well, look well, oh lady mine, the gray below, the gold above, for so the grayest life may shine all golden in the light of love.
Ella Wheeler Wilcox (1850-1919), americana (foto web)
UNA NAVE VOLGE A EST (Traduzione di Emilio Capaccio)
Una nave volge a est e un’altra volge a ovest dagli stessi venti soffiate. È l’assetto delle vele non le burrasche che indica la rotta che percorriamo. Come venti del mare sono le onde del tempo mentre attraversiamo la vita. È l’assetto dell’anima che determina il traguardo non la calma o la lotta.
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ONE SHIP SAILS EAST
One ship sails East, And another West, By the self-same winds that blow, Tis the set of the sails And not the gales, That tells the way we go. Like the winds of the sea Are the waves of time, As we journey along through life, Tis the set of the soul, That determines the goal, And not the calm or the strife.
Salpano pensieri di ferro la sera su navi di ferro; come luci lontane, fievoli vanno mentre calano l’àncora dodici piedi, al borbottar del traghetto che come trottola, nel frangente mareale, tórno tórno fa girar la sua voce di gallo mezz’arrochita da tubi attossicati e impiumati di vapore. La nave passa. I cutter s’allontanano. Le campane battono. Il traghetto erutta un’ultima bianca frase; e labbra umane un’ultima nera, carica di benvenuti alla disfatta. Lasciano la spietata città i pensieri; però navi di ferro sono e pietà non hanno; e gli uomini di cuori e fianchi che si sforzano e arrugginiscono. Pensieri di ferro salpano nella polvere da città di ferro, però come tenere colombe i pensieri che volano a casa.
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IRON CITIES
Iron thoughts sail out at the evening on iron ships; They move hushed as far lights while twelve footers Dive at anchor as the ferry sputters And spins like a round top, in the tide rips, Its rooster voice half muted by choked pipes Plumed with steam. The ship passes. The cutters Fall away. Bells strike. The ferry utters A last white phrase; and human lips, A last black one, heavy with welcome To loss. Thoughts leave the pitiless city, Yet ships themselves are iron and have no pity; While men have hearts and sides that strain and rust. Iron thoughts sail from the iron cities in the dust, Yet soft as doves the thoughts that fly back home.
Edmond Gore Alexander Holmes (1850-1936), irlandese (foto web)
NOTTE (Traduzione di Emilio Capaccio)
Viene la notte e le stelle continuano le consuete veglie Nelle morbide profondità insondabili del cielo: In un mistico velo d’ombrosa oscurità giacciono Le infinite distese degli abissi,— Tranne dove dormono gli argentei sentieri della luce lunare, E s’alzano e s’abbassano per sempre sognanti Col maestoso ondeggiare del mare. Viene la notte, e una decuplicata oscurità dove è ripido e tenebroso, Nelle nere acque d’una baia senza sbocco Le scogliere discendono: non c’è mai tempesta che rugge A rompere il sonno terribile; molto al di sotto brillano bianche frange schiumose come neve; E suoni di tuoni strangolati s’alzano sempre, E notturni gemiti d’onde imprigionate.
NIGHT
Night comes and stars their wonted vigils keep In soft unfathomable depths of sky: In mystic veil of shadowy darkness lie The infinite expanses of the deep,— Save where the silvery paths of moonlight sleep, And rise and sink for ever dreamily With the majestic heaving of the sea. Night comes, and tenfold gloom where dark and steep, Into black waters of a land-locked bay The cliffs descend: there never tempest raves To break the awful slumber; far below Glimmer the foamy fringes white as snow; And sounds of strangled thunder rise alway, And midnight moanings of imprisoned waves.
Amos Russel Wells (1862-1933), americano (foto web)
LA COPPA DELL’OCEANO (Traduzione di Emilio Capaccio)
Cosa contiene la coppa dell’oceano? Gloria di porpora e scintillio d’oro; I più teneri verdi e il blu del cielo, Colpiti dalla luce del sole in tutto e per tutto; Increspature che vagano oziosamente. Frangenti che cadono con schiuma galante; Sabbie e ciottoli che si rincorrono e scivolano; Correnti mistiche che scorrono dolcemente; Potente incantesimo dei tempi antichi, Questo contiene la coppa dell’oceano.
Che cosa sente la coppa dell’oceano Alle labbra della gente di terra d’ogni luogo? Il respiro minaccioso e spettrale del pericolo, le forme martoriate d’una morte atroce; Ululanti tempeste e nevischio pungente, lo schianto dei terribili piedi dei destrieri marini; Navi che tremano per l’urto spaventoso, Angoscia ammucchiata a una roccia selvaggia; Perdita, tumulto e insidia fatale, Questo fa il calice dell’oceano.
Guardate bene la coppa dell’oceano, Voi che volentieri sorbite bellezza. Soffermatevi a lungo sull’infido bordo, Guardatevi dentro ogni volta vi curvate e bevete.
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THE CUP OF OCEAN
What does the cup of ocean hold? Glory of purple and glint of gold; Tenderest greens and heavenly blue, Shot with the sunlight through and through; Wayward ripples that idly roam. Tumbling breakers with gallant foam; Sands and pebbles that chase and slide; Mystic currents that softly glide; Mighty spell of the ages old, This does the cup of ocean hold.
What does the cup of ocean hear To the lips of land folk everywhere? Danger’s ominous, ghostly breath, Battered forms of an awful death; Howling tempests and bitter sleet, Crash of the sea steeds’ terrible feet; Ships a-quiver with fearful shock, Anguish heaped on a savage rock; Loss and turmoil and fatal snare, This does the cup of ocean bear.
Look ye well to the ocean’s cup, Ye who gladly on beauty sup. Tarry long at the treacherous brink, Gaze within e’er ye bend and drink.
Katharine Lee Bates (1859-1929), americana (foto web)
LUCI DI STELLE SUL MARE (Traduzione di Emilio Capaccio)
Sopra il mormorio corale delle onde lievi Le costellazioni brillano contro il tenue Crepuscolo etereo, sempre bello, in alto, Sereno, mentre l’uomo esce faticosamente dalle grotte Per le città, le città clamorose, la vita che si scatena Come un’onda contro gli scogli. Non di frequente Le nostre città scorgono le stelle, il cui splendore è stato deriso Dal basso e duro scintillio che sfida La benedizione del buio della notte. Ma qui, In mezzo all’oceano, tutte le cui voci ovattate risuonano Un’estasi perduta dalle nostre vessate volontà umane, Vediamo lo splendore primordiale che brillava Sul caos, —vediamo il giovane Dio pascere Le sue scintillanti greggi sulle purpuree colline.
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STARLIGHT AT SEA
Over the murmurous choral of dim waves The constellations glow against the soft Ethereal dusk, —forever fair, aloft, Serene, while man climbs painfully from caves To cities, clamorous cities, life that raves Like surf against the rocks. It is not oft Our cities glimpse the stars, their luster scoffed Away by low, hard glitter that outbraves Night’s blessing of the dark. But here upon Mid-ocean, all whose muffled voices ring A rapture lost to our vexed human wills, We see the primal radiance that shone On chaos, —see the young God shepherding His gleaming flocks on the empurpled hills.
UNA MEMORIA DEL MARE (Traduzione di Emilio Capaccio)
O cielo e mare, e verso di chiurlo, Il sonoro scampanio dell’onda sull’onda, Perle di sogno che il più fondo oceano pavimenta, La potente meraviglia su tutto!
Il vasto, vasto mare dove cavalcano grandi navi, La brezza aperta con pieno respiro, La pallida schiuma atterrita dalla tempesta, I tristi cancelli del cielo spalancati!
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A SEA-MEMORY
O sky and sea, and curlew call, The tinkling chime of wave on wave, Dream-pearls that deepest ocean pave, The mighty wonder over all!
The wide, wide sea, where great ships ride, The open breeze with breath full drawn, Pale foam by tempest frightened on, Grim flood-gates of the sky flung wide!
Auguriamo a tutti i lettori di Limina mundi Buon Anno 2025, un anno che speriamo porti con sé nuovi inizi, opportunità e una rinnovata serenità. Che ogni giorno del nuovo anno possa essere un passo verso la realizzazione dei vostri sogni e delle vostre aspirazioni, accompagnato da salute, felicità e successo in ogni vostro progetto. Celebriamo insieme questo nuovo capitolo, lasciamo alle spalle incertezze, pessimismo, ogni negatività e abbracciamo con fiducia ciò che il futuro ha in serbo per noi.
immagine generata da AI
Nessuno mai ha chiesto niente non una stella o un presente un capodanno celeste nessuna offerta strozzata o principesca e i sussurri assordanti di un tempo sono ora ridotti a un bisbiglio un miagolio di gatto cencioso che pare si senta talvolta nel vento.
Lo sguardo famelico o avverso brilla ancora di luce perversa sfrigola in pastoie di paranoia dove tutto il beffardo s’accende come una fiamma bluastra di gelo a cui corrisponde l’inverno innevato di un ghiacciaio perenne o brillio incandescente di cometa.
Intanto tra le membrane dell’amnio rotola il nuovo sbuca come coniglio dal cilindro il nascituro.
Natale, bambino o ragnetto o pennino che fa radure limpide dovunque e scompare e scomparendo appare come candore e blu delle pieghe montane in soprassalti e lentezze in fini turbamenti e più Bambino e vuoto e campanelle e tivù nel paesetto. Alle cinque della sera la colonnina del meteo della farmacia scende verso lo zero, in agonia. Ma galleggia sul buio con sue ciprie di specchi. Natale mordicchia gli orecchi glissa ad affilare altre altre radure. Lascia le luminarie a darsi arie sulla piazza abbandonata col suo presepio di agenzie bancarie. Natali così lontani da bloccarci occhi e mani come dentro fatate inesistenze dateci ancora di succhiare degli infantili geli le inobliate essenze
Arthur Williams Symons (1865-1945), gallese (foto web)
PRIMA DELLA TEMPESTA (Traduzione di Emilio Capaccio)
Il vento s’alza sul mare, saltano le bianche e battute schiume ballerine; e il mare geme con malessere, e torna a dormire, e non può dormire.
La cresta dietro il dorsale roccioso si solleva, mani selvagge, e martelli sulla terra, si disperde in polvere liquida alla deriva verso la morte tra la sabbia polverosa.
Sulla linea dell’orizzonte che s’avvicina, dove il cielo poggia un muro visibile, bigio alla vista, io divinizzo, le vele che volano prima della tempesta.
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BEFORE THE SQUALL
The wind is rising on the sea, the windy white foam-dancers leap; and the sea moans uneasily, and turns to sleep, and cannot sleep.
Ridge after rocky ridge uplifts, wild hands, and hammers at the land, scatters in liquid dust, and drifts to death among the dusty sand.
On the horizon’s nearing line, where the sky rests a visible wall, grey in the offing, I divine, the sails that fly before the squall.
Christina Georgina Rossetti (1830-1894), inglese (foto web)
DAL MARE (Traduzione di Emilio Capaccio)
Perché il mare geme sempre? Escluso dal cielo, emette il suo lamento. S’agita contro il bordo della riva; Tutti i fiumi in piena della terra non possono riempire Il mare, che beve e ha ancora sete.
Puri miracoli di bellezza giacciono nascosti nel suo letto non visti: Anemoni, salsi, senza passione, Come fiori respirano; sono vivi quanto basta per respirare, moltiplicarsi e prosperare.
Gusci pittoreschi, curvi, a chiazze, a punte, cose vive incrostate con occhi da argo, tutti belli e uguali, ma tutti diversi, nascono senza dolore e muoiono senza dolore, —e così passano.
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BY THE SEA
Why does the sea moan evermore? Shut out from heaven it makes its moan. It frets against the boundary shore; All earth’s full rivers cannot fill The sea, that drinking thirsteth still.
Sheer miracles of loveliness Lie hid in its unlooked-on bed: Anemones, salt, passionless, Blow flower-like; just enough alive To blow and multiply and thrive.
Shells quaint with curve, or spot, or spike, Encrusted live things argus-eyed, All fair alike, yet all unlike, Are born without a pang, and die Without a pang,—and so pass by.
William Stanley Braithwaite (1878-1962), americano (foto web)
VOCE DEL MARE (Traduzione di Emilio Capaccio)
Voce del mare che mi chiami, Cuore dei boschi che il mio cuore ama, Sono parte del vostro mistero. Mosso dall’anima che la vostr’anima muove.
Sogno di stelle nella cupola del mare notturno, Da qualche parte nel vostro spazio infinito Dopo gli anni tornerò alla dimora, Alle vostre sale per reclamare il mio posto.
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VOICE OF THE SEA
Voice of the sea that calls to me, Heart of the woods my own heart loves, I am part of your mystery— Moved by the soul your own soul moves.
Dream of the stars in the night-sea’s dome, Somewhere in your infinite space After the years I will come home, Back to your halls to claim my place.
Thomas Bailey Aldrich (1836-1907), americano (foto web)
LA VOCE DEL MARE (Traduzione di Emilio Capaccio)
Nel silenzio della notte autunnale Sento la voce del mare, Nel silenzio della notte autunnale Sembra che dica— Miei son i venti in alto, Mie le spelonche di sotto, Miei i morti di ieri E i morti di tanto tempo fa!
E penso alla flotta che salpò Dalla bella riva di Gloucester, Penso alla flotta che salpò E non tornò mai più! I miei occhi son pieni di lacrime, E il mio cuore intorpidito di dolore— Sembra come fosse ieri, E tutto è successo tanto tempo fa!
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THE VOICE OF THE SEA
In the hush of the autumn night I hear the voice of the sea, In the hush of the autumn night It seems to say to me— Mine are the winds above, Mine are the caves below, Mine are the dead of yesterday And the dead of long ago!
And I think of the fleet that sailed From the lovely Gloucester shore, I think of the fleet that sailed And came back nevermore! My eyes are filled with tears, And my heart is numb with woe— It seems as if ‘t were yesterday, And it all was long ago!
Illustro l’argenteo passaggio d’una nave di notte, Il colpo d’ogni triste onda perduta, Il rombo calante dell’acciaio che si sforza, Il piccolo grido d’un uomo a un uomo, Un’ombra che cade nella notte più grigia, E il tramonto della piccola stella; Poi la distesa, la lontana distesa d’acque, E la soffice sferzata d’onde nere Per lungo tempo, in solitudine.
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BLACK WAVES
I explain the silvered passing of a ship at night, The sweep of each sad lost wave, The dwindling boom of the steel thing’s striving, The little cry of a man to a man, A shadow falling across the greyer night, And the sinking of the small star; Then the waste, the far waste of waters, And the soft lashing of the black waves For long and in loneliness.
Nathaniel Hawthorne (1804-1864), americano (foto web)
L’OCEANO (Traduzione di Emilio Capaccio)
L’oceano ha le sue grotte silenziose, Profonde, quiete e solitarie; Anche se c’è furia sulle onde, Sotto di loro non c’è nessuno. I terribili spiriti degli abissi Hanno lì la loro comunione; E ci sono quelli per cui piangiamo, I giovani, i brillanti, i giusti. I marinai stanchi riposano tranquilli Sotto il loro mare blu. Le oceaniche solitudini sono benedette, Perché laggiù c’è purezza. La terra ha colpa, la terra ha affanno, Le sue tombe sono inquiete; Ma il placido sonno è sempre lì, Sotto le onde blu scuro.
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THE OCEAN
The Ocean has its silent caves, Deep, quiet, and alone; Though there be fury on the waves, Beneath them there is none. The awful spirits of the deep Hold their communion there; And there are those for whom we weep, The young, the bright, the fair. Calmly the wearied seamen rest Beneath their own blue sea. The ocean solitudes are blest, For there is purity. The earth has guilt, the earth has care, Unquiet are its graves; But peaceful sleep is ever there, Beneath the dark blue waves.
Un poeta deve lasciare delle tracce del suo passaggio, non delle prove.
Solo le tracce fanno sognare.
René Char
INEDITO
La fiera della vanità
Se penso a qualcosa per cui essere ricordata non penso all’esatto dettaglio. Mi ostino, se mai, a gettare fiori di gentilezza, bellezza antica, che vedo fiorire ai cigli di strade accanto a rifiuti maleodoranti. Mi dissocio dall’insolente profanazione, dai riti malconci che rendono sostanza il futile apparire. La fiera delle vanità -io, io, solo io- scaccio testarda.
Apri un libro di poesie e immàginati un viaggio. Non è quello che ci si aspetta da un libro di poesie? E il viaggio esige istantaneamente un battito di tempo ondulante, un cicalare di profumata marina agostana, un’estate kavafisiana, una nube e un uccello in punta di pennone. La silloge di Fernando Della Posta è un sortilegio sirenico, un lungo e odoroso viaggio in acque libere d’un mare aperto, non importa se per pelaghi lunari o per isole greche che coi loro azzurrini e aromatici, scogli, dirupi, speroni, possono specchiarci più di qualunque verità di medico o di maciara, le molteplici frammentarietà di noi stessi. Tutto interi mai ci solleviamo, lo comprendiamo, non siamo unici né unitari, ma imprimere nella mente la cartina dei nostri pezzettini, delle nostre gradazioni, questo, sì, può darci il senso e la natura dell’esistenza che portiamo addosso. Il viaggio di questo libro, epperciò, inizia dalla fine: inizia dall’uomo, e finisce dove nulla finisce, nell’infinito dei nostri fragili e incoerenti minuzzoli, che, per questo viaggio in cerca di risposte, ci spingono a scendere sempre più nel profondo, nel profondo… sempre più nel lontano, nel lontano… La raccolta s’intitola “Diario dell’approdo”, prefazione di Davide Toffoli. Arcipelago itaca Edizioni, 2024.
Emilio Capaccio
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Dalla Terra emana un’energia estrema, tanto che lupi e creature selvatiche del dolce e dell’occulto, con volti monumentali da sfingi presidiano i viali tagliafuoco. Se non viste, come Gorgoni giocano a contarsi.
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L’uomo talvolta si sente chiamato ad animare paesaggi lontani, dove soltanto una vasta bellezza chiara veleggia tra gole e vallate. Quella bellezza grandiosa e serena che solo chi è saldo nella disciplina può avvicinare con destrezza. Quella fermezza di chi incatena le numerose voglie da sfamare avute in dono da una mala stella.
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Muore l’estate nel suo stesso fuoco di brace. Si scuce e si scuoce nelle tinte più calde di un autunno più probo. Perduta ogni già intrattenuta ebbrezza di vita, si tende alla vita con mire più astute e precise. Sopravvive chi vince sfide sommesse di bruchi, su cenci di morti sotto maglie di felci.
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Estivo malessere d’ogni singolo viottolo del borgo, tregue irrisorie solo sotto boscaglie di platano accenni alle ombre in fuga. Difficile sacrificare a un’ara malinconica, ogni nostro superfluo intendimento, per aprire nuovi occhi su spesso intuiti, perduti orizzonti; su panorami di maggesi accesi in luogo di retabli marcescenti, levigati uncini di cenere e ossa, punteruoli fermi a un passo dal cielo.
Fernando Della Posta è nato a Pontecorvo in provincia di Frosinone nel 1984. Vive e lavora a Roma. Ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazionali ed è presente su diversi lit-blog e in numerose antologie. Ha pubblicato le raccolte di poesia “L’anno, la notte, il viaggio” (Progetto Culura 2011), “Gli aloni del vapore d’Inverno” (Divinafollia 2015), “Cronache dall’Armistizio” (Onirica 2017), “Gli anelli di Saturno” (Ensemble 2018), “Voltacielo” (Oèdipus 2019), “Sembianze della luce” (Ladolfi 2020), “Sillabari dal cortile” (Macabor 2021) e “Ricostruzione delle favole” (Italic Pequod 2022), Prefazione di Umberto Piersanti.
Calarmi ancora nei mari, nel solitario mare e nel cielo, E tutto ciò che chiedo è un’alta nave e una stella per condurla, La gioia del timone, la canzone del vento, il tremolio della vela, Una nebbia grigia sul volto marino e una grigia alba nascente.
Calarmi ancora nei mari, perché il richiamo della corrente È un chiaro e selvaggio richiamo che non può essere negato; E tutto ciò che chiedo è un giorno di vento con bianche nubi volanti, Con spruzzi e spume sollevate e gabbiani che gridano.
Calarmi ancora nei mari, alla vita zingara e vagabonda, Sulla via di gabbiani e balene, dove il vento è un coltello affilato; E tutto ciò che chiedo è un’allegra storia da un ridente compagno, E un sonno tranquillo e un dolce sogno per quando il gioco è finito.
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SEA FEVER
I must go down to the seas again, to the lonely sea and the sky, And all I ask is a tall ship and a star to steer her by, And the wheel’s kick and the wind’s song and the white sail’s shaking, And a grey mist on the sea’s face, and a grey dawn breaking.
I must go down to the seas again, for the call of the running tide Is a wild call and a clear call that may not be denied; And all I ask is a windy day with the white clouds flying, And the flung spray and the blown spume, and the sea-gulls crying.
I must go down to the seas again, to the vagrant gypsy life, To the gull’s way and the whale’s way, where the wind’s like a whetted knife; And all I ask is a merry yarn from a laughing fellow-rover, And quiet sleep and a sweet dream when the long trick’s over.