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LIMINA MUNDI

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Il mito del tango nella poesia di Borges

18 mercoledì Mar 2020

Posted by marian2643 in Consigli e percorsi di lettura

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Tag

Anna Maria Bonfiglio, argentina, buenos aires, gaucho, Jorge Luis Borges, tango

Colin Staples 1959 – Argentine Figurative and Portrait painter

 

Nell’universo letterario borghesiano il tango è lo specchio della popolazione argentina, un simbolo che la identifica. “Identità” è infatti la parola chiave nei testi che il poeta argentino compone per il tango. Egli ha vissuto nel periodo in cui la popolazione del suo Paese era costituita da un coacervo di etnie e di culture e dunque alla ricerca di un’unità costituita; il tango, in quanto espressione di una tradizione secolare che univa molti popoli, era il mito che poteva identificarli. Il tango e il sainete, un componimento teatrale di origine spagnola che in un solo atto rappresentava in modo giocoso aspetti e costumi della vita popolare, sono le due voci a cui Borges assegnerà la valenza archetipa degli abitanti di Buenos Aires. La figura dell’eroe che iniziò il mito del tango è secondo Borges il Gaucho. Così egli lo descrive in una sua poesia:

“Figlio di qualche confine della pianura

Aperta, elementare, quasi segreta,

gettava il saldo laccio che trattiene

il saldo toro dalla cervice scura.

Si battè con l’indiano e lo spagnolo,

morì in alterchi di taverna e di gioco;

diede alla patria, che ignorava, la vita,

finché a forza di perdere, perse tutto.

Nomi non restano, ma il nome è rimasto.”

Da questa poesia, di cui ho citato solo l’incipit, comprendiamo che il gaucho era un elemento marginale della società, viveva nelle pampas, era allevatore o mandriano e, avendo combattuto su vari fronti, il coraggio e l’onore erano la sua fede. Gli elementi distintivi del carattere gauchesco che vengono citate nelle poesie del tango sono l’orgoglio dell’uomo che vive libero e fiero in mezzo alla natura e la sua abilità magistrale di maneggiare i coltelli. Il gaucho non riesce a riconoscersi con e nella città che cambia e si industrializza e perciò vive isolato, anche a costo di rimanere emarginato o di essere sfruttato.

La seconda figura-mito di questa tranche di poesie borghesiane è il compadre e più ancora il compadrito. Il compadre, che abita nei sobborghi della capitale, è il capo del quartiere, simbolo di autorità e coraggio, ricco d’orgoglio e pronto alla vendetta,  vive una gerarchia dove lui è il massimo esponente, sotto di lui vi sono i compadritos. Evoluzione del gaucho che va mutando veste per inserirsi nella nuova società urbana, egli è un soggetto ribelle, alla ricerca di libertà e di una terra senza leggi, l’unico valore a cui si attiene è l’amicizia e per essa è disposto a combattere fino ad uccidere o ad essere ucciso. Il compadrito è colui che trasforma in passi di danza il gioco di coltelli di cui è maestro e con cui esprime la propria virilità. L’immagine del coltello assieme al tema della morte si trova in tutte le milonghe scritte da Borges e pubblicate nella raccolta “Poesie per le sei corde”, ciascuna di esse è un documento di fatti di cronaca nera, di eventi storici o di vicende realmente accadute, “Dietro le pareti sospettose il Sud custodisce un pugnale e una chitarra”, scrive nel poemetto Il tango.

Nella poesia “Milonga de dos hermanos” è raccontata la tragica storia dei fratelli Iberra: entrambi maestri nel gioco del duello si sfidano coi coltelli ma uno dei due tradisce l’etica della competizione uccidendo l’altro con la pistola. Metafora delle lotte fratricide iniziate con la vicenda biblica di Caino e Abele, nel testo è sottesa l’accusa di tradimento e di vigliaccheria, perché nel codice morale del barrìo è il coltello l’unica arma prescritta per i duelli. Nella “Milonga di Don Nicanor Parades” viene tracciato il ritratto di un compadrito del rione Palermo, suo feudo, dove egli brilla per il suo aspetto elegante e per l’uso dei modi duri con cui risolve i contrasti, ucciso nell’anno ‘90 dell’Ottocento per mano di un altro capo. Così lo descrive Borges:

“Lisci e duri i capelli

E quell’aspetto da toro;

mantellina sulla spalla

e sfarzoso anello d’oro”.

Tutti i personaggi cantati nelle milonghe di Borges hanno in comune la lotta e la morte, la chitarra e il coltello. I testi sono racconti di storie individuali che si tramandano nel tempo, leggende a cui l’autore assegna un codice epico per caratterizzare la natura dell’uomo argentino. Il teatro in cui prendono vita i fatti narrati sono i luoghi più nascosti di Buenos Aires, l’arrabal, i suburbi, i luoghi della memoria, unici e straordinari, scaturigine dell’opera borghesiana.

Raccontando in poesia i miti e le leggende di una terra il cui popolo si è costituito dall’amalgama di civiltà e culture diverse fra loro, Borges ha creato un epos, una teoria sulla quale appoggiarsi per identificare nell’eroe del tango la figura che porta la matrice genetica degli argentini. Alcuni studiosi negano che Borges abbia creduto veramente a questa idea di identificazione, mentre altre voci sostengono che egli stesso, sentendo dentro di sé la necessità di trovare una radice comune con il suo popolo, si sia autoconvinto che all’origine della nuova popolazione argentina ci fosse questo eroe del tango, ruvido, smargiasso e sentimentale, pronto ad amare e a uccidere ma sempre fedele ai valori dell’onore e della solidarietà. La Buenos Aires dell’arrabal e del quartiere Palermo sarà sempre per lo scrittore il fulcro creatore dei miti leggendari del suo Paese e del suo popolo.

Anna Maria Bonfiglio

 

 

 

 

 

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