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LIMINA MUNDI

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Archivi della categoria: Consigli e percorsi di lettura

Il primo sole dell’estate di Daniela Raimondi

22 giovedì Giu 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA

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Antonella Pizzo, Daniela Raimondi, editrice nord, Il primo sole dell'estate, romanzo

Titolo: Il primo sole dell’estate
Autore: Daniela Raimondi
Prezzo copertina: € 19.00
Editore: Nord
Collana: Narrativa Nord
Data di Pubblicazione: 23 maggio 2023
EAN: 9788842935414
ISBN: 8842935417

È una casa fredda, quella in cui cresce Norma, in cui i genitori non si separano per quieto vivere e gli abbracci si contano sulle dita di una mano. Forse è per questo che, quando Norma è lontana dalla famiglia, tutto le sembra più bello. Come le estati passate dai nonni, a Stellata, un paesino in cui il tempo sembra essersi fermato ed è reso ancora più magico dai racconti di nonna Neve, che parlano di una famiglia di sognatori e di sensitivi e della zingara che ha segnato la loro strada. E poi, sempre a Stellata, c’è Elia, compagno di giochi e di confidenze. Tuttavia, quando l’infanzia cede il posto all’adolescenza, Norma scopre di avere paura dei nuovi sentimenti che la legano a Elia e decide di interrompere la loro amicizia. Passeranno molti anni prima che i due si ritrovino a Londra e il loro rapporto si trasformi in un amore adulto e totalizzante, ma il destino sta scrivendo per lei un’altra pagina, una pagina che è incominciata a Stellata e finirà molto lontano, in Brasile. Perché i sogni hanno sempre un prezzo e la felicità è un dono che si conquista attraverso la fatica.

***

La Casa sull’argine di Daniela Raimondi edito da Editrice nord nel 2020, ha venduto migliaia di copie ed è stato tradotto in moltissime lingue. Il romanzo attraverso due secoli, dall’Unità d’Italia agli anni di piombo, narra le vicende della famiglia Casadio di Stellata.   Dopo La casa sull’argine, Daniela Raimondi  torna in libreria con un nuovo romanzo dal titolo Il primo sole dell’estate, edito anch’esso da editrice nord. In questo nuovo romanzo ci racconta lo svolgersi della vita di alcuni personaggi già presenti nel precedente libro, principalmente si racconta della vita di Norma che è l’io narrante della storia e di sua madre Elsa. Il romanzo nato come seguito del primo ha però una sua costruzione autonoma e si regge da solo, così si può trarre piacere dalla sua lettura anche se non si è letto il primo.  La figura centrale del romanzo è Norma Martiroli, nata nel 1947 in un inverno freddissimo, figlia di Guido e Elsa, una coppia scoppiata, che non si è mai amata. Elsa si era sposata a vent’anni già incinta ma non voleva un figlio, voleva godersi un po’ la  vita, visto che aveva passato gli anni dell’infanzia a crescere e accudire i numerosi fratellini, che sua madre sfornava uno dopo all’altro,  invece di giocare nel cortile come tutti i suoi coetanei. Quando Elsa partorisce e nasce Norma,  il padre,  Guido Casadio, figlio di Neve e gemello di Dolfo che ha sposato Zena, va  a comunicare con gioia la bella notizia della nascita della bimba ai parenti. Nonna Neve è felicissima ma la stessa felicità non è provata da Elsa che considera sua figlia quasi come fosse un’estranea e la tratta con estrema freddezza. Norma trova il calore solo quando si trova a Stellata, il loro paese d’origine dove tutto è cominciato tramite Viollca una gitana sensitiva che aveva in sé la magia  e che aveva contribuito a far nascere una generazione dalla doppia identità, i sognatori e sensitivi e quelli con i piedi ben piantati in terra e pragmatici. A Stellata, c’è Elia, uno strano bambino, uno che combina guai, diverso dagli altri, Elia diventa il suo compagno di giochi e di confidenze. Passata l’infanzia,  Norma scopre di aver paura di ciò che sente per Elia e decide di interrompere la loro amicizia.  Dopo molti anni Norma ritroverà Elia a Londra e si accorge di averlo sempre amato e di amarlo ancora. Come si può non innamorarsi di Elia? Ribelle, dalle idee progressiste e con l’avversione per il moralismo della società borghese, anticonformista, con i suoi capelli lungi e la sua barba, affascinante nonostante ami indossare le mutande bianche antiche, intelligente, gentile. Sembra andare  tutto nel miglior dei modi, lei ha sposato l’uomo che ama e al quale ha dato il suo primo bacio. Ma la sorte rema contro e il destino è avverso. I due si sposano e vanno in viaggio di nozze in Brasile dove vivono la zia Adele e la figlia  Maria Luz. Lì, il destino beffardo li attende.

Il romanzo si svolge  tra il passato e il presente. Fra il Brasile, l’Inghilterra e l’Italia. Nel presente Norma deve occuparsi  della madre che è molto malata ed è voluta tornare  a Stellata.  Norma ha lasciato Londra ed è tornata in Italia a vivere con la madre malata, con quella madre che ora è diventata come un bambina ma  che non ha mai avuto una carezza o una parola buona per lei bambina. Norma accanto alla madre ricorda e rivive il suo passato, la felicità e il dolore provato, le gioie e le delusioni, la vita generosa e la vita beffarda che si è presa gioco di lei. Fra magia  e realtà si svolge la vita di Norma. L’amata cugina Donata ha militato nelle Brigate rosse e fa una brutta fine. Donata ha ereditato dall’antenata gitana la capacità di predire il futuro attraverso la lettura dei tarocchi e dei sogni, rivela a Norma le sue visioni, ma la cugina non capisce la portata della sua previsione, solo dopo, quando Donata non ci sarà più,  si renderà conto come e quando si era avverata in pieno la profezia che la riguardava.

Nel romanzo si raccontano tutte le vicissitudini della famiglia Martitoli. Un grande affresco ricco di personaggi dalle mille sfumature, che amano e odiano, che gioiscono e soffrono. Norma alla fine dopo aver sofferto tanto a causa dei tradimenti inaspettati, essere delusa proprio dalla persone che lei amava di più e nelle quali riponeva fiducia e speranza, riesce a ricostruire la propria felicità, nel perdono e nella comprensione. La felicità non è un dono che cade massiccio dal cielo sulla terra ma si edifica mattone su mattone, si costruisce giorno dopo giorno con determinazione e sacrificio, liberandosi dai pesi che impediscono la sua realizzazione, tornando alle radici, tornando all’innocenza e allo stupore dei bambini.  

Una lettura avvincente, Daniela Raimondi è un’autrice ecclettica e che non delude mai, è una poeta che ha ricevuto importanti riconoscimenti e anche come narratrice sta dimostrando tutto il suo valore.

Daniela Raimondi è nata in provincia di Mantova e ha trascorso la maggior parte della sua vita in Inghilterra. Ora si divide tra Londra e la Sardegna.
Ha pubblicato dieci libri di poesia che hanno ottenuto importanti riconoscimenti nazionali. Suoi racconti sono presenti in antologie e riviste letterarie. La casa sull’argine, edito da Nord, e uscito nel 2020 è stato il suo primo romanzo e nel 2023 è uscito, sempre per i tipi della Nord, Il primo sole dell’estate.

antonella pizzo

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Tornare dal bosco di Maddalena Vaglio Tanet

08 giovedì Giu 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, LETTERATURA, NarЯrativa, Note critiche e note di lettura, Recensioni

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Antonella Pizzo, Maddalena Vaglio Tanet, Premio strega, romanzo, Tornare dal bosco

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In Attenti al lupo scriveva Ron nel 1990 e cantava Lucio Dalla: Questa vita è una catena/Qualche volta fa un po’ male/Guarda come son tranquilla io/Anche se attraverso il bosco/con l’aiuto del buon Dio/stando sempre attenti al lupo. Il bosco è nell’immaginario collettivo un luogo pauroso e oscuro dove ci si può perdere facilmente ed è abitato da animali pericolosi come il lupo o l’orso. Occorre stare in guardia, non perdere la strada e lasciare traccia del nostro passaggio, facendo cadere i sassolini come fece Pollicino. Oppure può essere un luogo accogliente dove rifugiarsi, come fece Biancaneve che trovò ospitalità e riparo nella casa dei sette nani. Un luogo dove perdersi e dove ritrovarsi. Il bosco è metafora della vita, è attraversamento e rifugio. Quando la maestra Silvia legge la notizia sul giornale invece di andare a scuola entra nel bosco. La vicenda si svolge negli anni ‘70 in un piccolo paese vicino a Torino, fra le montagne e al limitare del bosco, dove lentamente stanno arrivando i primi segnali della modernità. La notizia che sconvolge Silvia è il suicidio di Giovanna una sua scolara di undici anni. La bambina si è lasciata andare giù nel fiume saltando dalla finestra di casa sua, si è levata le scarpe e si è buttata. Silvia seguiva questa sua alunna con molta attenzione perché la ragazzina, appartenente a una famiglia modesta, aveva problemi a scuola, problemi forse non troppo dissimili a quelli che aveva lei da bambina. La maestra Silvia aveva chiamato il giorno prima la madre per lamentarsi del suo rendimento scolastico. Silvia non è una donna qualunque ma ha una funzione sociale precisa e determinata, un ruolo definito. Silvia è la maestra. Non è una donna qualunque, non è una madre, non è una moglie, non è una fidanzata, non è una figlia, Silvia è la maestra e basta. Alla maestra si chiede un’unica cosa, quella e nessun’altra cosa se non quella di fare la maestra e di saperla far bene. Silvia è cresciuta dalle suore e ha ricevuto un’educazione rigida, della sua infanzia ricorda il bosco nel quale si avventurava con il cugino e con il quale andava con gioia a raccogliere funghi. Il bosco è il luogo dell’infanzia, è in grembo materno che la ri-accoglie. Il senso di colpa e di inadeguatezza a svolgere il suo ruolo di insegnante la porta a rifugiarsi nel bosco e a sparire nel nulla. In paese tutti la cercano e temono una disgrazia. Rifugiatasi in un capanno che conosceva sin da piccola, ormai coperto dalla vegetazione, Silvia passa a ritroso tutta la sua vita, acquista consapevolezza del suo fallimento, si rende conto di non essere mai stata una donna ma un frutto ammuffito prima ancora di avere raggiunto la maturità. Silvia si lascia morire, non mangia e non beve, si vergogna di se stessa. Viene trovata da un bambino asmatico e sofferente, Martino, un alunno proveniente dalla vicina Torino che si è trasferito in paese per quei suoi motivi di salute. Martino non sa nulla della maestra, impara a conoscerla negli incontri segreti che avvengono al capanno. Martino è di parola e non rivelerà a nessuno che ha trovato Silvia. La maestra muta, infreddolita, sporca, disidratata, diventerà parte integrante e viva del bosco, perché il bosco è vivo nelle muffe, nei parassiti, nei vermi, non muore ma si trasforma. Sarà Martino a portarle da bere e da mangiare e la maestra Silvia si fa convincere a mangiare e a bere fino a che Silvia si è trasformata in qualcos’altro. Alla fine qualcosa accade ma resta sempre aperto un interrogativo. C’è qualcosa che nel romanzo non si conclude, il cerchio resta incompleto. Sembra una fiaba all’incontrario, in genere nelle fiabe si perdono i bambini, qui invece è l’adulto che si perde e il bambino è il salvatore che la ritrova. Un adulto la cui esistenza, nel bene e nel male, dipende dalle azioni di due bambini ha qualcosa di inquietante. Nelle fiabe c’è sempre una morale, qui mi sembra ci sia una morale all’incontrario. È un romanzo cupo. Allora in questa atmosfera cupa attraversando il bosco canterò: Guarda come son tranquilla io/Anche se attraverso il bosco/con l’aiuto del buon Dio/stando sempre attenti al lupo.
Il romanzo è ispirato a storia vera occorsa a un lontano parente dell’autrice, Maddalena Vaglio Tanet, a Bioglio, un paesino di montagna in provincia di Biella, dove ha trascorso dai nonni tutte le sue vacanze estive. Nata nel 1985, ha studiato letteratura all’Università di Pisa e vive a Maastricht dove svolge la professione di scout letteraria. È stata finalista del premio Strega Ragazzi nel 2021 con il libro Il cavolo di Troia e altri miti sbagliati.

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I fratelli Ashkenazi di Israel Joshua Singer

24 mercoledì Mag 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, NarЯrativa, Note critiche e note di lettura

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I fratelli Ashkenazi, Israel Joshua Singer

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Prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e delle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento, viene pubblicato nel 1936 negli stati uniti  il romanzo I fratelli Ashkenazi. L’autore è Lo scrittore polacco in lingua yiddish Israel Joshua Singer (1893-1944),  figlio del rabbino Pinchas Mendl Zinger e fratello dello scrittore Isaac Bashevis Singer, premio Nobel per la letteratura nel 1978. Il libro ha più di 700 pagine ma  ciò non mi ha fermata perché avendo già fatto esperienza della scrittura di Singer con il suo bellissimo La Famiglia Karnowski, ero certa che ne sarebbe valsa la pena. Singer ebreo ashkenazita ci racconta il suo mondo, per molti un mondo lontano, estraneo e complicato, multiforme, multiculturale e caotico, un mondo pieno di contraddizioni. Il romanzo narra le vicende immaginarie di due  fratelli inserititi in un contesto di verità storica, fra la metà del XIX secolo fino agli anni trenta del secolo successivo, fra la polonia e la Russia zarista.

Poiché la Polonia era ricca di  filati di lana e di cotone ma mancava di tessitori vennero fatti entrare nel territorio polacco, con la promessa di non pagare le tasse e altri benefici, tessitori provenienti dalla Germania, tedeschi e ebrei ortodossi. Così, dopo la fine delle guerre napoleoniche, una lunga processione di tedeschi ed ebrei percorse le strade polverose della Sassonia e della Slesia fra villaggi già devastati dalle guerre di Napoleone, diretti verso  la cittadina polacca di Lodz, chi nei carri o nei barocci, chi a piedi.  Molti erano individui cenciosi, altri erano ricchi ebrei carichi di masserizie, ma tutti, ricchi e poveri, erano muniti di telai a mano.

La comunità ebraica riesce a inserirsi nel territorio di Lodz e addirittura ad allargarsi costruendo nuove case o ingrandendo le case già esistenti. Alcuni ebrei si mettono in proprio e aprono le loro attività autonome di tessitori.

Uno di questi ebrei, che si era fatto da sé riuscendo a diventare un imprenditore, era Reb Abraham Hirsh Ashkenazi,  ebreo devoto e rispettoso delle tradizioni. La moglie era sul punto di partorire e si era a ridosso della Pasqua, ma lui volle ugualmente recarsi dal rabbino chassidico di Vorka per chiedere una benedizione per il figlio che gli stava per nascere, nonostante le strade  fossero infestate dai ribelli e dai cosacchi. Il rabbino gli aveva predetto che i suoi figli sarebbero diventati ricchi ma non sarebbero mai stati devoti.  Al suo ritorno trova che la moglie ha partorito due gemelli,  Simcha Mayer e Jacob Bunim.

bambini di Lodz primi anni del 1900
bambini di Lodz primi anni del 1900

I due fratelli sono dissimili fra di loro, sia nell’aspetto che caratterialmente, erano come il giorno e la notte. Il più grande è Simcha Mayer, minuto ma sempre triste benché dotato di intelligenza viva, l’altro Jacob Bunim all’apparenza meno intelligente ma più robusto e allegro. Il romanzo narra della rivalità di questi due gemelli, che si manifesta sin dai primi anni di vita. Il minore ama la bella vita, le belle donne e il buon cibo, finge col padre di essere devoto per non creare problemi, si è innamorato sin da piccolo delle bella Dinah, una bambina che gioca spesso con lui mentre il fratello minore, roso dall’invidia, sta  a guardare.  Da adulti si contendono il potere nella città di Łódz. Il  maggiore sposa Dinah la donna  amata dal minore. È furbo e sa operare inganni e astuzie, diventa ricco e si fa chiamare Max, accumula ricchezze su ricchezze, sgobba dalla mattina alla sera senza mai un attimo di riposo, sfrutta i lavoratori della fabbrica come un vero negriero. Odia il fratello minore perché nonostante lui non si dia da fare è come se fosse stato baciato dalla fortuna perché diventa più ricco di lui. Ha sposato, infatti, una donna ricchissima anche se il suo è un matrimonio infelice perché lui ama Dinah la moglie del fratello maggiore. Quasi tutta la seconda parte del romanzo racconta la lotta fra operai e imprenditori, i conflitti fra gli ebrei devoti e i gentili, fra polacchi e russi, fra i nobili e nuovi ricchi, lo sfruttamento dei tessitori considerati alla stregua di schiavi,  la ribellione dei lavoratori, la lotta di classe e la rivoluzione russa. Simcha Mayer che ormai si fa chiamare Max Ashkenazi aveva trasferito molti dei suoi macchinari dalla polonia in Russia, ma a causa  dell’abolizione della proprietà privata, perde tutti i suoi averi e viene  rinchiuso in una prigione della nuova Unione Sovietica. Pentito del male che aveva causato agli altri in nome della ricchezza e della sua avidità, ormai vecchio e malato, comprende di aver sbagliato tutto costruendo il suo mondo nella sabbia e viene tratto in salvo proprio da quel fratello che lui aveva sempre odiato e invidiato. Così come in quel periodo storico erano gli  ebrei, invidiati e odiati, tant’è che il malcontento e la rabbia della popolazione venivano spesso indirizzati dal governo russo attraverso i pogrom contro di loro, facendone un capro espiatorio. Questo romanzo, così come gli altri dello stesso autore, per chi è lontano dalla cultura del popolo ebreo, può rappresentare un’ottima occasione per comprendere meglio l’animo di questo popolo e le loro tradizioni, in quanto le vicende sono narrate da un vero  scrittore ebreo ashkenazita  di lingua yiddish vissuto a ridosso del periodo storico narrato, quasi fosse un testimone diretto.weavingmill

fonte

In nessuna pagina del romanzo  si può leggere la gioia di vivere o la serenità dei protagonisti. Nessuno dei  personaggi presente nel romanzo sembra riuscire a essere felice, eppure la felicità è contemplata nella loro visione e nella loro tradizione religiosa, ma nel romanzo c’è sempre nelle vite dei personaggi un sottofondo di malinconia.  Tutti, ciascuno per i propri particolari motivi dati dai problemi derivati dalla classe di appartenenza, sia per l’avidità, sia per la povertà, sia per la troppa ricchezza, per non sapersi accontentare mai, sia perché si combatte per la lotta di classe, o per i dettami della religione di appartenenza che a volte pesano come un macigno,  ognuno per il suo ma tutti sono infelici. Molti sono i personaggi presenti nel romanzo e molte le loro vicende personali.  Donne, uomini, figli, mogli, mariti, politici, ministri, nobili, imprenditori, filatori, venditori di scarti, agenti di commercio operai, ricchi, accattoni e straccioni,  tutti vivono la loro infelicità in un mondo dominato dal caos e dalla confusione.  Gli unici che sembrano porsi al di sopra di questo mondo mai felice sono i rabbini, depositari della saggezza e dell’ordine, come se lo studio e l’insegnamento della legge fossero un porto sicuro, un luogo preciso,  e i rabbini, detentori di quella terra promessa, già insediati nella terra dove scorre latte  e miele. Nel  giudaismo  la felicità è un comando, il Talmud dice che rallegrarsi durante una festività è dovere religioso. Sia nel Levitico che nel Deuteronomio si ordina di essere gioiosi, molte delle loro feste sono nel segno della gioia, la gioia della  festa delle capanne, la gioia della Pasqua.  È chiaro così che quasi nessuno dei personaggi del romanzo è un devoto e ciò causa infelicità.  Il romanzo già nel titolo parrebbe avere  come tema principale  la storia di due fratelli e il dualismo esistente fra essi, ma è solo l’occasione per rappresentare i conflitti esistenti nell’animo umano e nei gruppi contrapposti: fra  le diverse etnie, fra gentili ed ebrei, fra chassidin devoti e non osservanti, fra il socialismo e il capitalismo. Ciascuno portatore di  malcontenti e dicotomie,  dove i personaggi cambiano abito di volta in volta, a seconda delle circostanze, una volta sono le vittime e un’altra sono i carnefici assumendo ruoli intercambiabili adattandosi ai padroni e alla situazione storica ai confini territoriali del momento. Il libro appassiona e si legge facilmente  nonostante le sue tante pagine e gli argomenti non molto leggeri perché la scrittura  è fluida e la storia interessante, specialmente per chi ama questo tipo di scritture, cioè le saghe familiari e i romanzi storici in cui le vicende dei protagonisti sono inseriti nella realtà  storica, anche se ho trovato un po’ lunghe la parte delle descrizioni delle lotte di classe e della rivoluzione popolare. Il romanzo mi è piaciuto meno de La famiglia Karnowski  perché un po’ ripetitivo in certe parti e meno dinamico.

Antonella Pizzo

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Navi nel deserto di Luigi Weber

11 giovedì Mag 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Note critiche e note di lettura

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Antonella Pizzo, Luigi Weber, Navi nel deserto

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Navi nel deserto
di Luigi Weber
Il ramo e la foglia edizioni, gennaio 2023
pp. 376

Se c’era un detto autentico in bocca a quello sputasentenze di Schomberg, era “la mia strada la segnano i fuochi nella notte”.
In un deserto punteggiato di piccole oasi, di rocche fortificate alte su speroni di pietra, tra piste di terra battuta per navi a ruote e città abbandonate che emergono dalle sabbie come relitti, giocano a scacchi con il destino e la morte un giovane capitano inesperto, un traditore, un naufrago, un uomo ossessionato dal desiderio di vendetta, una ragazza inquieta e la sua nutrice.
Naviganti, Pirati, Isolane e Cittadini dividono una terra aspra, inospitale, e se la contendono intrecciando odio, pregiudizi, incomprensioni.
Attorno a loro, da ogni parte, si innalzano lenti nel cielo i sette pilastri della distruzione.
I grandi romanzi e i personaggi di Joseph Conrad, affondati, sbriciolati e dispersi in un mare solido, tornano a incontrarsi e scontrarsi lungo le piste di una storia tutta nuova.
*

«Sulla Kairos dormivano, tutti. Nessuno ancora sapeva dell’arrivo dei Pirati in quelle terre, e la sorveglianza semplicemente non esisteva.
Io non dormivo, invece. Il deserto è piatto, l’aria notturna tersa, e l’incendio dell’infelice vittima ardeva molto sopra le dune, come la porta dell’inferno spalancata. Perfino da terra lo vidi distintamente, e mi si agghiacciò il sangue.»
Luigi Weber è un insegnante di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Bologna. Il Romanzo distopico Navi nel deserto è la sua opera prima. Nato dopo lunga gestazione, come dichiarato dall’autore in interviste apparse sul web, “Navi nel deserto è uno strano indefinibile oggetto, persino per me che ci convivo da un tempo lunghissimo. Un esordio romanzesco attempato, a cinquant’anni, e insieme paradossalmente giovanile, perché mi accompagna da quando ne avevo venti. A prima vista sembrerebbe un prodotto sospeso tra narrativa d’avventura per ragazzi, fantascienza e fantasy, mentre non è niente di tutto ciò. “

***

Non importa come sia potuto accadere e perché, non si sa quando sia accaduto, non si conosce quale sia la catastrofe occorsa, se guerra atomica o spostamento dell’asse terrestre, o la caduta di un meteorite, ma la terra di un tempo non esiste più, i fiumi, i mari, le montagne, le città, tutto è coperto da una spessa coltre di sabbia. Affiora solo qui e là qualche spuntone metallico facente parte di qualche alta costruzione. Il mondo è sotto, è il Downtown, un mondo sommerso, “Indica la parte nevralgica delle antiche città, dove si alzavano tutti i grattacieli. Oh Dio, sapevo che c’era una in questa regione, ma come si fa a crederci…“ I personaggi portano i nomi dei protagonisti dei romanzi di Conrad, a partire dal protagonista principale, il capitano, che porta addirittura il nome dello scrittore Joseph Conrad. Ci sono molte citazioni che riguardano Conrad, ad esempio quando Freya, promessa a Julian Sands il naufrago che abita in una delle oasi, dice di sé che il suo è un cuore di tenebra. A differenza delle atmosfere di Conrad di Cuore di tenebra, che sono volontariamente ombrose e cupe; a differenza  del romanzo la strada di McCartey, dove era accaduto qualcosa di terribile alla terra, dove il paesaggio scena dopo scena, dall’inizio e fino alla fine del romanzo, è sempre grigio, dove tutto è coperto di cenere e anche l’atmosfera e satura di cenere, in questo romanzo c’è sempre un sole abbagliante, potente, infuocato , che brucia “…Uff, il sole! – non ne abbiamo abbastanza di sole, ogni giorno della nostra vita? Se c’è qualcosa che non manca mai, qui, potete giurarci, è proprio il sole.”

Le navi solcano i deserti su grandi ruote che seguono delle strade numerate su dei binari prestabili come una sorta di ferrovia dotata di scambi, come quelle dei treni, per passare da una strada numerata all’altra. Per quanto riguarda la struttura il libro è diviso in dieci interludi  e vari capitoli,  e coesistono diverse voci narranti. Alternando il punto di vista si vorrebbe accrescere il ritmo della narrazione. Notevoli le descrizioni dei paesaggi sabbiosi e dei colori, nonché degli stati d’animo complessi dei protagonisti. Benché l’ambientazione è futurista e post atomica,  a volte si ha l’impressione che i personaggi siano regrediti nel passato e vivano le atmosfere dei regni greco-romano, o egiziano, o minoico.
Questa terra di oggi è abitata da uomini uguali a quelli che abitavano la terra di prima. Gli uomini hanno sempre le stesse emozioni e gli stessi sentimenti, l’uomo è sempre uguale a se stesso, simile nei difetti e nei pregi. Sotto la cenere della città di Pompei sono state trovati oggetti e suppellettili che anche noi, uomini moderni, avremmo trovato comodi da usare. Sono state trovate iscrizioni nei muri contro certi personaggi politici e pubblicità varie, fontane dove bere e piazze dove incontrarsi e passeggiare. I bisogni dell’uomo saranno sempre uguali, il bisogno di stare in gruppo, di condividere, di amare, di classificare, di odiare e di disprezzare il diverso e di aggregarsi a chi si ritiene sia più simile a noi. I pregiudizi e le discriminazioni accompagneranno sempre gli uomini qualunque sia il mondo abitato. L’umanità abitante questa terra sabbiosa e infuocata è riuscita a trovare una sua organizzazione. La società del romanzo è divisa in due gruppi, stanziali e nomadi. Gli stanziali sono i cittadini cioè gli uomini che hanno preferito arroccarsi nelle fortificazioni, e gli isolani che abitano le oasi in mezzo al deserto dove attraccano le navi. I nomadi sono i naviganti, cioè quelli che in giovane età sono usciti dalle rocche e hanno costruito delle navi nelle quali hanno trascorso insieme tutta la loro vita, e i feroci pirati che in genere sono i fuoriusciti dalle rocche il cui scopo è quello di inseguire i naviganti. Non conta chi sei, da solo non hai identità e dignità, conta solo a quale gruppo appartieni, ed è un’anomalia che il capitano Conrad sia un cittadino diventato navigante.

Si tratta di un romanzo distopico, d’avventura, avveniristico, fantascientifico, ma non solo, questo romanzo parla principalmente di uomini, delle loro paure e dei loro sentimenti. Dello sforzo giornaliero di sopravvivere in un ambiente che è diventato ostile e pieno di pericoli o che ti costringe a vivere murato vivo pur di non perdere la vita. A cambiare faccia e a fingerti altro per non perire. A perire per non cambiare. Un romanzo molto particolare, adatto e consigliato a chi ama il genere distopico e apocalittico.

mpluchi@yahoo.it

Antonella Pizzo 

bio Luigi Weber
Nato nel 1972 a Rimini, ma dall’incontro tra un trentino di Rovereto e una toscana di Marradi, quindi sospeso tra il mare, le Alpi e gli Appennini, Luigi Weber da lungo tempo ormai si è risolto per la pianura, e vive e lavora nella città che più gli è congeniale, Bologna, con la sua famiglia. Qui ha studiato e si è laureato in Lettere Classiche, nel 1998; qui, dopo una pausa di alcuni anni trascorsa come giornalista in Romagna, è tornato definitivamente ad abitare, iniziando una collaborazione ormai più che ventennale con l’Ateneo in cui adesso insegna Letteratura Italiana Contemporanea. Nel frattempo ha vissuto anche nel magico mondo del teatro di ricerca, partecipando a nove indimenticabili edizioni del Festival di Santarcangelo come caporedattore del Quaderno del Festival. Per alcuni anni ha insegnato a scuola, a bambini delle medie di Imola e adulti nelle serali di Vergato, e anche quelli sono stati anni e incontri impossibili da scordare. Dal 2012 è diventato Ricercatore e poi dal 2014 Professore Associato presso il Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica di Bologna. Ha scritti libri e curato edizioni e pubblicato saggi su molti autori e fenomeni letterari dell’Otto e del Novecento, da Manzoni al Gruppo 63, occupandosi di letteratura fantastica, poesia e romanzo sperimentale, letteratura di guerra e di viaggio. Dal 2021 fa parte del Comitato Direttivo della MOD, Società Italiana per lo Studio della Modernità Letteraria.

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Nostalgia di Ermanno Rea

27 giovedì Apr 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Cinema, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, LETTERATURA, NarЯrativa, Note critiche e note di lettura

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Antonella Pizzo, Ermanno Rea, Favino, Mario Martone, Nostalgia, romanzo

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Dal greco: nostos ritorno a casa e algos dolore. Il dolore del ritorno. Nostalgia, dolore del ritorno, quel malessere che ti prende quando ripensi alle cose del passato, ai luoghi in cui hai abitato, alle persone che hai conosciuto e amato. Il libro racconta la Sanità e le sue bellezze nascoste, visibili solo a chi ama il quartiere, un quartiere ricco di storia e di umanità. Racconta anche della nostalgia provata per Napoli di Felice Lasco, un sessantenne nato e cresciuto al Rione sanità e che ha vissuto per altri quaranta anni all’estero. Il rione della sanità viene descritto in modo particolareggiato e poetico da Ermanno Rea, sono luoghi che amava perché i suoi nonni abitavano nel cuore del rione in quella lunga strada che è Via Cristallini. Frequentando quei luoghi era venuto a conoscenza della vera storia da cui ha tratto il romanzo. Il libro racconta la storia di due ragazzi, Oreste Spasiano, detto Malommo, e Felice Lasco. Sono nati negli anni 50 in quel quartiere che è come fosse un mondo a sé stante, ai piedi di Capodimonte, un quartiere che aveva visto passare principi e re, costruito sulle catacombe, su grotte, su strapiombi di tufo, piena di orti e giardini misteriosi, la chiamavano la valle dei morti per via del cimitero delle Fontanelle e per le spoglie mortali di San Gaudioso e San Severo in quei luoghi custodite. Continua a leggere →

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TITANiO di Loredana Semantica, Terra d’ulivi 2023. Una lettura di Antonella Pizzo

18 martedì Apr 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, LETTERATURA, Note critiche e note di lettura, POESIA, Poesie, Recensioni

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Antonella Pizzo, Loredana Semantica, POESIA, poesia contemporanea, Terra d'ulivi, titanio

TITANiO

Dopo L’informe amniotico [appunti numerati e qualchepoesia]  edito da Limina Mentis edizioni, 2015, opera prima di Loredana Semantica,  con prefazioni di Giorgio Bonacini e Rosa Pierno segnalato al premio Lorenzo Montano, esce la nuova raccolta di Loredana Semantica TITANiO edita da Terra d’Ulivi 2023.  Il titanio è un elemento metallico conosciuto per la sua resistenza alla corrosione, quasi pari a quella del platino, nonché per il suo alto rapporto tra resistenza e peso. È un metallo leggero, duro ma con bassa densità. Allo stato puro è molto duttile, lucido, di colore bianco metallico.

Il Titanio è il metallo ideale perché porta in sé due qualità opposte e ugualmente importanti, rappresenta l’equilibrio fra due proprietà intrinseche, la leggerezza e la resistenza.

La parola Titano deriva dal latino Titanus. I Titani vengono considerati come le forze primordiali del cosmo, che imperversavano sul mondo prima dell’intervento regolatore e ordinatore degli dei olimpici. C’è anche un IO graficamente inserito con la i in minuscolo a formare la parola che dà il titolo alla raccolta, suggerendo probabilmente che l’io poetico dell’autrice si qualifica,  si colloca, si identifica con la leggerezza e la durezza.

Le poesie sono sotto datate e seguono un ordine cronologico preciso,  sono in ordine progressivo cronologico dalla più vecchia alla più recente all’interno di ogni sezione,  ordinata per senso e omogeneità di stile e ispirazione. TITANiO raccoglie settanta poesie ripartite in 4 sezioni: 12 in Je est un autre, 21 in Biografia, 12 in Calligrafia, infine 25 in Sacrario. Esse scaturiscono da un lavoro, durato un anno, di riordino della produzione poetica dell’autrice degli anni che vanno dal 2010 al 2021, lavoro iniziato con la raccolta inedita In absentia vocis che è stata segnalata al Premio Lorenzo Montano del 2022.

Riporta l’autrice in prima pagina un breve testo tratto dalle Memorie di Adriano di Margherita Yourcenar    “Sono giunto a quell’età per cui la vita è, per ogni uomo una sconfitta accettata…  Ritrovavo in quel mito, (dei Titani n.d.r)  ambientato ai confini del mondo, le teorie dei filosofi di cui mi ero nutrito: ogni uomo, nel corso della sua breve esistenza, deve scegliere eternamente tra la speranza insonne e la saggia rinuncia ad ogni speranza, tra i piaceri dell’anarchia e quelli dell’ordine, tra il Titano e l’Olimpico. Scegliere tra essi, o riuscire a comporre, tra essi l’armonia.”  Ciò ci induce a credere che questo lavoro di riordino sia scaturito dal  bisogno di Loredana Semantica di riuscire a comporre un’armonia, un equilibrio, fra la sua vita quotidiana ordinata e regolare e le bruttezze del vivere, fra le forze irrequiete dell’inconscio generatrici di metafore e sogni, fra il sonno  e la veglia,  fra il suo bisogno di bellezza che salva e la necessità dell’amaro pane, quell’armonia necessaria che non porta alla rinuncia della speranza e che consente piuttosto di bilanciare le due  parti contrastanti.

Da questo equilibrio di forze, proprio quando dall’incontro delle due parti potrebbero scaturire lampi e saette,  dall’attrito delle due, fluisce piuttosto precisa e misurata la sua poesia, quasi un lento ritmare,  a tratti nostalgica, velata di ironia, non cinica ma disincantata, rassegnata ma non troppo, che osserva con freddezza la  nuda e cruda realtà sperando però che le sue parole siano come semi dai quali un giorno nasceranno  fiori. Spargo semi nel mondo/non appariscenti/gli occhi profondi/chissà se ne sbocceranno fiori. Una poesia che ha una sua musica interna come una musica da camera che sembrerebbe tranquillizzare Io vorrei dormire/di più e più a lungo/il sonno dovrebbe coprire/ogni pensiero con la sua/coltre bianca di silenzi e neve.// in realtà provoca un vago senso di malessere, il suo sguardo disincantato si ferma sulle cose inanimate, su un fantomatico  direttore, che rappresenta il potere, sul lavoro che aliena e che spesso ci è alieno, negli immensi bla bla, sapessi come tutto gira intorno/senza senso/c’è un bla bla immenso/ nel quale non mi riconosco/quattro fessi al tavolo di fronte/ parlano e ridono/con la bocca ripiena di cibo. La casa e gli affetti familiari che sono il suo porto sicuro e la ripagano di quel senso di non appartenenza e ostilità avvertito nel quotidiano andare. Scrivo una dopo l’altra/cose elementari/quasi uno scavare dentro/ fino all’essenza//,  appartenenza che ritrova però nelle sue radici e nella loro ricerca delle quale lei sente d’essere la foglia terminale.

Non se questa sia ricerca spirituale/o piuttosto di radici.  C’è un acclamare alla parola salvifica che può essere occasione di riscatto e di ritrovamento del sé più autentico. Lo calpesto  se posso e l’odio/lo danneggio e rivendico/ inneggio alla parola/mio unico luogo labirintico. Oppure ancora Io starei immota al caldo/beata in un respiro lieve/aperto ai movimenti del corpo/e del torace lenti e morbidi/come una schiuma soffice. Bisogna comunque leggerla questa raccolta e farsi un’idea propria perché nessuna nota può essere esaustiva perché è vasta la materia trattata, trattandosi di vita.

Di certo si può dire che l’autrice sa scrivere bene, che la sua scrittura è matura, che scrive e frequenta il web poetico da vent’anni, che ha fatto bene a riordinare la sua significativa produzione poetica, affinché non venga perduta nei meandri di una memoria volatile di un pc, come quelle foto, spesso importanti e belle, che non facciamo stampare mai e che ci dimentichiamo di aver fatto, negandoci il piacere della vicinanza, ma che dovremmo trasformare in concretezza cartacea affinché si squarci la siepe della dimenticanza che oscura i ricordi e il sole. (Antonella Pizzo)

Testi

Abbiatemi per lontanissima
così lontana che tremano i cieli
nella mia bocca d’amianto
costretta da un solo cunicolo
abbiatemi per rarefatta
così sperduta molecola
che nello spazio non piove
neanche un raggio di luce
a forare coltre maledetta
la piracanta spinosa.

10.02.2017

Io sono qui
e qui è la mia casa
i miei profumi la crema
per il viso le borse le ciabatte
i miei vestiti e arredi
qui il mio cane il frigo ricco
di cose buone il mio lavoro
gravoso e senza sole
atomica che sfianca e fagocita
l’uranio impoverito dei miei giorni
qui il mio centro e debolezza
mia forza e sicurezza la sagoma
del tuo corpo confortevole
il capo bianco dei tuoi capelli corti
qui i miei figli quando capita talvolta
a ristorare l’attesa ostinata
tra un’uscita e l’altra
con gli amici.

5.4.2017

Dentro di me un romanzo
dalla nascita brulicante di cortili
alle gebbie d’acqua fredda e anguille
sperdute tra rovi cicale e frinire
oltre le cancellate in cima alle scale
nei posti della memoria
dimenticati dalla storia spariti dalla terra
arati dalle ruspe al suolo
che compaiono solamente
in flash incerti dei ricordi
quasi fossero dei sogni.
In un altro capitolo il presente
arroccato a qualcosa che si sgretola
mentre avanza il tempo inesorabile
senza fretta con la calma sicurezza
di chi non ha precisi appuntamenti
dagli ostacoli si vede
che franano i punti fermi
gli stessi che sul foglio con la penna
erano uniti in progressione
in forme di una certa consistenza
a cui appuntare piedi medaglie o certezze
d’essere un preciso essere
un puntino esatto sulla terra.
Adesso il finale ad effetto
sui palmi le stimmate rosse
nel costato lo squarcio incrostato
dell’eremita.

10.01.2020

biografia

Siti dell’autrice

https://liminamundi.com 

https://lunacentrale.wordpress.com/

Loredana Semantica

Nata a Catania, laureata in giurisprudenza, sposata, ha due figli, vive e lavora a Siracusa. Si interessa da molti anni di poesia, fotografia e lavorazione digitale di immagini. Proviene dall’esperienza  di partecipazione e/o collaborazione a gruppi poetici, di fotografia, arte digitale, litblog, associazioni culturali nel web e su facebook. Ha pubblicato in rete all’indirizzo http://issuu.com/loredanasemantica le seguenti raccolte visuali e/o poetiche: 

Silloge minima (7/11/2009) 

Metamorfosi semantica (3.2.2010), 

Ora pro nomi(s) (27.3.2010) 

Parole e cicale (13.8.2010) 

L’informe amniotico (27.2.2011), quest’ultima raccolta  opera selezionata al premio Opera Prima 2012 e finalista al premio Lorenzo Montano 2012” è stata pubblicata nel 2015 da Liminamentis.

Il 4 agosto 2012 ha pubblicato, sempre su issuu, la raccolta di riflessioni e racconti “I sette vizi capitali” e da ultimo una Trilogia poetica, formata dalle tre seguenti raccolte: “Apologia del silenzio“, “Nulla Parola” di 30 poesie ciascuna, e “Poesia delle feste” .

Con Feltrinelli/ilmiolibro, insieme a Deborah Mega e Maria Rita Orlando nel 2015 ha pubblicato La prima rosa antologia di 160 poesie e 28 immagini d’autore sul tema della rosa. Gestisce il blog personale  “Di poche foglie” all’indirizzo https://lunacentrale.wordpress.com/.

antonella pizzo

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Il secondo piano di Ritanna Armeni

13 giovedì Apr 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, conventi, il secondo piano, Rastrellamenti, Ritanna Armeni, romanzo

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Il secondo piano, di Ritanna Armeni, edito da Ponte delle Grazie, 2023, p. 288

Dopo l’otto settembre del 1943, giorno in cui si comunicò che era stato firmato a Cassibile, in Sicilia, l’armistizio con il quale l’Italia si era arresa senza condizioni alle forze alleate, la speranza di essere liberati crebbe degli abitanti di Roma. In attesa che venisse finalmente sfondata la linea Gustav, i  partigiani lottarono  e resistettero cercando di contrastare i tedeschi con attentati e imboscate.  I   tedeschi però continuarono a occupare la città in un clima di terrore e violenza, facendo pagare ogni atto di ribellione con l’uccisione di civili inermi, aumentando le attività di ricerca e di cattura degli ebrei da deportare e sterminare.  ll 26 settembre il comandante della Gestapo, Herbert Kappler, pena l’arresto di 200 capi di famiglia, chiese agli ebrei 50 chilogrammi d’oro. La comunità ebrea con grande sforzo li raccolse  e li consegnò ai tedeschi sperando così di rabbonirli per un certo periodo. Le loro speranze furono presto deluse, il 16 ottobre del 1943 venne  dato l’ordine di arrestare e deportare gli 8.00 ebrei censiti. Le operazioni di rastrellamento  iniziarono già all’alba, i reparti delle SS  coordinati da Theodor Dannecker arrestarono in poche ore 1259 persone degli 8.000 previste, compresi anziani  e  bambini, il resto con enorme rabbia del comando tedesco sfuggì alla cattura. Il vaticano scelse la  via diplomatica e non prese posizione ufficiale anche se probabilmente agiva all’interno e in silenzio per contrastare gli abusi e le violenze perpetrati dai tedeschi.  Le chiese e i conventi furono perquisiti senza autorizzazione alla ricerca di partigiani, politici ed ebrei che si erano nascosti fra le mura Vaticane.

Il romanzo di Ritanna Armeni inizia proprio il giorno del rastrellamento degli ebrei nel ghetto romano. Continua a leggere →

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Più voci per un poeta: Fernanda Romagnoli. Videopoesia

05 mercoledì Apr 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, Più voci per un poeta, Video

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Fernanda Romagnoli, Loredana Semantica, videopoesia

La poesia “Io” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Tu” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Ci sono anime liete” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica

Quando ai più che non s’interessano di poesia si nomina Fernanda Romagnoli -dicevamo qui – non è sorprendente che non la conoscano, ma è singolare che spesso nemmeno i poeti, chi scrive o legge poesia, l’abbia mai sentita nominare.
Eppure Fernanda rappresenta un fulgido esempio di fare poetico, rimasto misconosciuto. La sua poesia è densa di assoluto, vibrante, tersa, metafisica e nel contempo sospesa in osservazione attenta della realtà, degli oggetti, persino degli animali a carpire loro il senso stesso dell’esistenza, quello della relazione con le umane cose, in parallelismi insoliti, spiazzanti, intelligenti, periodi complessi e magistralmente articolati, con una scorrevolezza e padronanza lessicale rara. Fernanda Romagnoli manifesta con la scrittura un anelito potente, che ingabbiato negli spazi angusti del vissuto, attraverso la poesia evade verso sfere celesti, trafigge la materialità delle cose, se ne impadronisce, le plasma, le ribalta, le aggancia al vivere e al morire, rimarcandone la caducità oppure all’opposto le proietta nell’eterno, le trasfigura. Insistenti i temi della morte, dell’eterno e dell’anima, non meno di quello dell’identità, del dolore, dell’estraniamento e della solitudine, di questi ultimi è paradigma la poesia “Il tredicesimo invitato”, che dà il titolo all’intera raccolta dov’è inserita.
Linguisticamente questa poesia vola, non può altrimenti definirsi la grazia con la quale la Romagnoli compone l’architettura dei versi, la compiutezza del significato, la proprietà di linguaggio si sposano con la leggerezza di un’espressione poetica perfettamente modulata nel suono. Non dimentichiamo che la poetessa proviene da una formazione musicale giovanile che influenza certamente il suo scrivere alla ricerca del suono che promana pensiero e sentire in simbiosi, che appare tanto naturale, quanto – probabilmente – accuratamente ricercata, mantenendo una freschezza fuori dal comune. Fernanda conduce la propria poesia con la stessa vibrante tensione che anima i versi dickinsoniani, col pathos che vediamo brillare in quelli della Plath. Figure femminili nelle quali la costrizione spirituale (potremmo forse dire “di genere”?) spreme distillati poetici soavi o intensi, ma ad ogni modo esemplari. Ammirevole la maestria con la quale la poetessa dalla superfice scende alle profondità e risale a vertiginose altezze, cercando il divino. L’effetto nel lettore è di provocare una vertigine, lo induce a sporgersi verso il vuoto a cercare l’assoluto con la stessa brama con cui lo legge nei versi.

La biografia di Fernanda è essenziale, riporta le notizie “agli atti”, e dice poco del carattere, aspirazioni, desideri, esperienze dell’autrice, paradossalmente è soprattutto nella poesia che la ritroviamo.
Possiamo ben immaginare lo scorrere della sua vita tra una giovinezza irrequieta, l’attraversamento certo incisivo della querra, un amore impossibile, l’incontro con Vittorio Raganella, l’innamoramento, il matrimonio impegni casalinghi, e, per qualche tempo, lavorativi. Il suo spazio vitale, come si conviene all’essere donna, sposa, madre. Ambito che per alcune è di piena realizzazione, per altre è recinto, senza peraltro che possano focalizzare alternative, essendo la situazione, la convenzione, le aspettative sociali a comportare un senso di delimitazione. Peraltro non era ostacolata dalla famiglia nella sua passione letteraria. D’altro canto il disagio esistenziale può essere un habitus innato, simile a una croce da portare, rispetto al quale la poesia è una forma di sopravvivenza. Fumava sigarette Fernanda, lo dice lei stessa, e beveva caffè al bar, sfaccendava, scriveva, faceva visita ai parenti o agli amici, avrà fatto qualche viaggio e qualche gita, curato la sua unica figlia. Tra pappette per neonati e cambio panni l’avrà cresciuta, una volta cresciuta, avrà tribolato per lei infinite volte. Una normalissima vita che non impedisce alla poetessa di essere tale. Trasfigurare in versi l’agonia di un bruco è un attimo poetico fissato per i posteri di potenza immaginifica brillante.

Bruco

Tagliato in due col suo frutto
il bruco si torce, precipita
nel piatto, ove un attimo orrendo
sopravvive al suo lutto.
Coperto di bucce, sepolto
fra le dolcezze e gli aromi
che amava in vita, gli accendo
sulla catasta l’incenso
della mia sigaretta.
Morte pulita – ed in fretta.
Ma che ne so della via
che il bruco ha percorso in quell’unico
istante di agonia.

La stessa “gallina rossa” dell’omonima poesia inchioda danzando verbalmente un’essenza chiocciante o appariscente che riverbera in parole e specchi la propria e altrui natura.

Rossa gallina

Rossa gallina, in te odio
– più del tuo chiocciolio di spavento,
dell’occhietto puntuto,
dello sconcio berretto – in te odio
il mezzo metro di vento
che spenni nel fracasso di uno slancio
già rantolo e frattura
allo spiccarsi. In te odio
la mia storpia fiammata,
il mio abortito amplesso con lo spazio,
l’implacata natura che m’aizza
a un volo compromesso.

E poi c’è la poesia “Tirando le somme”, dichiaratamente autobiografica, che riepiloga a volo d’uccello l’intera vita in pochi “fotogrammi” fondamentali, nella quale è menzionata la virtù femminile più accreditata della storia, frutto di sviluppo secolare, tramandata di madre in figlia, di suocera a nuora, nei bisbigli di consiglieri parentali o amicali, una specie di collante familiare del quale sono portatrici principali le donne: la pazienza.
Un’osservatrice Fernanda, malinconica e composta, probabilmente, per come le imponeva il ruolo di moglie di un militare, ma nemmeno risentita contro la sorte o gli incontri, gli insuccessi , anche perché oggettivamente nulla le sarà mancato, a parte la salute non proprio brillante. E’ nella natura sua propria, nel temperamento incline all’introiezione, che scatta la scintilla espressiva, con risultati che, probabilmente, si dovrebbero inquadrare con spirito oggettivo nel filone intimista, confessionale, pervaso di lirismo, mi sembra tuttavia che nessuna di queste definizioni calzi perfettamente, nel senso di essere riduttive, rischiano, come del resto tutte le classificazioni, di sminuire una voce, già di per sé, ingiustamente poco valorizzata.

Forse la Romagnoli ha la colpa per alcuni di non essere “sperimentale”, di muoversi nel solco della tradizione novecentesca e precedente, di indulgere all’autobiografismo più che all’intrigante all’ermetismo, ma gli “ismi” sono espressioni classificatorie che – in quanto demarcano – hanno a loro volta il limite di essere inadeguate – perché nulla possono riferire sulla bellezza espressiva, le ardite associazioni verbali, i lemmi insoliti, evocativi, ricercati, gli origami verbali, le simmetrie, la costruzione sapiente del ritmo e del suono, la musicalità, che caratterizzano la scrittura di questa poetessa. E’ un dato di fatto che la scrittura femminile trascorsa più riuscita viaggi sulle ali dell’introspezione alla ricerca di un altro-assoluto-divino dentro e fuori di sé che verticalizza, ben più in alto di quanto vediamo riesca quella maschile, come se la voce si assottigliasse in acuti da soprano e penetrasse le nubi, più centrata e fine del corrispettivo maschile. Si potrebbe dire, se fosse un fascio di luce, per proseguire in similitudine, che sia un laser che buca il cielo. Non mi sembra peculiarità da trascurare, al contrario è da esaltare, è da indagare, se possibile, in parallelismo ad altri aspetti, chiedersi quanto questa sorta di “conventualità” femminile si traduca in parossismo di intuizione mistica, quanto sostanzi una produzione poetica intrisa di raccoglimento e canto, come un pulsare di inspirazione ed espirazione che diversamente, vivendo, cioè una vita sociale più ricca, variegata, pubblica ed “esposta” sarebbe forse impossibile da raggiungere. Mi tornano in mente le castrazioni “tecniche” del canto lirico. Una vita di riserbo è cosa meno cruenta sul piano fisico, ma parimenti incisiva psicologicamente, che ha come suo forse-prodotto: la meraviglia in poesia?

Nessun assioma beninteso in queste considerazioni, né rapporto di causalità effetto, nel senso che è abbastanza intuitivo che chiudersi in una prigione non aiuterebbe l’estro dell’aspirante poeta carente o privo d’altro “bagaglio”, né si vogliono esporre suggerimenti da seguire per le nuove generazione emergenti (o magari sì, in verità, suggerire ad esempio che la ricerca parossistica di visibilità non favorisce il risultato), e men che meno vuol essere un sindacato sulla vita scelta da questa poetessa – perché sempre di scelta alla fin fine si tratta – solo interrogativi sull’origine del flusso poetico, i percorsi e risultati raggiunti.

Un appunto finale circa l’esclusione o l’autoesclusione dai circoli e circuiti letterari. Mi chiedo quanto penalizzi il poeta l’essere un isolato, quanto pesi sull’emarginazione che sceglie e infine subisce e se l’esclusione non sia una sorta di pena comminata postuma, non meno che scelta in vita, mancando i gruppi di “amici” che possano conservarne e diffonderne la voce poetica e suoi pregi, carenti i contatti utili a “elevarsi” nelle “gerarchie”, il poeta resta nel limbo, pur avendo prodotto testi il cui pregio surclassa altre e più esaltate produzioni. Avviene quindi che ogni tanto si leva qualche voce isolata mai sufficiente a ricollocarlo nel suo rango, di qualche appassionato estimatore o un familiare.

Molti leggono, tra la chiamata per vocazione, inclinazione e strumento, la Romagnoli andrebbe, ritengo, utilmente indicata come lettura, tenuta da conto per ciò che è, un tassello della scrittura poetica italiana e, come tale, anche nel poco che ha scritto – forse l’unica sua pecca – suggerita come lettura da conoscere. Piolo di una scala su cui salire per progredire in poesia.

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La malnata di Beatrice Salvioli

30 giovedì Mar 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, LETTERATURA, NarЯrativa, Note critiche e note di lettura, Recensioni

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Antonella Pizzo, Beatrice Salvioli, einaudi, La malnata, romanzo

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La malnata edito da Einaudi stile libero è uscito il 21 marzo in Italia e subito dopo in Francia, Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Turchia, Bulgaria. Uscirà a breve anche negli Stati Uniti e in Germania, inoltre è in corso di traduzione in 32 lingue; pare che il romanzo abbia incantato gli editori di tutto il mondo. L’autrice è la giovanissima Beatrice Salvioni, un’esordiente uscita dalla Scuola Holden, così si presenta sul sito della suddetta: https://thewall.scuolaholden.it/allievi/beatrice-salvioni/  Volevo che la mia vita fosse un’avventura. A nove anni ho messo calze e succo di mela in uno zaino e sono scappata. È durata fino al cancello di casa. Ma da allora ho cominciato a scrivere storie. Classe 1995, ho conseguito una laurea magistrale in Filologia moderna presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi sulle dinamiche della scelta nello storytelling interattivo. Frequento il secondo anno del college “Scrivere” presso la Scuola Holden di Torino. Ho vinto l’edizione 2021 del concorso per racconti inediti del premio Calvino con “Il volo notturno delle lingue mozzate”. Ho praticato scherma medioevale e ho scalato il Monte Rosa. Ho sempre pensato che la cosa peggiore della vita sia la sua assenza di senso narrativo. Per questo ho deciso di dedicarmi alle storie, qualsiasi forma decidano di assumere.

Il romanzo ha un inizio forte che inchioda alle pagine il lettore. L’ambientazione è  la riva del fiume Lambro. Tre sono i protagonisti della scena. Due ragazzine, Francesca e Maddalena. Il cadavere di un uomo riverso sopra il corpo di una delle due, è difficile scrollarsi di dosso un morto. Le due con molta fatica ce la fanno, infine cercano di nascondere il cadavere sotto una rete di tronchi  e rami, l’uomo ha sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore.

La storia è ambientata a Monza durante il periodo fascista, fra il 1935  e il 1936, nel periodo della conquista dell’Abissinia. Il romanzo racconta, per  voce di Francesca, l’amicizia indissolubile esistente fra lei e Maddalena Merlini detta la Malnata.  Francesca è un’adolescente di dodici anni  appartenente a una famiglia borghese e conformista, il padre produce berretti di feltro per l’esercito grazie all’interessamento sottaciuto della madre che ha una relazione extraconiugale con un fascista, il signor Colombo.  Maddalena è una ragazzina dal padre assente, appena più grande di Francesca, appartenente  a una famiglia indigente. La Malnata ha altri due fratelli, Edoardo, che per lei è come un padre, e Donatella, fidanzata con il figlio maggiore dei Colombo. Maddalena si sente responsabile delle sciagure occorse alla sua famiglia, come la morte del fratellino Dario, caduto dalla finestra di casa; l’incidente del padre, che ha perso una gamba in un ingranaggio della fabbrica.

Rosario Chiàrchiaro, personaggio nato dalla penna di Luigi Pirandello, è stato scacciato dal banco dei pegni perché era considerato uno Jettatore, al suo passaggio, tutti fanno i più svariati segni scaramantici: toccano il ferro, fanno le corna. Così dato che è considerato tale vuole  un riconoscimento ufficiale, al giudice D’Andrea chiede di volere una patente di iettatore. Rosario Chiàrchiaro era un malnato come Maddalena, come la cooprotagonista,  infatti quando la incontravano le donne dicevano diocenescampi e si facevano un frenetico segno della croce, gli uomini sputavano a terra. La malnata non aveva richiesto a nessuno la patente ma indossava quel soprannome come una corazza. Le accuse della gente diventano il suo senso di colpa ma anche la sua forza.

Francesca passando ogni giorno dal ponte del fiume Lambro vede questa ragazzina che gioca sulla riva del fiume con i maschi che si diverte, e ne è conquistata. I maschi che la seguono sono Matteo e Federico, il figlio della influente famiglia fascista dei Colombo, che con lei giocano sul Lambro e pendono dalle sue labbra.

Maddalena la affascina, vuole diventare sua amica, nonostante la Malnata sia disprezzata da tutti. Grazie alla complicità nata in seguito a un furto di ciliegie, finalmente le due lo diventano.  Tra i personaggi che gravitano attorno a Maddalena e a Francesca, oltre a Matteo e Federico, ci sono anche Tiziano, il fidanzato di Donatella, e Noè, il leale figlio del fruttivendolo. Francesca scoprirà grazie a  Maddalena l’importanza della libertà di opinione e la non sottomissione, l’importanza della verità. Imparerà a combattere gli abusi, il sessismo, l’oppressione,  a far sentire la sua voce. Imparerà a  ribellarsi alle piccole e grandi ingiustizie con cui convive.

La Malnata diventa il suo esempio di vita, il punto di riferimento. Sarà lei a raccontarle quello che accade al quando si diventa donne “ Noi femmine non ci dobbiamo schifare del sangue”. Le due si aiutano reciprocamente, Maddalena grazie a Francesca torna a scuola, sostenuta anche dal fratello Edoardo che ci tiene alla sua istruzione. La famiglia della Malnata avrà anche altre disgrazie oltre a quelle che già hanno l’hanno colpita, ma di tutto ciò la Malnata non ha colpa.

La storia di Maddalena e Francesca è una storia senza tempo. Ricorda per certi versi L’amica geniale di Elena Ferrante.  L’amicizia fra due ragazzine diverse per ceto e carattere, ma in generale anche il sentimento di amicizia e la lealtà di Noè, che supera ogni ostacolo ed è più forte di ogni interesse materiale in confronto a certi  rapporti  malati narrati nel romanzo. Il disagio delle ragazze nei confronti del proprio corpo che cambia con l’arrivo del mestruo, gli sguardi degli uomini che fanno sentire in colpa e che mettono in imbarazzo. Il fascismo sembra preso come spunto per via dell’ideologie  sessiste, la considerazione delle donne pari a zero, buone solo per fare figli, e l’ipocrisia imperante. Dopo l’inizio che fulmina, il romanzo procede pigramente, sembra che non accada nulla, e  quello che accade si svolge  con estrema lentezza. Poi il romanzo ha un balzo, prende il via, come se la parte centrale sia stata scritta in quel modo, affinché Francesca potesse avere la forza per arrivare più velocemente. Insomma il romanzo è un romanzo storico e di formazione, è  bello, avvincente,  veicola un messaggio importante,  mi è molto piaciuto, in pratica l’ho divorato, però, mio limite, non riesco ad afferrarne l’unicità nella storia e nell’impianto narrativo o in altri ambiti, tanto da fare sgomitare le case editrici per accaparrarselo (così almeno si legge in giro vedi ansa),  in libreria ce ne sono tanti di altrettanto ben scritti, ma ben venga anche questo, consiglio di leggerlo.  Antonella Pizzo

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Più voci per un poeta: Fernanda Romagnoli. Videopoesia

22 mercoledì Mar 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, Più voci per un poeta, Video

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Fernanda Romagnoli, Loredana Semantica, videopoesia

La poesia “Oggetti” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Tirando le somme” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Niente” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica

Quando ai più che non s’interessano di poesia si nomina Fernanda Romagnoli non è sorprendente che non la conoscano, ma è singolare che spesso nemmeno i poeti, chi scrive o legge poesia, l’abbia mai sentita nominare. Poche note biografiche.

Fernanda Romagnoli, nata a Roma nel 1916, ha compiuto studi musicali, diplomandosi in pianoforte dal Conservatorio di S. Cecilia a diciotto anni, da privatista, a venti anni consegue il diploma magistrale. Nel 1943, in tempo di guerra, pubblica la sua prima raccolta di poesie: Capriccio, con prefazione di Giuseppe Lipparini.

L’anno successivo si rifugia a Erba con la famiglia per poi ritornare a Roma nel 1946. Sposa l’ufficiale di cavalleria Vittorio Raganella, il matrimonio col militare la porterà dal 1948 a vivere in diverse città: Firenze, Roma, Pinerolo, e infine Caserta, dove resterà dal 1961 al 1965. Durante questo periodo lavora come maestra e, nel 1965 pubblica la sua seconda silloge: Berretto rosso.

Nonostante la qualità dei suoi scritti e la pubblicazione delle due raccolte di poesia Fernanda Romagnoli soffrì l’isolamento letterario stemperato dall’amicizia di Carlo Betocchi e Nicola Lisi e, infine, di Attilio Bertolucci, grazie al cui interessamento nel 1973, pubblicò la sua terza raccolta: Confiteor.

Ha collaborato con alcune riviste: La Fiera Letteraria, Forum Italicum, e, per la radio, a L’Approdo. Durante la guerra contrasse l’epatite che minò la sua salute tanto da dover essere sottoposta nel 1977 a intervento chirurgico al fegato. L’intervento comunque non la restituì la salute e rimase sofferente, nonostante ciò, anche per consiglio di Attilio Bertolucci e Carlo Betocchi, continuò a scrivere. Nel 1980 pubblica la raccolta considerata il suo capolavoro: Il tredicesimo invitato. Il libro le darà un minimo di notorietà. Gli anni seguenti sono segnati da una sempre maggiore difficoltà a lavorare e da ripetuti ricoveri. Successivamente i problemi di salute continuarono a tormentarla, conducendola anche a ricoveri, nel frattempo qualche poesia veniva pubblicata sul quotidiano Reporter nell’inserto Fine Secolo e sulla rivista Arsenale. Fernanda Romagnoli muore a Roma all’età di settant’anni, presso l’Ospedale Sant’Eugenio, il 9 giugno 1986

Le sue raccolte

Capriccio, Roma, 1943
Berretto rosso, Roma, 1965
Confiteor, Guanda, Parma, 1973
Il tredicesimo invitato, Garzanti, Milano, 1980
Mar Rosso, Il Labirinto, Roma, 1997
Il tredicesimo invitato e altre poesie, Libri Scheiwiller, Milano, 2003

Più di recente, Interno poesia, 2022, “La folle tentazione dell’eterno”.

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Splendi come vita di Maria Grazia Calandrone

16 giovedì Mar 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, Maria Grazia Calandrone, romanzo, splendi come vita

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E le parole vanno via da noi, dalla cera impassibile dei nostri volti, e attivano le leve submarine di altri esseri umani, uguali a noi. Che splendono, talvolta, come noi splendiamo. Senza saperlo. (p. 13)

Maria Grazia Calandrone orfana due volte, privata dei genitori biologici, poi di quelli adottivi, nel romanzo Dove non mi hai portata edito da Einaudi nel 2022, proposto da Franco Buffoni al premio strega 2023 “per la tenuta stilistica e la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco”, indaga sugli avvenimenti riguardanti la vita e la morte dei suoi genitori biologici. Oltre al succitato Dove non mi hai portata la Calandrone ha scritto nel 2021, edito da Ponte alle Grazie, il romanzo Splendi come vita, che riguarda la sua vita vissuta accanto alla madre adottiva.

Maria Grazia Calandrone, poetessa notevole, ha scritto sotto forma di romanzo una storia autobiografica, da lei definita lettera d’amore alla madre, narrata in prima persona dove racconta, tramite frammenti, immagini e inquadrature, rievocazioni, nel linguaggio poetico a lei congeniale, il complicato e difficile rapporto fra lei e la madre adottiva: Consolazione, detta Ione. Nata nel 1916, era moglie di un parlamentare comunista, insegnante di lettere, colta ed elegante, bionda e bella, così come appare nelle foto e nella copertina del romanzo con la piccola Maria Grazia in braccio. Non ho ancora letto Dove non mi hai portata e, per chi non avesse letto nessuno dei due romanzi, probabilmente è preferibile leggerli entrambi iniziando da Splendi come vita in modo da aderire al tempo della storia e alla stesura della Calandrone.
Un ritaglio di un famoso giornale dell’epoca datato 10 luglio 1965 riporta la notizia che, dopo aver abbandonato nel Parco di Villa Borghese la propria figlia Maria Grazia di 8 mesi, una donna si era tolta la vita buttandosi nelle acque del Tevere assieme al padre naturale della bambina, anche lui annegato. Lei è Lucia, bruna Mamma biologica. Maria Grazia è figlia dell’amore quindi per la società di allora figlia della colpa. La notizia del ritrovamento nel parco della piccola e indifesa Maria Grazia fa scalpore ed emoziona la gente, il giornale di cui sopra scrive in neretto che la bimba NON HA PIU’ NESSUNO. Continua a leggere →

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“Verranno a perderci in trionfo” di Francesco D’Angiò

07 martedì Mar 2023

Posted by emiliocapaccio in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, Segnalazioni ed eventi

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Emilio Capaccio, Francesco D'Angiò, Verranno a perderci in trionfo

La poesia di D’Angiò mi viene incontro sulla via antica per Matera forse ancora di quel lontano Regno di Napoli, in un giorno insperato e insospettabile. Ha arcate sopraccigliari di sassi e polvere, radici di lavanda negli occhi, cappellone di feltro alle ubbie del vento, pizzetto folto d’autorevole arte e tono gentile nella compostezza del proprio dolore. Parla, tra gigari e favagelli di riarse plaghe dell’animo umano, una lingua vaticinante che quasi non ammette titolo ai suoi molti appelli lirici suddivisi in quattro sezioni nella raccolta “Verranno a perderci in trionfo”, G.C.L. Edizioni, 2022. Parla e come scrive il suo prefatore, Paolo Polvani: “nella sua asciutta compostezza non trascura le ragioni di una resa estetica convincente, persegue un’idea di pulizia e nitore, resta immune da qualsiasi tentazione retorica e non agghinda, non tende ad abbellire il verso, non ricorre ad espedienti manieristici e tuttavia, in virtù di quella frequentazione assidua con la poesia dei maestri, riesce, in maniera spontanea e con grande sincerità, a toccare ottimi livelli e si lascia leggere con piacere”.

Emilio Capaccio

TESTO N. 1

Rara, dimora qualche quiete
che non delude,
ed è subito un udire di grigiore
che rifà il giorno.
Ricompare anche
l’infruttuosa saggezza
di chi non ha mai ingoiato
un raggio di sole.
Si regge appena sul fondo del cielo,
l’ancora che ci tiene al mondo,
e la mutilata credenza
di farci bastare i resti
di ogni lembo di terra.
L’immobilità di quell’infinito
concede tregua d’inesistenza,
finché non s’appresta l’ora
che non passa per il tempo.
Ed uno spreco d’incompatibilità
ci avrà seminato senza stenti.

TESTO N. 19

La sera, gli arenili cominciano a dimenare
il ritardo della luce,
perché non vuole andare via
la perdita di coscienza
che è soltanto nella corsa dell’insoddisfazione.
L’elica che seleziona il vento,
si attenua su quello in ritardo,
e la scoperta di una conchiglia sperduta,
dipende dall’ora di chiusura della sabbia.
Come la scoperta di una mezza felicità
dipende dalle cose che devono darsi via,
lasciate sui tavoli sparecchiati in fretta.

TESTO N. 9

Ho paura che d’improvviso
vada via la luce,
mentre cerco il sale nella tua tasca
per benedire lo spessore d’aria
che si trova bene
senza toccarci.
Ho degli uomini e delle donne
che sanno farsi di solitudine
come se tornassero a baciarsi,
fino a quando le striature della loro pelle
si fanno comode per il tacito consenso
di due richieste,
vedere il mare e piangere molto.
E dell’uno o dell’altro
non trascurarne i dettagli,
sia ad altezza di piena
che di sfusi abbagli,
concedendo al cambio di stagione
il punto più confidenziale del nostro esistere.

TESTO N. 104

Dovremmo diventare campo
appena seminato
briciole per i passeri
prima della neve,
al riposo della migrazione, uno stagno.
E punta estrema di roccia
dall’altra parte di un’ultima thule
e poi nessun ritorno,
non si racconta ciò che deve restare.
Una luna gonfia a dominare l’occhio nero
del buon Dio, dovremmo essere,
una ferita che non sana
il peccato originale. Salvare la lacrima
che scioglie la melma,
la frase d’amore al nostro carnefice,
che nonostante tutto
da una stessa bocca si è donata.

Francesco D’Angiò è nato a San Vitaliano (Na) nel 1968. Esordisce nel 1997 con la pubblicazione di un racconto edito da “Alea Editrice Bari” dopo aver vinto un concorso per esordienti. Riprende il filo interrotto della narrazione con la pubblicazione del romanzo breve “Lo sconosciuto” (Planet Book, 2020). L’amore per la poesia sin dall’età adolescenziale, così come varie volte accade, lo porta a partecipare a vari concorsi letterari, riservandogli piazzamenti lusinghieri. Nel 2021 pubblica la prima raccolta di versi dal titolo “Clessidre orizzontali”, Edizioni Tripla EEE. Nel 2022 pubblica la sua seconda raccolta: “Verranno a perderci in trionfo”, G.C.L. Edizioni. Attualmente vive a Matera.

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Mi limitavo ad amare te

02 giovedì Mar 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, Narrativa, romanzo, Rosella Postorino

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Il nuovo romanzo di Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te, edito da Feltrinelli nel 2023 p.352, proposto per il Premio Strega 2023 da Nicola Lagioia, è un romanzo ispirato a vicende realmente accadute, così come il precedente e bellissimo Le assaggiatrici  ambientato in Germania durante la seconda guerra mondiale, che trae ispirazione dal racconto di Margot Wölk la quale a 96 anni confessò di essere stata una delle assaggiatrici del cibo di Hitler nella caserma di Karusendorf. Le assaggiatrici edito nel 2018 da Feltrinelli ha venduto, fra l’Italia e l’estero, 300.000 mila copie e ha vinto il Premio Campiello 2018.
Le vicende narrate dal romanzo Mi limitavo ad amare te partono da Sarajevo durante il conflitto della Bosnia – Erzegovina degli anni ‘90. Il racconto inizia nel 1992 e prosegue fino al 2011, durante una guerra combattuta vicino casa nostra ma che forse buona parte degli italiani ha vissuto con un certo distacco, come se gli orrori accadessero  lontano anni luce da noi e non nell’altra sponda dell’Adriatico. I protagonisti del romanzo, Omar, Senadin, Ivo, Danilo e Nada, non sono realmente esistiti ma le loro vicende romanzate sono alquanto verosimili. Nel 1992 Sarajevo era stata posta sotto assedio e veniva bombardata da mesi, mancavano luce, acqua e cibo. Gli educatori e i responsabili dell’orfanotrofio  Ljubica Ivezić dopo lo scoppio di una bomba nell’istituto, che aveva causato il ferimento di due bambini, decisero che i minori ospitati venissero portati in salvo in Italia. Così gli orfani e bambini disagiati, che vivevano nella struttura, furono fatti salire su un pullman per Spalato per essere condotti in un luogo sicuro lontano dalla guerra. Da Spalato furono trasferiti in aereo a Milano e quindi divisi fra Rimini e Monza per trascorrervi le vacanze estive. Continua a leggere →

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Bly di Melania Soriani

23 giovedì Feb 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, bly, disparitadigenere, disparità, femminismo, giornalismo, inchiesta, melaniasoriani, mondadori, romanzo

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Il romanzo Bly di Melania Soriani,  uscito nel 2022 ed edito da Mondadori, narra le vicende della giornalista statunitense Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran, vissuta tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, in un periodo in cui alle donne non era consentito esercitare quelle professioni considerate prettamente maschili, secondo la mentalità dell’epoca, ma solo quelle attinenti al cosiddetto “universo femminile”. Pizzi, merletti, ricamo, cura della casa e della famiglia, erano attività alle quali dovevano dedicarsi le donne dei ceti agiati. Operaie in fabbrica, sarte, serve, contadine, braccianti, erano attività proprie delle donne del ceto popolare. Le altre professioni, l’avvocatura, la medicina, il giornalismo, la partecipazione ad attività politiche e molte altre ancora, erano riservate esclusivamente agli  uomini, in quanto le donne erano ritenute incapaci per natura di svolgere compiti intellettivi. Elizabeth Jane, tredicesima dei quindici figli del giudice Michael Cochran, dei quali una diecina nati dall’unione con la precedente e defunta moglie,  nacque a Cochran’s Mill in Pennsylvania nel  maggio del 1864.

Quando la bimba nacque il padre si mostrò  molto orgoglioso di presentare alla famiglia quel fagottino rosa, così  tanto rosa che la bimba fu soprannominata Pink. La famiglia  all’apparenza era benestante, infatti il padre, oltre ad essere un giudice, era anche un discreto uomo d’affari. La piccola Pink cominciò a essere interessata ai libri  ancor prima di saper leggere, disdegnava i giochi  delle bambine e voleva giocare con i fratelli. Ribelle e testarda nascondeva i volumi della biblioteca del giudice per poterli guardare di nascosto. Alla morte improvvisa del capofamiglia i  Cochran caddero in disgrazia, furono costretti  a lasciare la casa dove avevano vissuto fino ad allora. Elizabeth dovette  interrompere gli studi, la madre fu costretta a risposarsi perché serviva lo  stipendio di un marito. L’uomo che sposò però si rivelò essere violento e ubriacone,  la sfruttava, la picchiava costantemente.  In  seguito, grazie alla determinazione della figlia Elizabeth, la madre ebbe il coraggio di divorziare. A seguito della lettura di un articolo di un giornale locale, il Pittsburgh Dispatch, dal titolo A cosa servono le ragazze,  nel quale si invitavano le donne a non lavorare ma a stare  chiuse in casa a badare alla famiglia, Elizabeth presa dall’indignazione e dal furore femminista, dal senso di giustizia che la caratterizzava, secondo il quale tutti gli esseri umani sono uguali e hanno uguali doveri e diritti, siamo essi uomini o donne, inviò una vibrante lettera di protesta al giornale  firmandosi  come Lonely Orphan Girl. Dopo vari abboccamenti e traversie, il direttore riconobbe l’indubbio valore intellettuale e il coraggio di Elizabeth, anche perché il giornale aveva aumentato la tiratura, e  assunse la ragazza. Si decise che Elizabeth avrebbe utilizzato lo pseudonimo di Nellie Bly. Così iniziò la sua fortunata carriera di giornalista investigativa. Coraggiosa e intelligente, fingendosi operaia e facendosi ingaggiare da una fabbrica,  scoprì  e denunciò sul giornale per il quale scriveva gli atti di violenza, gli  abusi e le  condizioni inumane del lavoro a cui erano costrette le operaie delle fabbriche. Questa nuova forma di giornalismo investigativo, inesistente prima di lei, divenne  presto  un modello di riferimento nel mondo del giornalismo che ancora oggi viene praticato. In seguito si trasferì a New York e fu assunta dal New York World di Joseph Pulitzer,  col patto che  conducesse un’inchiesta sulle condizioni del reparto femminile dell’ospedale psichiatrico City Mental Health Hospital di Manhattan. Questa volta Bly si finse una povera donna smemorata. La donna venne internata in manicomio per parecchi giorni, e si rese testimone diretta delle terribili e inumane  condizioni in cui venivano trattate le pazienti recluse. Bly nonostante pensasse di essere indenne da romanticismi e avesse deciso che il matrimonio, così come era considerato all’epoca, non era adatto a lei, si innamorò  di un uomo affascinante che diceva di amarla.  Quando scoprì che era un uomo sposato e con figli, lei ne soffrì molto. Intraprese da sola un viaggio che la portò a visitare il mondo in 72 giorni emulando  Fogg  del giro del mondo in 80 giorni di Giulio Verne, il quale, incuriosito e ammirato,  la volle conoscere durante una tappa del suo  viaggio.

Il libro è molto scorrevole e si legge con piacere, con una scrittura chiara e leggera nonostante la tematica importante, la scrittrice fa parlare Bly in prima persona. Milena Soriani ci racconta la storia di questa donna speciale e moderna, anche se vissuta un secolo fa.  Nellie Bly si racconta e non parla solo del suo coraggio  e la sua determinazione, ma anche  delle sue tante fragilità e delle sue debolezze e delle sue paure.  Nellie non è una wonder woman che indossa un costume sfavillante e sbaraglia in men che non si dica gli avversari, è una donna comune, con pregi  e difetti, ma che ha avuto volontà ferrea.  Indomita e combattiva non è mai arretrata davanti agli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nel perseguire le proprie passioni, non  lasciandosi mai sopraffare dallo scoramento. Con intelligenza, con serietà, con fermezza, ha perseguito i propri scopi credendo nella giustizia e nell’uguaglianza. A Nellie Bly noi donne dobbiamo essere  grate, così come a Melania Soriani che ci ha raccontato la sua storia con amore e il rispetto che questa figura merita. Le donne hanno combattuto per decenni per la libertà e per il riconoscimento dei propri diritti, con convinzione, con passione, lottando per l’affermazione. Ma la libertà delle donne viene costantemente  minacciata,  e il pensiero va alle donne iraniane, prigioniere e vittime, e a tutte le donne che subiscono abusi e violenze. Ci sono tante Bly che combattono per la disparità di genere, per la libertà e per i diritti con coraggio, senza arrendersi, pagando spesso con la vita.

Melania Soriani è nata a Roma nel 1965 e vive a Carrara. Ha pubblicato diversi racconti in antologie e riviste. Con il romanzo per ragazzi In viaggio con Amir si è aggiudicata il premio Selezione Bancarellino 2019.

Antonella Pizzo Letture e scritture e noticine di una finta critica 

mpluchi@yahoo.it

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Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi

09 giovedì Feb 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, ferroviedelmessico, Gianmarcogriffi, Narrativa

R

Gian Marco Griffi è nato in Piemonte  e ha studiato filosofia all’Università di Torino. Ha  pubblicato Più segreti degli angeli sono i suicidi (bookabook, 2017) e Inciampi (Arkadia, 2019).

Ferrovie del Messico è il suo nuovo romanzo, edito nel 2022 da Laurana Editore con le illustrazioni di Silvia Perosino e la post-fazione di Marco Drago, inserito nella collana Fremen diretta da Giulio Mozzi, il quale ha speso molte energie  per la promozione nei social, nonché per la distribuzione del romanzo nelle librerie nelle quali mancava. Mozzi ha avuto ragione nel farlo, il romanzo meritava di essere letto. Ha già vinto il premio Augusto Monti, Città di Leonforte, si è aggiudicato il primo posto classifica di qualità L’indiscreto, ha vinto il premio Libro dell’anno di Fahrenheit Rai 3, il premio Zeno,  il Premio Mastercard 2022 per il quale allo scrittore è andato un riconoscimento di 10 mila euro, ha poi devoluto il premio in solidarietà  di 100 mila euro a Busajo, onlus che opera in Etiopia per il recupero delle bambine e dei bambini di strada, Caritas Italiana, Save the Children e Progetto Rwanda. Fa parte dei primi 15 romanzi candidati al Premio Strega 2023, è stato presentato da  Alessandro Barbero, e ha buone possibilità di essere il vincitore  di quest’anno, perché il romanzo sta ricevendo molte critiche favorevoli da parte dei lettori e dagli addetti ai lavori.

Ferrovie del Messico è un tomo di oltre 800 pagine in carta sottile, è alto quasi 5 centimetri, pesa di 603 grammi. Quando l’ho acquistato, incuriosita   dal tamtàm  dei social, pensavo potesse avere le caratteriste giuste per andare a fare compagnia agli altri miei due tomi di quasi ugual peso e misura che da decenni mi riprometto di finire di leggere, e cioè i cominciati e mai finiti: Ulisse di Joyce  e Orcynus Orca di Stefano D’arrigo. Invece così non è stato, il romanzo l’ho iniziato e finito. Griffi è una penna eccezionale, capace di scrivere un capolavoro di amara ironia ma nel contempo dolce e che  fa sorridere, pagine ricche di divertimento ma anche di profondità. Apparentemente prolisso ma non lo è, infatti non è mai noioso, anzi la scrittura è avvincente e coinvolgente.

Questa la trama del romanzo:

Ad Asti, nel 1944, Francesco Magetti, detto Cesco, soldatino figlio di tabaccai,  giovane  milite nella Guardia Nazionale repubblicana ferroviaria della Repubblica di Salò, soldato ma dentro il suo cuore idealista illuso e  antifascista, arruolato  per necessità e per paura, eroe sfigato, viene incaricato dal suo aiutante capo di redigere, nel termine di una settimana, la mappa delle ferrovie del Messico. Lo strano incarico proviene dalle alte istituzioni naziste e riveste carattere, oltre che di urgenza, anche di rilevante importanza per la Germania. Tutto nasce a Berlino da uno stupido equivoco e sciocca convinzione. Un libro, che racconta delle mirabolanti avventure accadute a Santa Brígida de la Ciénaga, una cittadina del Messico,  nonché lungo le ferrovie messicane, viene donato in cambio della sua gentilezza, da una nobildonna ebrea, a Bardolf, un umile addetto ai suicidi assistiti. Il libro assume un’importanza enorme per le istituzioni naziste, così come la ricerca della mappa delle ferrovie messicane di cui il libro era dotato ma che manca fisicamente. Secondo i nazisti in quella cittadina si nasconde l’arma risolutiva, un’arma diabolica e terrificante, spettrale, una bestia selvaggia e leggendaria. La ricerca di questa mappa è il nodo principale del romanzo e da cui si diramano le altre storie che a loro volta si diramano in altre storie, come il giardino dei sentieri che si biforcano del racconto di Borges, citato nel romanzo più volte. Cesco, che soffre di un forte mal di denti, non ha idea di come procurarsi questa mappa e inoltre ha una paura matta dei dentisti (l’unico dentista di cui non aveva paura era stato arrestato dai fascisti)  il mal di denti lo accompagnerà per tutta la sua avventura, mal di denti che a detta dell’autore in un’intervista alla Gazzetta d’Asti indica un male oltre che fisico anche interiore “…ho provato a trasporre così, con un dolore fisico, il suo male oscuro, il male interiore di Magetti e dell’uomo che non riesce a decidere, che non riesce a trovare la forza per affrontare il male circostante e neppure i problemi, anche piccoli, che gli si presentano. È anche l’emblema dell’uomo di oggi, gettato nel mondo in balia di guerre e tragedie climatiche, paralizzato e incapace di fare anche solo un piccolo gesto in grado di migliorare le cose”. Gazzetta D’Asti 16/09/2022

Quindi un bel mal di denti interiore che, in modo più o meno evidente e consapevole, forse tutti noi abbiamo.  In biblioteca, durante le sue ricerche, conosce Tilde Giordano bella, strana,   folle bibliotecaria, con la passione della fotografia,  della  quale Cesco Magetti, eroe per caso, si innamorerà perdutamente. Cesco scopre tramite Tilde che esiste un’opera dello scrittore messicano Gustavo Adolfo Baz, dal titolo “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México” con illustrazioni di Edoardo Gallo. Il libro però non si trova in biblioteca, è stato dato in prestito. Comincia così la caccia a  questo fantomatico volume che dovrebbe risolvere i problemi di Cesco  e dei nazisti.

I personaggi descritti  sono personaggi concreti  e vivi, tragici, mangiano, soffrono, amano, ruttano e bestemmiano con bestemmie inventate,  usano termini dialettali desueti e neologismi, ma nel contempo sembrano immaginari, immaginifici, magici, sembrano spettri, delle presenze vaganti, variegate e misteriose: sono poeti frenatori, partigiani, fascisti, viaggiatori, agenti segreti, prostitute, preti, cartografi, becchini e  costruttori di ferrovie.

Si chiamano Epa, cartografo samoano che compila mappe per trovare chiavi, per fare l’amore, per cercare un gelso al cui interno è cresciuto un ciliegio. Angelo Zanon, detto Angelito, detto Lito, che assieme al suo compagno muto e poeta Mario Emilio Camillo Bertone, detto Mec, nel cimitero di San Rocco fanno i becchini addetti alla bollitura dei cadaveri, perlopiù provenienti dalla Germania, con i quali si forma una polvere di ossa che i nazisti in Germania usano per produrre dei colori per dominare il mondo e le masse, inducendo alla felicità, alla disperazione, a seconda del colore si costringe il popolo a comportarsi in un certo modo. Possiedono molti libri,  un distributore di caffè, un organizzatore, un automa, una sorta di computer antesignano, entrambi sono ex costruttori di ferrovie nel Sudamerica e la sanno lunga su Gustavo Baz e Santa Brígida. Ettore e Nicolao, alle costole di Cesco Magetti, Edmondo Bo, poeta frenatore, alcolista e oppiomane, il senza cuore e cinico SS-Obestrumbannführer  Hugo Kraas, giocatore di golf,  che possiede un samovar trovato in una dacia nei pressi di Mosca. Bardolf Graf, collega che Cesco non incontrerà mai. E come non ricordare il bambino Feliciano ucciso e abbandonato sul ciglio di una strada a Saucillo de Guadalupe, il primo cadavere sotterrato dal poeta muto Mec Bertone che con infinito amore gli scava la fossa con le mani e lo adotta come  figlio dopo morto.

Cesco è costretto a darsi da fare per questa fatidica mappa e dopo varie vicissitudini e avventure varie,  su indicazione dell’aiutante capo, colloca casualmente Santa Brígida, cittadina probabilmente mai esistita, in un punto qualsiasi della mappa.

Ferrovie del Messico è un romanzo d’avventura, ironico, epico, idilliaco, orrifico, assurdo, a tratti fantasioso e fantastico, iperrealistico e fantascientifico, comico e drammatico, antico e moderno, utilizza tanti registri, i capitoli sono brevi, si passa da un luogo all’altro, da un personaggio all’altro, da un tempo all’altro, in modo da non annoiarsi mai, ma senza mai perdersi nelle varie diramazioni della storia e nei vari sentieri.   Griffi è un  autore che  non assomiglia  a nessuno degli scrittori italiani, almeno a nessuno di quelli che ho letto. Si dice negli ambienti letterari  che si sia ispirato allo scrittore cileno Roberto Bolaño Ávalos, a Pynchon, Joyce, Borges, ma ogni scrittore che si rispetti porta nella sua scrittura tracce delle letture, che vengono poi elaborate dal proprio sentire  assumendo autonomia e originalità,  diventando altro. La sua scrittura è moderna, libera,  si discosta dal piattume e dall’ordinario a cui ci stiamo assuefacendo. Con le dovute eccezioni e per la maggioranza,  ci sono parecchi scrittori bravi, tutti bravi ma anche tutti simili, così come i poeti e così come i cantanti, quindi, quando si legge una scrittura che si discosta, una voce che emerge e il cui timbro è riconoscibile, per un  lettore comune è una festa.

Griffi attacca i poteri,  nazista e fascista,  lo fa rendendoli ridicoli, facendone una caricatura. L’autore è capace anche di disegnare non solo i tratti grotteschi dei personaggi ma rappresentare anche i loro sentimenti più nobili, quando questi esistono. Mi piace riportare queste due pagine che riguardano il bambino Feliciano. E’ il becchino poeta Mec che parla dopo aver seppellito quel cadavere del bambino abbandonato sul ciglio di una strada. Griffi non è solo ironia, ma è anche poesia. Come egli scrive e come è  riportato sul retro della copertina del romanzo: “Essere lirici e ironici è la solo cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta”.

(da pag 331 e 332)

Sugli appunti per una poesia che intendo scrivere annoterò che il tre giugno millenovecentoventinove ho sollevato il capo di un bambino morto sul ciglio di una strada; annoterò di aver pensato che se esiste un Dio dei poveracci, e se l’anima di Feliciano è in sua compagnia da qualche parte, insomma se Feliciano è ancora qualcosa, in un’altra forma, si stupirebbe se qualcuno si sia preso cura della sua forma precedente, quella corporea. Annoterò che Feliciano non è più, senza forma come le nubi della tempesta; annoterò che Feliciano è vissuto sette anni su questo mondo senza altra ragione se non quella di devastare il mio cuore un giorno di primavera del millenovecentoventinove, in un villaggio sperduto del Messico.

(cut)

Annoterò  che ho scavato fino a farmi sanguinare le mani, e che l’ho fatto per potermi ascrivere al genere umano. Giacché voglio credere che il genere umano non sia ciò di cui parla Lito, quella cieca indifferenza dell’uno per l’altro, quell’odio che sfocia in battaglia e in guerra.  Annoterò che ho scavato una fossa per seppellire tutti i bambini del mondo vissuti senza una ragione, quelli per cui ogni giorno è semplicemente un giorno di agonia in più; che ho scavato una fossa per far sì che contenesse tutti i corpi affamati, annegati, torturati, dimenticati, profanati.

Annoterò che quel giorno avevo le lacrime agli occhi e le parole mi uscivano di bocca come sputi; Annoterò che la terra odorava di piscio, violette e polvere, di merda di mulo e sterpaglie bruciate, annoterò che ho udito il vento tra le colline e ho immaginato che fosse la voce di Feliciano frammentata in mille brevi mormorii; annoterò che quel giorno ho seppellito mio figlio: per questo sulla croce che commemora il luogo della sua sepoltura ho inciso il suo nome, Feliciano, e il mio cognome, Bertone.

Antonella Pizzo letture e scritture e noticine di una finta critica

 

 

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“Atlante delle inquietudini” di Francesco Enia

26 giovedì Gen 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, NarЯrativa, Recensioni

≈ 1 Commento

enia

Pubblicato nel 2022 per le edizioni Ares, “Atlante delle inquietudini” è opera di Francesco Enia, cardiologo palermitano con la passione per la fotografia e la scrittura.
Fotografia e scrittura sono arti sorelle,  entrambe raccontano storie, intendono rappresentare la realtà, la vita, la morte, la sofferenza, la gioia, a volte mostrando ciò che non si vede e nascondendo ciò che si vede, facendosi luce e oscurità, essendo esse negativo e positivo contemporaneamente. Il fotografo Tony Gentile, che ha curato la prefazione del romanzo, cita Luigi Ghirri:

“…nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È il rapporto tra luce buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è vedere e quello che non deve essere visto.”
Gentile è famoso per lo scatto cult che rappresenta, vicini, complici e sorridenti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fotografati appena un paio di mesi prima della strage di Capaci. Continua a leggere →

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Ossessione e presente immobile in “LA GELOSIA” – Alain Robbe Grillet

12 mercoledì Gen 2022

Posted by maria allo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA

≈ 3 commenti

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Alain Robbe Grillet, La gelosia, Maria Allo

alain R

Alain Robbe Grillet: Brest, 18 agosto 1922 – Caen, 18 febbraio 2008

L’attività letteraria è stata negli anni Cinquanta e Sessanta caratterizzata da alcuni movimenti d’avanguardia animati da un’elevata carica di contestazione sociale e morale al sistema borghese: un elemento, questo, nuovo rispetto alle avanguardie storiche di primo Novecento e che in qualche modo prelude al Sessantotto. Se l’avanguardia storica infatti, d’inizio secolo (Dadaismo, Futurismo, Surrealismo) sognava di creare un linguaggio nuovo, la Neoavanguardia si propone, di demistificare il linguaggio ordinario, distruggendo all’interno i modi del conoscere e del comunicare. La Francia è il paese in cui più intenso è stato il dibattito teorico, stimolato dalla vivacità delle ricerche culturali (Esistenzialismo, Neomarxismo) e dalle nuove scienze umane (soprattutto lo Strutturalismo e l’Antropologia), fiorite appunto nel clima culturale di quegli anni segnato dall’Esistenzialismo e dalla guerra fredda. A questo sfondo culturale si possono ricondurre le opere di autori diversi, quali Jean-Paul Sartre, Arthur Adamov, Eugène Ionesco, Samuel Beckett, Jean Genet, Ferdinand Arrabal. Le loro opere tendono a non trasmettere alcuna informazione diretta né valore esplicito e il palcoscenico, in cui questi autori mettono in scena il dramma dell’uomo contemporaneo e la sua ricerca di un significato per l’esistenza, diviene il riflesso di un mondo interiore scisso, disperato. Dopo la stagione del teatro dell’assurdo, (fenomeno sostanzialmente francese e parigino che negli anni Cinquanta ottenne un vivo successo in tutta Europa, anche se si sarebbe esaurito nell’arco di un quindicennio) è venuta quindi la messa in discussione, anche in narrativa, del romanzo tradizionale. Oltre alle esperienze trasgressive di Georges Bataille (1897-1962), scrittore e critico, che affronta temi estremi (erotismo e violenza) in forme eccessive, oltre alle teorizzazioni di Maurice Blanchot che definisce la letteratura uno spazio di “orientamento” e di “morte”, si afferma il Nouveau Roman[1] école du regard, (scuola dello sguardo).Si tratta in realtà del tema dell’alienazione dell’uomo nella società di massa, già al centro del teatro dell’assurdo, riproposto in forma narrativa, densamente sperimentale. Di fronte all’improvvisa fortuna editoriale dell’école du regard, la critica italiana inizia a interessarsi al Nouveau Roman e al soggettivismo radicale della scrittura, come espressione della reificazione indotta dalla società dei consumi. Il caposcuola riconosciuto del Nouveau Roman francese, (termine coniato da Emile Henriot) è Alain Robbe-Grillet che ne ha teorizzato le linee in Una via per il romanzo futuro (1956). Appartengono alla corrente del Nouveau Roman, coerente con la crisi del XX secolo, altri esponenti come Nathalie Sarraute, Michel Butor, Claude Simon e Marguerite Duras solo per citarne alcuni. Nel romanzo come “ricerca” (la definizione è di Butor), l’uso insistito del monologo interiore si affianca alla particolareggiata descrizione realistica per respingere ogni funzione rappresentativa. Il punto d’arrivo è una “creazione scritturale”, una rete di segni (parole, immagini) che producono senso di se stessi. Si tratta di un rovesciamento dell’impostazione tradizionale del romanzo, inteso come impassibile trascrizione di oggetti ed eventi, liberati da qualunque interpretazione che vi sovrapponga un senso preordinato. Negli anni Cinquanta-Sessanta, in Francia il movimento del Nouveau Roman ha fatto ricorso a tecniche narrative di avanguardia per negare la possibilità di dare un senso a una narrazione. Il primo e più celebre scrittore è l’argentino Borges, che in molte variazioni ha riproposto l’immagine del mondo come enigma e labirinto. Intorno a Borges si è raccolto un gruppo di scrittori argentini che condividono con il maestro le ardite sperimentazioni intellettuali. In anni più recenti una scrittrice ungherese di lingua francese, Agata Kristof, unisce originalmente il tema dell’inafferrabilità delle vicende umane a una visione lucidamente crudele e disperata della vita. Il Nouveau Roman si è espresso nel più vasto ambito di un’avanguardia attorno alla rivista Tel Quel, fondata nel 1960 da un gruppo di giovani intellettuali intenti a costruire una “scienza materialista delle pratiche significanti” fino a fare ricorso all’idea che la letteratura deve negarsi a ogni traduzione di senso per divenire uno strumento rivoluzionario. Alain Robbe-Grillet scrittore, saggista, regista e sceneggiatore, membro dell’Académie francaise nel 2004, alla presidenza di Maurice Rheims, nell’ultima fase, da Progetto per una rivoluzione a New York (1970), è passato da un’idea di romanzo come strumento conoscitivo dei meccanismi psichici, a un romanzo gioco, che sfrutta tutti i luoghi comuni più banali della tradizione romanzesca in una ludica combinazione e ha influenzato la letteratura europea tra cui anche gli italiani Edoardo Sanguineti e Ferdinando Camon. Notato e sostenuto in particolare da Maurice M. Blanchot, e Roland Barthes, ha pubblicato Le gomme (1953), La gelosia (1957), Nel labirinto (1959).la gelosia 978880614998GRA geipeg

Questa trilogia, una sorta di manifesto letterario della poetica lo rende celebre, ma se facciamo i conti della sua uscita, il libro La gelosia non è quello che chiamiamo un best-seller, che vende rapidamente, ma è un long-seller, che ha superato di gran lunga i best-seller del mondo (Les editions de Minuit). Il titolo gioca sul duplice significato di gelosia: un tipo di persiana a stecche, che permettono di osservare l’esterno dall’interno senza essere visti, e una passione che spinge a osservare ossessivamente i comportamenti della persona sospettata di tradimento. Il romanzo ha tre personaggi: una voce narrante che non dice mai “io”, la moglie di questo narratore innominato (chiamata “A”) e un comune amico che frequenta la loro casa, Frank. Si svolge ai tropici. La scena è un bungalow signorile situato in un paese coloniale, al centro di una piantagione di banani. In prima pagina si trova la planimetria di un’abitazione, designata a regola d’arte e la descrizione dell’edificio prosegue lungo tutto il libro, alternandosi alla descrizione morbosa delle piantagioni che lo circondano e alle ambigue allusioni di un probabile tradimento della moglie con l’amico della voce narrante che registra minutamente ogni particolare visivo. il vero protagonista, assente, onnipresente e onnisciente, è il narratore silenzioso che dà il titolo al libro “la gelosia” in quanto osservatore ossessivo e sospettoso della relazione fra sua moglie e il vicino di casa. I romanzi di Alain Robbe-Grillet propongono un restringimento del campo visivo per una più autentica ricreazione del reale. Bisogna dunque superare il racconto lineare, cronologico, incentrato sull’eroe protagonista, va abolita, come teorizza Robbe-Grillet, la psicologia tradizionale, per adottarne un’altra, in cui è l’uomo ad abitare le cose e i suoi sentimenti non sono dentro, bensì fuori di lui. Le circostanze esterne non sono dunque mai neutrali, ma si caricano delle segrete nevrosi e angosce dell’individuo. La narrativa di Robbe-Grillet in La gelosia vuole risalire al livello elementare della percezione, in cui gli oggetti del mondo incontrano uno sguardo. È un momento originario, anteriore alle interpretazioni concettuali con cui diamo abitualmente un senso al mondo. Scrive l’autore nel testo programmatico Una via per il romanzo futuro “aprendo gli occhi all’improvviso, abbiamo provato una volta di troppo, lo choc di quella realtà testarda di cui facevamo finta di essere venuti a capo. Attorno a noi, sfidando la muta dei nostri aggettivi animisti o sistematori, le cose sono là. Riporto in parte un passo centrale del romanzo:

V. “Ora la casa è vuota”

Ora la casa è vuota. A. è scesa in città con Franck, per fare alcune spese urgenti. Non ha precisato quali. Sono partiti di buonissima ora, per disporre del tempo necessario alle loro faccende e tornare tuttavia la sera stessa alla piantagione. Avendo lasciato la casa alle sei e mezzo del mattino, contano d’essere di ritorno poco dopo mezzanotte, il che rappresenta diciotto ore d’assenza, di cui otto al minimo di viaggio, se tutto va bene. Ma i ritardi sono sempre da temere, con queste cattive piste…. È facile far scomparire questa macchia, grazie ai difetti dei vetri molto grossolani della finestra: basta portare la superficie annerita, per approssimazioni successive, in un punto cieco della lastra.
L’idea è dunque di rappresentare una materialità dell’esistenza che precede i concetti, le spiegazioni, le storie che ci raccontiamo per dare un senso alle cose. Per questo il protagonista è ridotto a una voce anonima che registra impassibilmente pensieri e percezioni, e la trama è ridotta a una serie di stati di coscienza slegati
La macchia comincia con l’allagarsi. Uno dei suoi lati, gonfiandosi, forma una protuberanza tondeggiante: più grossa, da sola, dell’oggetto iniziale. Ma qualche millimetro più in là, questo ventre si trasforma in una serie di sottili mezzelune concentriche, che s’assottigliano ancora, si riducono a fili, mentre l’orlo opposto della macchia si ritrae, non lasciando dietro di sé che un’appendice peduncolata. Questa s’ ingrossa a sua volta, un istante, poi tutto si cancella di colpo. Dietro il vetro, nell’angolo determinato dall’asse centrale e dalla piccola traversa non c’è più che il colore grigiastro dello strato di polvere che ricopre il suolo sassoso del cortile. Sul muro di fronte il millepiedi è al suo posto, nel bel mezzo della parete.
Il tempo è un presente immobile (ogni capitolo comincia con la parola Ora), e non scorre in una sola direzione: il millepiedi che in questo brano sembra scacciato dal protagonista, in pagine precedenti è già una macchia sul muro, in pagine successive è ancora vivo. Comprendiamo che l’osservatore sta guardando l’esterno da dentro della casa, attraverso i vetri di una finestra, e (forse) attraverso le gelosie. La gelosia è evidente nei pensieri registrati all’inizio del brano, anche se l’atteggiamento resta ambiguo: l’innominato protagonista vuole convincere se stesso? O fa dell’ironia sulle giustificazioni che gli altri due accamperanno? Inoltre la registrazione di ogni minima percezione suggerisce un certo tipo psicologico: un individuo debole, incapace di azione, smarrito in un’ossessiva contemplazione delle cose intorno a sé. Oltre al tempo anche lo spazio è ambiguo e mutevole: l’immagine fotografata si sovrappone e quasi si confonde con la scena reale. In teoria dunque Robbe-Grillet abolisce i cardini della narrazione. Il personaggio e la trama; in realtà, fornisce al lettore tutti i dati per ricostruire una situazione (se non proprio una storia) e una psicologia. E dunque, se per molta narrativa la domanda portante è “chi vede i fatti riportati?”, qui la questione si fa più radicale diventando: “che cosa vede chi sta guardando (e narrando)?”. La sperimentazione stilistica che alla fine degli anni Cinquanta investe il romanzo trova una corrispondenza anche nel cinema, e dal momento che il Nouveau Roman nasce in Francia, è il cinema francese a recepirne per primo le innovazioni. [4] Il regista Alain Resnais più di altri si è trovato in sintonia con le proposte dell’avanguardia, e ha trasportato sullo schermo le tecniche letterarie del “flusso di coscienza” e avvalendosi della collaborazione dei due più importanti scrittori dell’avanguardia letteraria francese: Marguerite Duras e Alain Robbe-Grillet., sceneggiatore de L’anno scorso a Marienbad [5] (Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1961). Anche nel film inaugura una nuova drammaturgia che Gilles Deleuze definisce “una storia di magnetismo, di ipnotismo” Infatti anche qui lo spettatore rimane disorientato e non è in grado di sapere chi dei due protagonisti menta, mentre è trascinato all’interno delle atmosfere oniriche e sul filo di una memoria ingannevole che esplora i recessi oscuri della coscienza. Eletto nel 2004 all’Accademia di Francia, Robbe-Grillet, provocatore e polemista morì all’età di 85 anni dopo aver dato alle stampe un ultimo romanzo che, tra i critici d’oltralpe, scatena roventi anatemi.

© Maria Allo

[1]  3, Novecento-Il nouveau roman francese, B. Mondadori, pag.629

[2]  M. Blanchot, Le livre à venir, Gallimard, Paris 1959, pp. 219-226

[3] Alain Robbe-Grillet La gelosia, Ed. Einaudi (Uscito in Italia nel 1958 nella traduzione di Franco Lucentini)

[4] Un articolo di Andrea CHIURATO, «Un successo senza gloria.Splendori e miserie della ricezione  di Alain Robbe-Grillet in Italia», in Interférences littéraires/Literaire interferenties, 15, «Au risque du métatexte. Formes et enjeux de l’autocommentaire», a Cura di Karin SCHWERDTNER & Geneviève DEVIVEIROS, febbraio 2015, pp. 149-169

[5] Alain Robbe-Grillet, L’anno scorso a Marienbad Einaudi,1961 (https://core.ac.uk/download/pdf/225988932.pdf) Gilles Deleuze, L’immagine-tempo, Ubulibri, pag 139

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Marco Galvagni, “Le note dell’anima”, Transeuropa, 2020. Recensione di Rita Bompadre.

13 lunedì Set 2021

Posted by Deborah Mega in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, Recensioni

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Le note dell'anima, Marco Galvagni, Rita Bompadre

 

“Le note dell’anima” di Marco Galvagni (Transeuropa Edizioni, 2020) riecheggiano in ogni segno virtuoso dei versi tra le annotazioni poetiche sulla vita, interpretano il suono del cuore e affermano con la dedica amorosa in epigrafe, l’insinuante e persistente fiamma della passione. Il poeta si lascia incantare dalla soavità evocativa della memoria, concede alla fantasia la forma visibile delle immagini rappresentative della realtà, per accogliere la premurosa custodia delle riflessioni attraverso la mediazione estetica della bellezza. La determinazione carismatica dell’esistenza descritta da Marco Galvagni, compone la fiducia nell’elemento sensoriale, consegnando alla poesia la misteriosa e provocante corrispondenza della coscienza e muovendo in direzione spontanea le coincidenze significative dell’esperienza. La fluida continuità della sensualità ritrova la sua malia tentatrice tra le pagine, affina l’arte della seduzione inviando segnali colti e raffinati nell’elegia autobiografica, ridesta l’ispirazione, indica il dogma enigmatico del sortilegio emotivo e la ritualità  fatale della conquista. Marco Galvagni afferma il significato dell’eloquenza, adula la strategia della percezione, strumento di comprensione, rende l’irrazionale spinta delle illusioni motivo di sofisticata indagine esistenziale e archetipo universale. Il carattere poietico dell’opera mostra l’origine della centralità charmant dell’amabilità, idealizza l’attività nostalgica del pensiero, i simboli in equilibrio sulle stagioni, esplora la fenditura profonda del soffio vitale, rivestendo la dolcezza arcana della speranza oltre l’abisso dei moti spirituali e istintivi. Il profilo del poema traccia la sensazione sincera delle rivelazioni vissute e amplia la geometria della consapevolezza. I testi affidano alla sacralità del senso il legame con il tutto, interrogano la complicità dell’umanismo, confrontano l’intenso entusiasmo dell’immaginazione con il processo inarrestabile della conoscenza, combinando la meditazione e la sapienza indistinta dell’intelletto. “Le note dell’anima” scorrono nelle vene, misurano la cifra del palpito, congiungono le infinite occasioni, magiche e segrete, del tempo, orientano la certezza e la resistenza dei gesti, riconducono la forza pulsionale dell’amore all’energia primordiale delle intuizioni. La composizione dell’anima colloca la personificazione emblematica del linguaggio nell’incarnazione della donna amata ed evocata come illuminata epifania nella tensione tra aspirazione e utopia. Il poeta adotta uno stile che è sede della propria moralità, identificata nella corporeità dei ricordi, nella consistenza erotica delle espressioni, nello sfuggente e impalpabile dominio della contemplazione, nella maturità degli affetti. Nei testi di Marco Galvagni si comprende che la bellezza diffonde il suo passaggio oltre il momento e attraversa, come possibilità, tutti i corpi. Il poeta vive l’unicità del proprio destino, disponendo alla nobilitazione di ogni ardore il vagheggiamento dell’attrazione e unendo alla libertà del sublime l’intensificazione della assolutezza apollinea della poesia.

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”

https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

 

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Filomena Gagliardi, “De viris Illustribus”, Nulla Die Edizioni, 2020. Recensione di Rita Bompadre.

08 martedì Giu 2021

Posted by Deborah Mega in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, Recensioni

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De viris Illustribus, Filomena Gagliardi, Rita Bompadre

“De viris Illustribus” di Filomena Gagliardi (Nulla Die Edizioni, 2020) è un potente omaggio alla cultura classica, intesa nell’interpretazione filologica della formazione intellettuale, come patrimonio di conoscenza e di erudizione. I testi diffondono l’esperienza degli antichi ed illustri ideali, rivolgono l’origine del mondo alla mitologia dell’eternamente presente, seguono il luogo sacro della comunicazione, rischiarato dalla luce della bellezza. I versi abbracciano l’armonia infinita delle citazioni esemplari e le immagini primitive arricchiscono la grazia poetica e traducono i contenuti efficaci, i motivi d’ispirazione con inesauribile energia letteraria. La mirabile, sapiente, illuminata poesia di Filomena Gagliardi è pura riconoscenza di un’epoca, recupero consapevole di un modello da ritrovare, nella gioia della sensazione del valore morale. La contemplazione degli eventi e la scoperta rivelatrice delle sentenze, tracce lasciate dalla prospettiva storica del passato, incarnano l’influenza naturale della coscienza umana, animata dall’affinità con la profonda concordia di uno stato felice della vita, in accordo con la prosperità dell’immaginazione, con la visione rigeneratrice del mito. La poetessa ripercorre l’uguaglianza dei sentimenti, la necessità spontanea di ricordare l’autenticità del bene, il rapporto tra la vita dell’uomo e le compiute aspirazioni della sua natura. Nell’evoluzione della ragione, l’uomo, nel dominio dei propri impulsi sensibili, è simbolo della virtù. Gli uomini illustri di cui parla Filomena Gagliardi sono interpreti del comune desiderio di rigenerazione e di rinascita interiore, hanno la saggezza e la sapienza dei principi supremi della verità e della fermezza vitale. L’attività dello spirito educa l’intuizione e nella libera ricerca cognitiva riscatta il senso apollineo della riflessione, muove il dubbio, è causa dell’enigma. La liberazione estetica della poesia, genera un linguaggio capace di esprimere la democrazia dei valori condivisi e dare corpo all’universalità del coraggio etico. Il tempo, conosciuto dalla poetessa, è l’espressione della memoria collettiva, la destinazione compiuta con l’esperienza del vissuto, nella volontà di comprendere la spiegazione della storia, il luogo dell’autenticità, abitato dalla dottrina speculativa del comportamento umano. Leggere “De viris Illustribus” è scoprire il fascino inesauribile dell’antichità e la magnificenza dei classici, conoscere la concentrazione e la dilatazione dell’indagine in un mondo leggendario che ispira l’equilibrio sovrasensibile delle nobili imprese orientando l’arte della motivazione e la misura della creatività. L’autrice decifra l’epoca attuale, valuta il destino dell’umanità, sfida il prestigio dell’ars oratoria con la finalità di conoscere gli antichi per capire il presente. La cultura intesa come qualità autonoma, come esperienza delle idee, nell’inciso dei versi, in un lirismo rielaborato dalle figure eroiche e risolute, astute e fedeli metafore trasmesse nella guida di ogni insegnamento, protagoniste del desiderio di gloria e di immortalità.

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”

 

Omero II

 

Poesia

tu stesso

fugace parola

il tuo nome

senza esistenza:

mito

senza parola scritta

logos,

parole colorate

reali

cangianti.

Tu

Omero

“il non vedente”

sei veggente

vate

rivelatore di alate parole.

 

———————-

 

Esiodo

 

Primo poeta reale

primo cimelio

dell’antica Beozia

abitata dai duri contadini.

 

Artefice poetico

del Cosmo

sostenitore

fervente

della dura legge del lavoro.

 

Tu,

visitato in sogno dalle Muse,

affidi alla tua parola

la Verità

la Saggezza

la Pace fraterna.

 

———————

 

Aristotele nel cuore

 

Ascoltandoti

ti ho amato:

parlavi di musica,

di emozioni,

di uomini.

 

———————

 

Cosa sei a distanza (Ulisse e dintorni)

 

Ripercorro il mare epico

narrando gli eventi

gli stessi.

 

E ci sei,

sempre,

come digressione

nella Narrazione.

 

Riaffiori

ad ogni passaggio,

ad ogni incrocio

ad ogni snodo

come tempietto perenne.

 

Lì stai

davanti a me

oltre il tempo

oltre lo spazio

al di là delle strade.

Superandoti

ti inglobo

come capitolo

archiviato

vissuto

non rinnegato

dal libro della mia Vita.

 

—————————

 

Uomini illustri

 

Talora nascono anche oggi

uomini illustri.

Sono persone semplici

che incontriamo per caso

magari in biblioteca.

E ci entrano

nella Vita.

Ci restano accanto

quando siamo peggiori

credono in noi

quando noi smettiamo di farlo.

Ci hanno colpito

fin dall’inizio

con il calore delle loro mani.

Per chi è ferito da sempre

queste persone

Sono uomini illustri:

danno Luce!

In modo discreto

 

Testi tratti da Filomena Gagliardi, “De viris Illustribus”, Nulla Die Edizioni, 2020.

 

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Cinque poesie di Nicola Romano tratte dalla sua nuova raccolta “Fra un niente e una menzogna”, Ed.Passigli, con la prefazione di Elio Pecora.

27 mercoledì Gen 2021

Posted by marian2643 in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA, Segnalazioni ed eventi

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Nicola Romano, Tra un niente e una menzogna

Della poesia di Nicola Romano va sottolineato lo spessore della tematica che si accompagna alla forza evocativa della parola meditata, immediata e mediata, espressa in funzione significante. I nuclei tematici privilegiati sono essenzialmente contenuti nello sguardo verso la realtà che radicalizza l’uomo-poeta al mondo in cui vive e l’incontro con un nuovo tempo fisico e interiore che lo pone di fronte alla necessità di ri-considerare l’esistenza vissuta e da vivere. La disposizione strutturale dei temi non ha un inquadramento organico, i testi sono distribuiti per tematiche miste, pur mantenendo unità di stile. Il livello semantico è una fusione di termini, sia di carattere quotidiano che di uso ricercato, quando non specialistico e neologistico, fino a qualche invenzione lessicale in funzione  della resa metrica. I testi aprono un ventaglio di argomenti dove s’insediano i motivi e gli interrogativi del vivere quotidiano declinati attraverso uno sguardo che indaga e riflette non soltanto su ciò che è al suo esterno ma su quello che la ragione e lo spirito detta. Una poetica, quella di Romano, che si inserisce in quadro che definirei di “mitografia del quotidiano”, per lo sguardo acuto, ironico e talvolta compassionevole verso tutto ciò che viene percepito e vissuto.

Anna Maria Bonfiglio

  

RED CARPET

 

Non metteranno mai

tappeti rossi

sulle tue strade

sparse ed ineguali

o sui percorsi stretti ed allagati

come quel mare freddo

chiuso in gola

 

quindi

 

consacra il tempo

semplice e ordinario

del nuovo giorno

che ti nasce in bocca

allacciati le stringhe sul muretto

datti una sferza tra le cose mute

sorridi se ti taglia un gatto nero

stranisci a quel

che rutta un manifesto

e non turbarti

all’amnesia d’un nome

che scortica la mente

e poi di colpo

intero si rivela

 

 

ASSENZA

 

Tutto sta nel capire

dove mi sprofonda la tua assenza

se falsa noncuranza

o interna solitudine

è questo armeggiare

nel palmo d’un divano

tra un facile sudoku

e un po’ di vino

Con un sentore d’assurdo

risalgono canali a quel principio

che fa nascere il corso d’ogni storia

e le mani rovistano le sacche

di quei pensieri assorti ed intricati

come spighe di canne scarmigliate

 

ed un lamento scorre fino ai piedi

se tenera ferita è la tua assenza

 

 

QUEL VAGO

 

Le porte sbattute dal vento

ribattono un vento di mare:

oscilla nel sonno leggero

la cupa lanterna

tra i muri del cuore

dilaga la polvere e il muschio

continua a patire sui prati

la febbre del tempo peggiore

 

Chissà tutta intera una vita

se esclude quel tempo migliore

pensato tra ali di canto

e odori rapiti ai verzieri

D’inesauribile attesa

quel vago che trema negli occhi

e non sa che dispiace

 

 

MERAVIGLIA

 

È bello stare qui

non manca nulla

confabulo col sole

che scalda le finestre

le vie sono un teatro

dove tutto è palese

e quel che busco

è più del necessario

per mantenere lune

sempre accese

 

D’intorno strappo

cespi di parole

che poi sminuzzo

come vuole il cuore

e a compendio

di tanta meraviglia

accanto a me trattengo

corbezzoli ed aloe

 

e una valigia piena

per fuggire

 

 

VACUITÀ

 

Cosa rimane

dei numerosi giorni accatastati

come ordinate spighe nei covoni

e di tutto un continuo trafficare

sui marciapiedi lisi delle strade

delle risa scambiate a crepapelle

sul volto degli amici più vicini

o degli sparsi attimi straniati

tra portici in granito ed osterie

 

e cosa resta

delle fatiche spinte fino a sera

per lanciare le reti sul domani

o delle labbra offerte con tremore

dentro un’oscurità senza parole?

 

Rimane solo nebbia che s’imbianca

tra i pali dei lampioni alla marina

e d’una vita forse trasognata

solo un fondiglio erboso di ruscello

 

 

Giornalista pubblicista, Nicola Romano vive a Palermo, dove è nato nel 1946. Con opere edite ed inedite è risultato vincitore di diversi concorsi nazionali di poesia. Alcuni suoi testi hanno trovato traduzione in esperanto e su riviste spagnole, irlandesi e romene. Suoi testi sono presenti in “Fahrenheit” di Radio Rai3. Attualmente dirige la Collana di poesia dell’editrice “Spazio Cultura” di Palermo.

Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: I faraglioni della mente (1983), Amori con la luna (prefazione di Bent Parodi, 1985), Tonfi (1986), Visibilità discreta (prefazione di Lucio Zinna, 1989),  Estremo niente (con una nota di Melo Freni, 1992), Fescennino per Palermo (1993), Questioni d’anima (prefazione di Aldo Gerbino, 1995), Elogio de los labios (a cura di Carlos Vitale, Barcelona, 1995), Malva e Linosa – haiku (prefazione di Dante Maffìa, 1996), Bagagli smarriti (prefazione di Fabio Scotto, 2000), Tocchi e rintocchi (prefazione di Sebastiano Saglimbeni, 2003), Gobba a levante (prefazione di Paolo Ruffilli, 2011), Voragini ed appigli (prefazione di Giorgio Linguaglossa, 2016), Birilli (sei poesie con una incisione di Girolamo Russo, 2016), D’un continuo trambusto (prefazione di Roberto Deidier, 2018), Tra un niente e una menzogna (prefazione di Elio Pecora, 2020).

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