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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Idiomatiche

traduzioni

Traduciamo Louise Gluck: End of Summer

05 sabato Dic 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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Tag

Louise Gluck, Nobel, POESIA, TRADUZIONI

Prosegue l’attività di traduzione iniziata qui, in calce a quel post troverete nei commenti i link/ping a tutte le precedenti traduzioni

End of Summer
(Louise Glück)

After all things occurred to me,
the void occurred to me.
There is a limit
to the pleasure I had in form –
I am not like you in this,
I have no release in another body,
I have no need
of shelter outside myself –
My poor inspired
creation, you are
distractions, finally,
mere curtailment; you are
too little like me in the end
to please me.
And so adamant –
you want to be paid off
for your disappearance,
all paid in some part of the earth,
some souvenir, as you were once
rewarded for labor,
the scribe being paid
in silver, the shepherd in barley
although it is not earth
that is lasting, not
these small chips of matter –
If you would open your eyes
you would see me, you would see
the emptiness of heaven
mirrored on earth, the fields
vacant again, lifeless, covered with snow –
then white light
no longer disguised as matter.

La fine dell’estate

(traduzione di Deborah Mega)

Dopo che ogni cosa mi è tornata in mente,
mi ha raggiunta il vuoto.
C’è un limite
al piacere che ho avuto nel corpo –
in questo non sono come te,
non ho liberazione in un altro corpo,
non ho bisogno
di protezione oltre a me stessa-
la mia povera ispirata
creazione, voi siete
distrazioni, infine,
pura riduzione; siete
troppo poco come me alla fine
per farmi piacere.
E così irremovibile –
vuoi essere ripagato
per la tua scomparsa,
tutto pagato in qualche parte della terra,

qualche souvenir, come eri una volta
ricompensato per la fatica,
lo scriba viene pagato
in argento, il pastore in orzo
sebbene non sia terra
quella che dura, non
questi piccoli frammenti di materia –
Se aprissi gli occhi
mi vedresti, vedresti
il vuoto del cielo
rispecchiato sulla terra, i campi
di nuovo vuoti, senza vita, coperti di neve –
poi luce bianca
non più travestita di materia.

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Traduciamo Louise Gluck: The Mirror

22 domenica Nov 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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Tag

Louise Gluck, Nobel, POESIA, TRADUZIONI

Prosegue l’attività di traduzione iniziata qui, in calce a quel post troverete nei commenti i link/ping a tutte le precedenti traduzioni

The Mirror
(Louise Glück)

Watching you in the mirror I wonder
what it is like to be so beautiful
and why you do not love
but cut yourself, shaving
like a blind man. I think you let me stare
so you can turn against yourself
with greater violence,
needing to show me how you scrape the flesh away
scornfully and without hesitation
until I see you correctly,
as a man bleeding, not
the reflection I desire.

Lo specchio

(traduzione di Deborah Mega)

Guardandoti nello specchio mi chiedo
cosa si provi a essere così bello
e perché non ti ami
ma ti tagli, radendoti
come un cieco. Credo che lasci che ti fissi
così puoi rivolgerti contro te stesso
con maggiore violenza,
chè hai bisogno di mostrarmi come strappi via la pelle
con disprezzo e senza esitazione
finché ti vedo correttamente
come un uomo che sanguina, non
come il riflesso che desidero.

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Emilio Capaccio traduce Walt Whitman

15 domenica Nov 2020

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA

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Emilio Capaccio, POESIA, traduzione, Walt Whitman

Il mare è per me un miracolo senza fine.
Pesci che nuotano, scogliere, il moto delle onde,
navi che portano uomini …
Quali più strani miracoli di questi?

W. W.

Walt Whitman, traduzioni di Emilio Capaccio

 
IO CREDO CHE UNA FOGLIA D’ERBA


Io credo che una foglia d’erba non sia meno del quotidiano lavorio delle stelle,
E una formica è egualmente perfetta, e un granello di sabbia, e l’uovo dello scriccio,
E la raganella è uno dei capolavori più grandi,
E il rovo che si arrampica potrebbe adornare le camere del cielo,
E il ganghero più piccolo nella mia mano potrebbe irridere tutti gli ingranaggi,
E la mucca che sminuzza con il capo calato sovrasta qualsiasi statua,
E un topo è un miracolo sufficiente a far vacillare sestilioni di miscredenti,
E io potrei venire ogni pomeriggio della mia vita a osservare la figlia dell’agricoltore
Che bolle il tè nel suo bollitore di ferro e inforna il tortino.

Io trovo e incorporo gneiss, carbone, filati estesi di muschi, frutti, grani, esculenti radici,
E sono completamente stuccato di quadrupedi e uccelli,
E ho lasciato ciò che è alle mie spalle per buone ragioni,
E richiamo ogni cosa e di nuovo la richiudo, quando ne ho voglia.

Invano affrettarsi o adombrarsi;
Invano le plutoniche rocce emanano il loro vecchio calore contro il mio approccio;
Invano il mastodonte si ritira sotto le sue ossa polverizzate;
Invano gli oggetti si stagliano in leghe lontane, e assumono molteplici forme;
Invano l’oceano si deposita nelle cavità, e i grandi mostri vi abitano il fondo;
Invano la poiana si dà alloggio nel cielo;
Invano il serpente scivola tra i ceppi e i rampicanti;
Invano l’alce s’addentra in segreti passaggi del bosco;
Invano l’alca dal becco a rasoio veleggia verso nord fino al Labrador;
Io la seguo velocemente, ascendo al nido nella fessura della scogliera.
 
I BELIEVE A LEAF OF GRASS


I believe a leaf of grass is no less than the journey-work of the stars,
And the pismire is equally perfect, and a grain of sand, and the egg of the wren,
And the tree-toad is a chef-d’oeuvre for the highest,
And the running blackberry would adorn the parlors of heaven,
And the narrowest hinge in my hand puts to scorn all machinery,
And the cow crunching with depress’d head surpasses any statue,
And a mouse is miracle enough to stagger sextillions of infidels,
And I could come every afternoon of my life to look at the farmer’s girl boiling her iron
tea-kettle and baking shortcake.

I find I incorporate gneiss, coal, long-threaded moss, fruits, grains, esculent roots,
And am stucco’d with quadrupeds and birds all over,
And have distanced what is behind me for good reasons,
And call anything close again, when I desire it.

In vain the speeding or shyness;
In vain the plutonic rocks send their old heat against my approach;
In vain the mastodon retreats beneath its own powder’d bones;
In vain objects stand leagues off, and assume manifold shapes;
In vain the ocean settling in hollows, and the great monsters lying low;
In vain the buzzard houses herself with the sky;
In vain the snake slides through the creepers and logs;
In vain the elk takes to the inner passes of the woods;
In vain the razor-bill’d auk sails far north to Labrador;
I follow quickly, I ascend to the nest in the fissure of the cliff.
 
NOI DUE QUANTO TEMPO FUMMO INGANNATI


Noi due, quanto tempo fummo ingannati,
Ora trasfigurati, fuggiamo in fretta come fugge la natura.
Siamo natura, a lungo siamo stati assenti, ma ora torniamo,
Diventiamo piante, tronchi, foglie, radici, corteccia,
Siamo accampati sulla terra, siamo rocce,
Siamo querce, cresciamo fianco a fianco negli spazi liberi,
Bruchiamo, siamo in mezzo alle mandrie selvagge, spontanei come chiunque,
Siamo due pesci che nuotano accanto nel mare,
Siamo quello che sono i fiori della robinia,
Stilliamo l’aroma sui canali la mattina e la sera,
Siamo anche la dozzinale traccia delle bestie, dei vegetali, dei minerali,
Siamo due falchi predatori, ci alziamo in volo e dall’alto scrutiamo la valle,
Siamo due soli splendenti, siamo noi che bilanciamo noi stessi,
sferici e stellari, siamo come due comete,
Ci aggiriamo zannuti e a quattro zampe nella boscaglia, scagliandoci sulla preda,
Siamo due nuvole che guidano alte, le mattine e i pomeriggi,
Siamo mari che si mescolano, allegre onde che rotolano l’una sull’altra,
che si sprizzano l’un l’altra,
Siamo quello che è l’aria, trasparente, ricettiva, pervia, impervia,
Siamo la neve, la pioggia, il freddo, l’oscurità,
Samo qualunque prodotto e influenza del globo,
Abbiamo girato e rigirato finché non siamo giunti di nuovo a casa, noi due,
Abbiamo gettato tutto tranne la libertà, tutto tranne la gioia.
 
WE TWO HOW LONG WE WERE FOOL’D


We two, how long we were fool’d,
Now transmuted, we swiftly escape as Nature escapes,
We are Nature, long have we been absent, but now we return,
We become plants, trunks, foliage, roots, bark,
We are bedded in the ground, we are rocks,
We are oaks, we grow in the openings side by side,
We browse, we are two among the wild herds spontaneous as any,
We are two fishes swimming in the sea together,
We are what locust blossoms are,
We drop scent around lanes mornings and evenings,
We are also the coarse smut of beasts, vegetables, minerals,
We are two predatory hawks, we soar above and look down,
We are two resplendent suns, we it is who balance ourselves
orbic and stellar, we are as two comets,
We prowl fang’d and four-footed in the woods, we spring on prey,
We are two clouds forenoons and afternoons driving overhead,
We are seas mingling, we are two of those cheerful waves rolling over each other
and interwetting each other,
We are what the atmosphere is, transparent, receptive, pervious, impervious,
We are snow, rain, cold, darkness,
We are each product and influence of the globe,
We have circled and circled till we have arrived home again, we two,
We have voided all but freedom and all but our own joy.
 
O ME! O VITA!


O Me! O Vita! di domande che si susseguono come queste,
D’infiniti treni di miscredenti, di città nutrite da dissennati,
Di me stesso che sempre disapprova se stesso (perché chi è più miscredente di me, chi più dissennato?)
Di occhi che inutilmente implorano la luce, di scopi abbietti, di lotte sempre ricominciate,
Dei miseri risultati d’ogni cosa, della sordida e arrancata folla che vedo attorno a me,
Dei vani e inservibili anni degli altri, io agli altri intrecciato,
La domanda, O Me! così triste, ricorrente — Che c’è di buono in tutto questo, O Me, O Vita?

Risposta.

Che tu sia qui — che la vita esista ed esista l’identità,
Che la potente commedia vada avanti e che tu possa offrire il tuo verso.
 
OH ME! OH LIFE!


Oh me! Oh life! of the questions of these recurring,
Of the endless trains of the faithless, of cities fill’d with the foolish,
Of myself forever reproaching myself, (for who more foolish than I, and who more faithless?)
Of eyes that vainly crave the light, of the objects mean, of the struggle ever renew’d,
Of the poor results of all, of the plodding and sordid crowds I see around me,
Of the empty and useless years of the rest, with the rest me intertwined,
The question, O me! so sad, recurring — What good amid these, O me, O life?

Answer.

That you are here — that life exists and identity,
That the powerful play goes on, and you may contribute a verse.

 

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Traduciamo Louise Gluck: Violet

01 domenica Nov 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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Louise Gluck, Nobel, POESIA, traduzione

Ancora una traduzione di una poesia del neo premio nobel Louise Gluck. Qui il post di introduzione a cui rinvio per le motivazioni della rubrica “Traduciamo Louise Gluck” e per le altre traduzioni delle quali troverete i links nei commenti a quel post. da “The wild Iris”, 1992 Violet Because in our world something is always hidden, small and white, small and what you call pure, we do not grieve as you grieve, dear suffering master; you are no more lost than we are, under the hawthorn tree, the hawthorn holding balanced trays of pearls: what has brought you among us who would teach you, though you kneel and weep, clasping your great hands, in all your greatness knowing nothing of the soul’s nature, which is never to die: poor sad god, either you never have one or you never lose one. Violetta traduzione di Loredana Semantica Perché nel nostro mondo qualcosa è sempre nascosto, minuscolo e bianco, piccolo e ciò che tu chiami puro, noi non ci addoloriamo come ti addolori tu, caro maestro sofferente; tu non sei più smarrito di quanto lo siamo noi, sotto l’albero di biancospino, la raccolta delle spine bilanciata da cassette di perle: cosa ti ha condotto tra noi chi ti insegnerebbe, anche se ti inginocchi e piangi, stringendo le tue grandi mani, in tutta la loro grandezza non sapendo niente della natura dell’anima, che non è mai morire: povero dio triste, o non ne hai mai una o non la perdi mai.

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Traduciamo Louise Gluck: The Islander

25 domenica Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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Qui il post di introduzione a cui rinvio per le motivazioni della rubrica “Traduciamo Louise Gluck” e per le altre traduzioni delle quali troverete i links nei commenti a quel post. 

The Islander

Sugar I am CALLING you. Not
Journeyed all these years for this:
You stalking chicken in the subways,
Nights hunched in alleys all to get
That pinch…O heartbit,
Fastened to the chair.
The supper’s freezing in the dark.
While I, my prince, my prince…
Your fruit lights up.
I watched your hands pulling at the grapes.

L’Isolano

traduzione di Loredana Semantica

Dolcezza io ti sto chiamando. Non
ho viaggiato tanti anni per questo:
tu che insegui una gallina in metropolitana,
le notti che si curvano su tutte le possibilità.
Quella stretta…O quel morso del cuore
fissato alla sedia.
La cena sta gelando nell’oscurità.
Mentre io, mio principe, mio principe…
Il tuo frutto si accende.
Ho visto le tue mani tirare gli acini.

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Traduciamo Louise Gluck: Vespers

24 sabato Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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Tag

Louise Gluck, POESIA, traduzione

Si prosegue con le traduzioni del neo premio Nobel per la letteratura: Louise Gluck. Stavolta è la volta delle piante di pomodoro. Non ci sono dubbi che il testo ha un significato nascosto. Spero possiate coglierlo. Questa iniziativa di traduzione è iniziata qui. A quel post vi rimando per la lettura delle altre traduzioni, i cui link sono nei commenti.

Vespers

In your extended absence, you permit me
use of earth, anticipating
some return on investment. I must report
failure in my assignment, principally
regarding the tomato plants.
I think I should not be encouraged to grow
tomatoes. Or, if I am, you should withhold
the heavy rains, the cold nights that come
so often here, while other regions get
twelve weeks of summer. All this
belongs to you: on the other hand,
I planted the seeds, I watched the first shoots
like wings tearing the soil, and it was my heart
broken by the blight, the black spot so quickly
multiplying in the rows. I doubt
you have a heart, in our understanding of
that term. You who do not discriminate
between the dead and the living, who are, in consequence,
immune to foreshadowing, you may not know
how much terror we bear, the spotted leaf,
the red leaves of the maple falling
even in August, in early darkness: I am responsible
for these vines.

Vespri

traduzione di Loredana Semantica


Durante la tua lunga assenza, mi hai permesso
di usare la terra, prevedendo
un certo ritorno dall’investimento. Devo riferirti
di aver fallito il mio compito, principalmente
per quanto riguarda le piante di pomodoro.
Penso che non dovrei essere incoraggiata a coltivare
pomodori. Oppure, se lo sono, tu dovresti contenere
le forti piogge, le notti fredde che vengono
così spesso qui, mentre altre regioni godono
di dodici settimane d’estate.
Tutto questo ti appartiene: d’altra parte
io ho piantato i semi, ho visto i primi germogli
come ali squarciare il suolo, è stato il mio cuore
a spezzarsi per la peronospera, la macchia nera si è diffusa
così rapidamente moltiplicandosi nei filari. Io dubito
che tu abbia un cuore, che tu possa capire questi termini.
Tu che non distingui tra morte e vita, che sei, di conseguenza,
immune dai presagi, potresti non saperlo
quanto ci terrorizzi vedere una foglia macchiata,
le foglie rosse d’acero che cadono
anche in agosto, nella prima oscurità: io sono la responsabile
di questi rampicanti.

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Traduciamo Louise Gluck: Parable of faith

18 domenica Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

≈ 2 commenti

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Louise Gluck, POESIA, traduzione

Col contributo di Antonella Pizzo prosegue la traduzione delle poesie di Louise Gluck iniziata qui

Dalla raccolta “Meadowlands”, 1996

Parable of faith

Now, in twilight, on the palace steps
the king asks forgiveness of his lady.
He is not
duplicitous; he has tried to be
true to the moment; is there another way of being
true to the self?
The lady
hides her face, somewhat
assisted by the shadows. She weeps
for her past; when one has a secret life,
one’s tears are never explained.
Yet gladly would the king bear
the grief of his lady: his
is the generous heart,
in pain as in joy.

Do you know
what forgiveness mean? it mean
the world has sinned, the world
must be pardoned 

Parabola di fede

(traduzione di Antonella Pizzo)

Ora, al crepuscolo, sui gradini del palazzo
il re chiede perdono alla sua donna.
Lui non è falso; ha provato ad essere vero al momento;
c’è un altro modo di essere fedele a sé stesso?
La donna
nasconde il suo viso, un po’
aiutata dalle ombre. Piange
per il suo passato; quando si ha una vita segreta,
le proprie lacrime non vengono mai spiegate.
Eppure il re avrebbe sopportato
la sofferenza della sua donna: il suo
è cuore generoso,
nel dolore come nella gioia.

Lo sai
cosa significa perdono? significa
che il mondo ha peccato, che il mondo
deve essere perdonato.

qui potete ascoltare la lettura in lingua originale

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Traduciamo Louise Gluck: The Night Migrations

14 mercoledì Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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Col contributo di Antonella Pizzo prosegue la traduzione delle poesie di Louise Gluck iniziata qui  

Dalla raccolta “Averno” 2006

The Night Migrations

This is the moment when you see again
the red berries of the mountain ash
and in the dark sky
the birds’ night migrations.

It grieves me to think
the dead won’t see them—
these things we depend on,
they disappear.

What will the soul do for solace then?
I tell myself maybe it won’t need
these pleasures anymore;
maybe just not being is simply enough,
hard as that is to imagine.

Le migrazioni notturne

(traduzione di Antonella Pizzo)

È questo il momento in cui rivedi
le rosse bacche del sorbo selvatico
e nel cielo scuro
le migrazioni notturne degli uccelli.

Mi è gravoso pensare
che i morti non vedranno
queste cose da cui dipendiamo,
svaniranno.

Come potrà allora l’anima consolarsi?
Mi dico che forse non avrà bisogno
di questi piaceri;
non essere, forse, è molto semplice,
anche se è difficile immaginarlo.

qui potete ascoltare la lettura in lingua originale

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Traduciamo Louise Gluck: The red poppy

10 sabato Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, SINE LIMINE

≈ 7 commenti

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Louise Gluck, POESIA, traduzione

In Italia ha destato una certa sorpresa l’attribuzione del Nobel per la letteratura a Louise Gluck, poetessa statunitense, nata a New York nel 1943. In pochi la conoscevano, e le poesie che circolano in rete probabilmente non le rendono giustizia, tant’è che non mancano le polemiche. Però potrebbe trattarsi di un problema di traduzione. Per conoscere meglio questa autrice ho pensato di tentare una traduzione alternativa delle poesie che circolano in rete. Una alla volta, in modo che abbiano ciascuna massima attenzione. Come quando si osserva un quadro su uno sfondo nero o una parete vuota per coglierne al meglio le linee e i colori. Lo considero un esperimento, alla ricerca della poetica di un’autrice che è stata ritenuta degna di così ambito riconoscimento. Al termine di questo percorso, l’esperimento sarà diventata esperienza. Se avete voglia di cimentarvi ho scovato qui un nutrito elenco di testi in lingua originale. Antonella Pizzo mi ha segnalato quest’altra ricca raccolta qui. Se poi volete proporre alla redazione i vostri esperimenti, siete benvenuti. Buona poesia a tutti.

The great thing
is not having
a mind. Feelings:
oh, I have those; they
govern me. I have
a lord in heaven
called the sun, and open
for him, showing him
the fire of my own heart, fire
like his presence.
What could such glory be
if not a heart? Oh my brothers and sisters,
were you like me once, long ago,
before you were human? Did you
permit yourselves
to open once, who would never
open again? Because in truth
I am speaking now
the way you do. I speak
because I am shattered.

 

Il papavero rosso

(traduzione di Loredana Semantica)

 

La cosa migliore è

non avere pensieri

i sentimenti: oh quelli ce li ho

nel cielo ho un signore chiamato sole

fiorisco per lui

gli offro il rosso del mio cuore

rosso come la sua presenza.

Cos’altro potrebbe essere un tale splendore

se non passione? Oh miei fratelli e sorelle

eravate come me voi tanto tempo fa

prima di diventare umani?

Anche voi vi siete permessi

di brillare una volta

chi mai vorrebbe farlo di nuovo?

Perché in verità adesso

sto parlando la vostra lingua.

Io parlo perché sono distrutta.

 

 

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“The snow man” di Wallace Stevens 6 traduzioni

04 domenica Ott 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche

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The snow man

One must have a mind of winter
To regard the frost and the boughs
Of the pine-trees crusted with snow;

And have been cold a long time
To behold the junipers shagged with ice,
The spruces rough in the distant glitter

Of the January sun; and not to think
Of any misery in the sound of the wind,
In the sound of a few leaves,

Which is the sound of the land
Full of the same wind
That is blowing in the same bare place

For the listener, who listens in the snow,
And, nothing himself, beholds
Nothing that is not there and the nothing that is.

Wallace Stevens

Si deve avere un animo d’inverno
Per contemplare questo gelo e i pini
Con le rame incrostate dalla neve;

E avere avuto freddo lungo tempo
Per guardare i ginepri irti di ghiaccio
I rudi abeti nel brillìo remoto

Del sole di gennaio; e non pensare
D’alcun duolo nel gemito del vento,
O nel suono di queste poche foglie,

Voci di una regione visitata
Da quel vento che sempre
Sibila sullo stesso nudo luogo

Per chi ascolta, chi ascolta nel nevaio,
E nulla in sé medesimo, contempla
Là quel nulla che è e che non è.

(traduzione Renato Poggioli, 1954)

Bisogna avere una mente d’inverno
per osservare il gelo e i rami
dei pini incrostati di neve;

e avere patito tanto freddo
per guardare i ginepri ricoperti di ghiaccio,
gli abeti ruvidi nel distante riflesso

del sole di gennaio; e non pensare
alla miseria che risuona nel vento,
tra le rade foglie,

il medesimo suono della terra
attraversata dal medesimo vento
che soffia nello stesso spazio spoglio

per chi in ascolto, ascolta nella neve,
e lui stesso un nulla, guarda
il Nulla che non c’è e il nulla che c’è.

(Nadia Fusini, 1985)

Si deve avere una mente d’inverno
per guardare il gelo e i rami
dei pini incrostati di neve,

e avere avuto freddo a lungo
per vedere i ginepri irti di ghiaccio,
gli abeti ruvidi nel chiarore lontano

del sole di gennaio, e non pensare
a un dolore nel suono del vento,
nel suono di poche foglie,

che è il suono della terra
percorsa dallo stesso vento
che soffia nello stesso nudo luogo

per l’ascoltatore, che ascolta nella neve
e, nulla in sé, vede
nulla che non sia lì, e il nulla che è.

(Massimo Bacigalupo, 1994)

Si deve avere una mente invernale
per considerare il gelo ed i rami
dei pini incrostati di neve,

e aver sentito freddo tanto tempo
per scorgere i ginepri irti di ghiaccio,
gli scabri abeti nel brillio distante

del sole di gennaio; e non pensare
a un tormento nel suono dell’aria,
nel suono di poche foglie,

che è il suono del suolo
intriso dello stesso soffio
che spira nello stesso spoglio luogo

per l’uditore che ode nella neve,
e, niente in sé, osserva
niente che non sia lì e il niente che è.

(traduzione Gianluca D’Andrea, 2007)

Si deve avere una mente fredda
per apprezzare il gelo e i rami
dei pini incrostati di neve,

e aver avuto freddo a lungo,
per scorgere i ginepri puntuti di ghiaccio,
gli abeti irruvidirsi nel lontano luccichio

del sole di Gennaio; e non pensare
ad alcuna pena nel suono del vento,
nel suono di poche foglie,

che sono il suono della terra
colmo dello stesso vento
che sta soffiando nello stesso vuoto

per chi ascolta, per chi ascolta nella neve,
e, lui stesso niente, guarda
niente che non c’è e il niente che è.

(Lisa Sammarco, 2008)

Bisogna avere una mente d’inverno
per stare a guardare il gelo e i rami
dei pini incrostati di neve;

E aver avuto freddo per tanto tempo
per vedere i ginepri intricati di ghiaccio,
gli abeti rugosi nel luccicare lontano

del sole di gennaio; e non pensare
al gemito  ch’è nel suono del vento
nel  suono di poche foglie

che è il suono della terra
piena dello stesso vento
che soffia nello stesso luogo vuoto

per chi ascolta e nella neve sente,
d’essere egli stesso niente, vedendo
il nulla che c’è e il nulla che non c’è.

(traduzione  Loredana Semantica, 2012)

 

 

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Emilio Capaccio traduce Ángel González

25 venerdì Set 2020

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche

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Quando scrivo il mio nome
lo sento ogni volta più strano
Chi è?
mi domando
E non so che pensare
Ángel.
Così raro

Á. G.

Ángel González, traduzioni di Emilio Capaccio
L’AUTUNNO S’AVVICINA

L’autunno s’avvicina con molto poco rumore:
soffocate le cicale, qualche grillo appena
difende il fortino
di un’estate ostinata a perpetrarsi,
la cui sontuosa coda ancora brilla verso l’ovest.

Sembrerebbe che qui non accada nulla,
ma un silenzio subitaneo illumina il prodigio:
è passato
un angelo
che si chiamava luce, o fuoco, o vita.

E lo abbiamo perduto per sempre.
EL OTOÑO SE ACERCA

El otoño se acerca con muy poco ruido:
apagadas cigarras, unos grillos apenas,
defienden el reducto
de un verano obstinado en perpetuarse,
cuya suntuosa cola aún brilla hacia el oeste.

Se diría que aquí no pasa nada,
pero un silencio súbito ilumina el prodigio:
ha pasado
un ángel
que se llamaba luz, o fuego, o vida.

Y lo perdimos para siempre.

SPERANZA

Speranza,
ragno nero dell’imbrunire.
Ti fermi
non lontano dal mio corpo
abbandonato, cammini
intorno a me,
tessendo, rapida,
inconsistenti fili invisibili,
ti avvicini, ostinata
e mi accarezzi quasi con la tua ombra
pesante
e lieve allo stesso tempo.
Rannicchiata
sotto le pietre e le ore,
hai aspettato, paziente, l’arrivo
di questa sera
in cui
niente è ormai possibile…
Il mio cuore:
il tuo nido.
Addentalo, speranza

ESPERANZA

Esperanza,
araña negra del atardecer.
Tu paras
no lejos de mi cuerpo
abandonado, andas
en torno a mí,
tejiendo, rápida,
inconsistentes hilos invisibles,
te acercas, obstinada,
y me acaricias casi con tu sombra
pesada
y leve a un tiempo.
Agazapada
bajo las piedras y las horas,
esperaste, paciente, la llegada
de esta tarde
en la que nada
es ya posible…
Mi corazón:
tu nido.
Muerde en él, esperanza.

COMPLEANNI

Io me ne accorgo: come sto diventando
meno sicuro, confuso,
dissolvendomi nell’aria
quotidiana, grossolano
brandello di me, sfilacciato
e rotto dai pugni
Io comprendo: ho vissuto
un anno in più, ed è molto duro.
Muovere il cuore tutti i giorni
quasi cento volte al minuto!

Per vivere un anno è necessario
morire molto molte volte.

CUMPLEAÑOS

Yo lo noto: cómo me voy volviendo
menos cierto, confuso,
disolviéndome en el aire
cotidiano, burdo
jirón de mí, deshilachado
y roto por los puños
Yo comprendo: he vivido
un año más, y eso es muy duro.
¡Mover el corazón todos los días
casi cien veces por minuto!

Para vivir un año es necesario
morirse muchas veces mucho.

MIRACOLO DELLA LUCE

Miracolo della luce: l’ombra nasce,
sbatte in silenzio contro le montagne,
crolla senza peso al suolo
disvelandosi alle erbe delicate.
Gli eucalipti lasciano sulla terra
la tremula pelle della loro sagoma
allungata, sopra la quale volano
freddi uccelli che non cantano.
Un’ombra, più lieve e più semplice,
che nasce dalle tue gambe, s’affretta
per annunciare l’ultimo, più puro
miracolo della luce: tu contro l’alba.

MILAGRO DE LA LUZ

Milagro de la luz: la sombra nace,
choca en silencio contra las montañas,
se desploma sin peso sobre el suelo
desevelando a las hierbas delicadas.
Los eucaliptos dejan en la tierra
la temblorosa piel de su alargada
silueta, en la que vuelan fríos
pájaros que no cantan.
Una sombra más leve y más sencilla,
que nace de tus piernas, se adelanta
para anunciar el último, el más puro
milagro de la luz: tú contra el alba.

IL GIORNO SE N’È ANDATO

Ora andrà per altre terre,
portando lontano luci e speranze,
disperdendo remoti stormi d’uccelli,
e rumori, voci, campane,
— chiassoso cane che mena la coda
e abbaia davanti alle porte accostate.

(Frattanto, la notte, come un gatto
furtivo, è entrato dalla finestra,
ha visto avanzi di luce pallida e fredda, e
ha bevuto l’ultima tazza. )

Sì;
il giorno se n’è andato per sempre.
Molto non è stato preso (nulla mi porto via);
solo un po’ di tempo tra i denti,
un misero gregge di luci spossate.
Non piangete neppure. Puntuale e inquieto,
senza alcun dubbio tornerà domani.
Spaventerà quel gatto nero.
Abbaierà fino a buttarmi dal letto.

Ma non sarà lo stesso. Sarà un altro giorno.

Sarà un altro cane della stessa razza.

EL DÍA SE HA IDO

Ahora andará por otras tierras,
llevando lejos luces y esperanzas,
aventando bandadas de pájaros remotos,
y rumores, y voces, y campanas,
— ruidoso perro que menea la cola
y ladra ante las puertas entornadas.

(Entretanto, la noche, como un gato
sigiloso, entró por la ventana,
vio unos restos de luz pálida y fría, y
se bebió la última taza.)

Sí;
definitivamente el día se ha ido.
Mucho no se llevó (no trajo nada);
sólo un poco de tiempo entre los dientes,
un menguado rebaño de luces fatigadas.
Tampoco lo lloréis. Puntual e inquieto,
sin duda alguna, volverá mañana.
Ahuyentará a ese gato negro.
Ladrará hasta sacarme de la cama.

Pero no será igual. Será otro día.

Será otro perro de la misma raza.

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Loredana Semantica traduce Mark Strand “The end”

20 domenica Set 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA

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La fine

Nessun uomo sa cosa cantare alla fine
guardando il molo come nave che salpi, ché così gli sembrerà
quando rapito dal ruggito del mare, è immobile, lì alla fine
o cosa sperare essendo chiaro ormai che non tornerà più indietro

Il tempo non sembra lungo quando trascorre potando rose
o accarezzando il gatto, contemplando il tramonto che incendia il prato
o la luna piena che imbianca la terra, nessun uomo invece sa cosa scoprirà
quando il peso del passato sporge tra il nulla e il cielo

Non c’è altro che il ricordo della luce e trame di cirri
nuvole che si chiudono dense e uccelli sospesi in volo
nessun uomo sa cosa l’aspetta o cosa cantare
quando la sua nave scivola nell’oscurità della fine

(Mark Strand traduzione di Loredana Semantica)

The end

Not every man knows what he shall sing at the end,
Watching the pier as the ship sails away, or what it will seem like
When he’s held by the sea’s roar, motionless, there at the end,
Or what he shall hope for once it is clear that he’ll never go back.

When the time has passed to prune the rose or caress the cat,
When the sunset torching the lawn and the full moon icing it down
No longer appear, not every man knows what he’ll discover instead.
When the weight of the past leans against nothing, and the sky

Is no more than remembered light, and the stories of cirrus
And cumulus come to a close, and all the birds are suspended in flight,
Not every man knows what is waiting for him, or what he shall sing
When the ship he is on slips into darkness, there at the end.

Mark Strand

 

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Loredana Semantica traduce Sylvia Plath “I am vertical”

13 domenica Set 2020

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA, Rose di poesia e prosa

≈ 2 commenti

Io sono verticale
ma preferirei essere orizzontale
non sono albero con radici nella terra
a succhiare minerali e amore di madre
così da luccicare di foglie ad ogni marzo
né sono bella come un angolo di giardino
che desta meraviglia per splendore di colori
senza sapere che presto sfiorirà.
Al mio confronto un albero è immortale
e la corolla di un fiore meno alta ma più ardita
vorrei del primo la lunga vita dell’altro l’anima viva.

Stanotte nella luce infinitesimale delle stelle
i fiori e gli alberi spandono profumi freddi
io li attraverso ma loro non si accorgono di me
a volte penso che mentre dormo
quando i pensieri svaniscono
assomiglio a loro perfettamente.
E’ più naturale per me stare supina
allora io ed i cieli parliamo senza riserve
io sarò utile quando resterò così per sempre
finalmente
gli alberi si piegheranno fino a toccarmi
e i fiori avranno un attimo (solo) per me.

I am vertical
But I would rather be horizontal.
i am not a tree with my root in the soil
sucking up minerals and motherly love
so that each March I may gleam into leaf,
nor am I the beauty of a garden bed
attracting my share of Ahs and spectacularly painted,
unknowing I must soon unpetal.
Compared with me, a tree is immortal
and a flower-head not tall, but more startling,
and I want the one’s longevity and the other’s daring.

Tonight, in the infinitesimal light of the stars,
the trees and flowers have been strewing their cool odors.
i walk among them, but none of them are noticing.
sometimes I think that when I am sleeping
i must most perfectly resemble them–
thoughts gone dim.
it is more natural to me, lying down.
then the sky and I are in open conversation,
and I shall be useful when I lie down finally:
the the trees may touch me for once,
and the flowers have time for me.

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Emilio Capaccio traduce Carlos Drummond de Andrade

05 sabato Set 2020

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA

≈ 2 commenti

Ho appena due mani
e il sentimento del mondo.

C. D. de A.

Carlos Drummond de Andrade , traduzioni di Emilio Capaccio

VERITÀ

La porta della verità era aperta
ma lasciava passare solo
mezza persona alla volta.

Così non era possibile attingere a tutta la verità
perché la mezza persona che entrava
portava solo il profilo di mezza verità.

La seconda metà
ritornava ugualmente con mezzo profilo
e i due mezzi profili non coincidevano.

Fecero saltare la porta. Abbatterono la porta.
Arrivarono a un luogo luminoso
dove la verità splendeva i suoi fuochi.
Era divisa in due metà,
differenti l’una dall’altra.

Si finì a discutere su quale metà fosse più bella.
Entrambe erano pienamente belle.
Ma bisognava scegliere. Ognuno scelse in base
al suo capriccio, alla sua illusione, alla sua miopia.

VERDADE

A porta da verdade estava aberta,
mas só deixava passar
meia pessoa de cada vez.

Assim não era possível atingir toda a verdade,
porque a meia pessoa que entrava
só trazia o perfil de meia verdade.

E sua segunda metade
voltava igualmente com meio perfil.
E os dois meios perfis não coincidiam.

Arrebentaram a porta. Derrubaram a porta.
Chegaram a um lugar luminoso
onde a verdade esplendia seus fogos.
Era dividida em duas metades,
diferentes uma da outra.

Chegou-se a discutir qual a metade mais bela.
As duas eram totalmente belas.
Mas carecia optar. Cada um optou conforme
seu capricho, sua ilusão, sua miopia.

SONETTO DELLA PERDUTA SPERANZA

Ho perso il tram e la speranza.
Volto pallido verso casa.
La strada è inutile e nessun’auto
passerebbe sul mio corpo.

Risalgo il pendio lento
dove i sentieri si fondono.
Tutti loro portano al principio
del dramma e del fiore.

Non so se sto soffrendo
o se è qualcuno che si diverte
perché no? nella notte scarsa

con un insolito flautino.
Nel frattempo è molto tempo
che gridiamo: sì! all’eterno.

SONETO DA PERDIDA ESPERANÇA

Perdi o bonde e a esperança.
Volto pálido para casa.
A rua é inútil e nenhum auto
passaria sobre meu corpo.

Vou subir a ladeira lenta
em que os caminhos se fundem.
Todos eles conduzem ao
princípio do drama e da flora.

Não sei se estou sofrendo
ou se é alguém que se diverte
por que não? na noite escassa

com um insolúvel flautim.
Entretanto há muito tempo
nós gritamos: sim! ao eterno.

AMARE

Che altro può fare una creatura se non,
tra le creature, amare?
amare e dimenticare,
amare e mal amare,
amare, disamare, amare?
sempre, fino all’occhio vitreo, amare?

Che altro può fare, mi chiedo, l’essere amoroso,
solo, in rotazione universale, se non
ruotare lo stesso, e amare?
amare ciò che il mare porta alla spiaggia,
e ciò che seppellisce, e ciò che, nella brezza marina,
è sale, o bisogno d’amore, o semplice ansia?

Amare solennemente le palme del deserto,
ciò che è offerta o adorazione spettante,
e amare l’aspro, l’inospitale,
un vaso senza fiori, una superficie di ferro,
e il petto inerte, e la strada vista nel sogno, e un uccello rapace.

Questo è il nostro destino: amore senza riguardo,
distribuito tra cose perfide o nulle,
donazione illimitata a una completa ingratitudine,
e nella vuota conca dell’amore la ricerca timorosa,
paziente, di più e più amore.

Amare la nostra stessa mancanza d’amore, e nella nostra arsura
amare l’acqua implicita, e il bacio tacito, e la sete infinita.

AMAR

Que pode uma criatura senão,
entre criaturas, amar?
amar e esquecer, amar e malamar,
amar, desamar, amar?
sempre, e até de olhos vidrados, amar?

Que pode, pergunto, o ser amoroso,
sozinho, em rotação universal,
senão rodar também, e amar?
amar o que o mar traz à praia,
o que ele sepulta, e o que, na brisa marinha,
é sal, ou precisão de amor, ou simples ânsia?

Amar solenemente as palmas do deserto,
o que é entrega ou adoração expectante,
e amar o inóspito, o cru,
um vaso sem flor, um chão de ferro,
e o peito inerte, e a rua vista em sonho, e
uma ave de rapina.

Este o nosso destino: amor sem conta,
distribuido pelas coisas pérfidas ou nulas,
doação ilimitada a uma completa ingratidão,
e na concha vazia do amor a procura medrosa,
paciente, de mais e mais amor.

Amar a nossa falta mesma de amor,
e na secura nossa amar a água implícita,
e o beijo tácito, e a sede infinita.
ASSENZA

Per molto tempo pensai che l’assenza fosse mancanza.
E mi lamentavo, ignorante, della mancanza.
Oggi non mi lamento.
Non c’è mancanza nell’assenza.
L’assenza è uno stare in me.
E la sento, chiara, così raccolta, accoccolata tra le mie braccia,
che rido e danzo e invento esclamazioni allegre,
perché l’assenza, questa assenza assimilata,
più nessuno me la porterà via.

AUSÊNCIA

Por muito tempo achei que a ausência é falta.
E lastimava, ignorante, a falta.
Hoje não a lastimo.
Não há falta na ausência.
A ausência é um estar em mim.
E sinto-a, branca, tão pegada, aconchegada nos meus braços,
que rio e danço e invento exclamações alegres,
porque a ausência, essa ausência assimilada,
ninguém a rouba mais de mim.

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Emilio Capaccio traduce Seamus Heaney

18 sabato Lug 2020

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA

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Tag

Emilio Capaccio, Seamus Heaney

Tra l’indice e il pollice
ho la penna.
Scaverò con quella.

S. H.

 

Seamus Heaney, traduzioni di Emilio Capaccio

ANAHORISH 1944

Scannavamo i maiali quando arrivarono gli americani.
Un martedì mattina, sole e rivoli di sangue
fuori dal mattatoio. Dalla strada principale
dovevano aver sentito lo strillo.
Poi lo sentirono cessare ed ebbero la visione di noi
in guanti e grembiali scendere giù per la collina.
Due file di loro, fucili in spalle, che marciavano.
Blindati, carri armati e jeep scoperte.
Mani e braccia arse dal sole. Nomi sconosciuti.
Condotti verso la Normandia.
Non che sapessimo allora
dove fossero diretti, trovandoci lì come dei ragazzini
mentre ci lanciavano gomme e tubetti di caramelle colorate.

ANAHORISH 1944

We were killing pigs when the Americans arrived.
A Tuesday morning, sunlight and gutter-blood
Outside the slaughterhouse. From the main road
They would have heard the squealing,
Then heard it stop and had a view of us
In our gloves and aprons coming down the hill.
Two lines of them, guns on their shoulders, marching.
Armoured cars and tanks and open jeeps.
Sunburnt hands and arms. Unknown, unnamed,
Hosting for Normandy.
Not that we knew then
Where they were headed, standing there like youngsters
As they tossed us gum and tubes of coloured sweets.

AL MOMENTO

Una fredda covata, un nido intero, completamente nascosto
nel terriccio di foglie dell’autunno passato, e compresi
dall’opacità e dalla sua immobilità, putrefatti,
al mutare in sudore di morte una rugiada del mattino
che non faceva brillare i gusci ma li marciva.
Ero lì curvo sulle mani e in ginocchio
nel prato bagnato sotto la siepe, in adorazione,
di primo mattino intento ad allungarmi
e convinto di trovare uova calde. E invece
questo improvviso brillantino polare
e stigma e freddo cerchio di pietra dell’alba
nella mia mortificata mano destra, prova evidente
di quello che cospirò al momento per scompigliare
la materia nella sua stasi planetaria.

ON THE SPOT

A cold clutch, a whole nestful, all but hidden
in last year’s autumn leaf-mould, and I knew
by the mattness and the stillness of them, rotten,
making death sweat of a morning dew
that didn’t so much shine the shells as damp them.
I was down on my hands and knees there in the wet
grass under the hedge, adoring it,
early riser busy reaching in
and used to finding warm eggs. But instead
this sudden polar stud
and stigma and dawn stone-circle chill
in my mortified right hand, proof positive
of what conspired on the spot to addle
matter in its planetary stand-off.

LA FRUSTA DI SALICE

Sulla strada principale di Granard incontrai Duffy
che avevo conosciuto prima dell’età del giudizio
in pantaloncini corti alla classe delle elementari
dove una volta in un giorno d’inverno Miss Walls
perse la testa e ci frustò alle gambe
per un discorso indecente che pensavamo non udisse.
«O, per amor di Dio!» urlò Duffy, venendomi incontro
col suo bastone in aria e due braccia spalancate,
«Per amor di Dio! Ti ricordi la frusta di salice?»

THE SALLY ROD

On the main street of Granard I met Duffy
whom I had known before the age of reason
in short trousers in the Senior Infans room
where once upon a winter’s day Miss Walls
lost her head and cut the legs off us
for dirty talk we didn’t think she’d hear.
«Well, for Jesus sake» cried Duffy, coming at me
with his stick in the air and two wide open arms,
«For Jesus sake! D’you mind the sally rod?»

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Emilio Capaccio traduce Yves Bonnefoy – Fotografie di Lorenzo Noto

30 sabato Mag 2020

Posted by Loredana Semantica in Fotografia, Idiomatiche, Il colore e le forme, LETTERATURA

≈ 3 commenti

Tag

Emilio Capaccio, Lorenzo Noto, Yves Bonnefoy

Nella rubrica “Idiomatiche” inaugurata lo scorso sabato per accogliere le traduzioni di testi poetici e no, pubblico questa la seconda parte dei testi di Yves Bonnefoy tradotti da Emilio Capaccio e fotografie di Lorenzo Noto. L’articolo precedente qui.

Yves Bonnefoy

L’uccello valica il canto dell’uccello
e si allontana 
Y.B.

Yves Bonnefoy, traduzioni di Emilio Capaccio, fotografie di Lorenzo Noto

IL POZZO

Ascolta la catena urtare la parete
Quando il secchio scende nel pozzo che è l’altra stella,
A volte la stella della sera, quella che arriva sola,
A volte il fuoco senza raggi che attende all’alba
Che escono il pastore e gli animali.
Ma l’acqua è sempre chiusa, in fondo al pozzo
E la stella resta sempre sigillata.
Si percepiscono delle ombre, sotto i rami,
Sono viaggiatori che passano di notte
Curvi, il dorso carico di una massa scura,
Esitando, si direbbe, a un crocevia.
Alcune sembrano attendere, altre si spengono
Nello scintillio senza luce.
Il viaggio dell’uomo, della donna, è lungo, più lungo
della vita,
È una stella alla fine del cammino, un cielo
Che abbiamo creduto brillare fra due alberi.
Quando il secchio tocca l’acqua che lo sorregge,
È una gioia, poi la catena lo affonda.

LE PUITS

Tu écoutes la chaîne heurter la paroi
Quand le seau descend dans le puits qui est l’autre étoile,
Parfois l’étoile du soir, celle qui vient seule,
Parfois le feu sans rayons qui attend à l’aube
Que le berger et les bêtes sortent.
Mais toujours l’eau est close, au fond du puits,
Toujours l’étoile y demeure scellée.
On y perçoit des ombres, sous des branches,
Ce sont des voyageurs qui passent de nuit
Courbés, le dos chargé d’une masse noire,
Hésitant, dirait-on, à un carrefour.
Certains semblent attendre, d’autres s’effacent
Dans l’étincellement qui va sans lumière.
Le voyage de l’homme, de la femme est long, plus long
que la vie,
C’est une étoile au bout du chemin, un ciel
Qu’on a cru voir briller entre deux arbres.
Quand le seau touche l’eau, qui le soulève,
C’est une joie puis la chaîne l’accable.

GLI ALBERI

Noi guardavamo i nostri alberi, fu in cima
Al terrazzo che ci furono cari, il sole
Si teneva ancora vicino a noi quella volta
Ma in ritirata, ospite silenzioso,
Sulla soglia della casa in rovina, che noi lasciavamo
Al suo potere, immenso, illuminato.
Vedi, ti dicevo, fa glissare contro la pietra
Ineguale, incomprensibile, del nostro appoggio,
L’ombra delle nostre spalle confuse,
Quelle dei mandorli che sono vicini a noi,
E quella stessa dei muri alti che si mescola alle altre,
Sfasciata, barca bruciata, prua che va alla deriva,
Come un sovrappeso di sogno o di fumo.
Ma quelle querce laggiù sono immobili,
La loro stessa ombra non si muove, nella luce,
Ci sono le rive del tempo che scorrono qui dove siamo
E il loro suolo è inabbordabile, tanto è rapida
La corrente della speranza grande della morte.
Guardammo per un’intera ora gli alberi.
Il sole attendeva tra le pietre, poi ebbe compassione,
Stese verso di loro, a un livello inferiore, nel burrone,
Le nostre ombre che sembrarono raggiungerlo,
Come allungando le braccia si può toccare
Talvolta, nella distanza tra due esseri,
Un istante del sogno dell’altro, che va senza fine.

LES ARBRES

Nous regardions nos arbres, c’était du haut
De la terrasse qui nous fut chère, le soleil
Se tenait près de nous cette fois encore
Mais en retrait, hôte silencieux
Au seuil de la maison en ruines, que nous laissions
À son pouvoir, immense, illuminée.
Vois, te disais-je, il fait glisser contre la pierre
Inégale, incompréhensible, de notre appui
L’ombre de nos épaules confondues,
Celle des amandiers qui sont près de nous
Et celle même du haut des murs qui se mêle aux autres,
Trouée, barque brûlée, proue qui dérive,
Comme un surcroît de rêve ou de fumée.
Mais ces chênes là-bas sont immobiles,
Même leur ombre ne bouge pas, dans la lumière,
Ce sont les rives du temps qui coule ici où nous sommes,
Et leur sol est inabordable, tant est rapide
Le courant de l’espoir gros de la mort.
Nous regardâmes les arbres toute une heure.
Le soleil attendait, parmi les pierres,
Puis il eut compassion, il étendit
Vers eux, en contrebas dans le ravin,
Nos ombres qui parurent les atteindre
Comme, avançant le bras, on peut toucher
Parfois, dans la distance entre deux êtres,
Un instant du rêve de l’autre, qui va sans fin.

UNA PIETRA

Hanno vissuto al tempo in cui le parole erano povere,
Il senso non vibrava più nei ritmi disfatti,
Il fumo abbondava, avvolgendo la fiamma,
Temevano che la gioia non li avrebbe risorpresi.

Hanno dormito. Fu per sconforto del mondo.
Passavano nel loro sonno dei ricordi
Come di barche nella nebbia che accrescono
I loro fuochi, prima di prendere l’altezza del fiume.

Si sono svegliati. Ma l’erba è già nera.
Le ombre siano il loro pane e il vento la loro acqua.
Il silenzio, l’inconsapevolezza il loro anello,
Una bracciata di notte tutto il loro fuoco sulla terra.

UNE PIERRE

Ils ont vécu au temps où les mots furent pauvres,
Le sens ne vibrait plus dans les rythmes défaits,
La fumée foisonnait, enveloppant la flamme,
Ils craignaient que la joie ne les surprendrait plus.

Ils ont dormi. Ce fut par détresse du monde.
Passaient dans leur sommeil des souvenirs
Comme des barques dans la brume, qui accroissent
Leurs feux, avant de prendre le haut du fleuve.

Ils se sont éveillés. Mais l’herbe est déjà noire.
Les ombres soient leur pain et le vent leur eau.
Le silence, l’inconnaissance leur anneau,
Une brassée de nuit tout leur feu sur terre.

 

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Emilio Capaccio traduce Yves Bonnefoy – Fotografie di Lorenzo Noto

23 sabato Mag 2020

Posted by Loredana Semantica in Fotografia, Idiomatiche, Il colore e le forme, LETTERATURA

≈ 1 Commento

Tag

Emilio Capaccio, Lorenzo Noto, Yves Bonnefoy

Questo post avrebbe potuto essere un Prisma lirico, cioè un articolo che sposa parola poetica e suggestione di immagini in un unicum, e, in effetti lo è, ma questa volta è esaltata, a maggior valore, quella particolare attenzione alla parola che riversa il testo da un idioma ad un altro, con l’operazione di traduzione d’autore. Potrei dilungarmi ad approfondire cosa significa tradurre, se occorre essere fedeli al testo, se personalizzare la traduzione secondo il proprio sentire, ma questa è un’introduzione non un approfondimento, tanto più che io stessa quando traduco la mia amata Emily Dickinson non sono molto rispettosa delle sue caratteristiche di scrittura, le maiuscole ad esempio, i trattini sparsi. Tolgo virgole, articoli determinativi e indeterminativi. A volte non è che proprio traduco, piuttosto “converto” o reinterpreto. Da ciò, cioè da questo comportamento concludente se ne deduce anche il mio pensiero. Io sono convinta che tradurre sia un’operazione che sta al traduttore, e spazia dal letterale al libero, secondo il suo sentire. Certamente però tradurre sempre e sempre sarà un voler comprendere profondamente il testo sposandolo alla propria lingua e, dunque, contemporaneamente un omaggio al poeta o scrittore scelto e  diffondere la traduzione è volerlo più conosciuto e conoscibile nel proprio mondo. Tradurre è quindi contemporaneamente una testimonianza di passione per la parola e per quello specifico autore.

Quando ho letto le traduzioni delle poesie di Yves Bonnefoy di Emilio Capaccio,  espressione della sua passione nel senso che ho esposto sopra, ho pensato che fosse il caso di avviare questa nuova rubrica dedicata alla traduzione dei testi di letteratura, poetici e no. Si chiamerà “Idiomatiche”. Per l’occasione ho chiesto a Lorenzo Noto di poter scegliere alcune sue foto da affiancare ai testi in lingua originale e tradotti. Ecco il frutto del connubio in questa suggestiva inaugurazione. Il prossimo sabato la seconda parte di questo articolo.

Yves Bonnefoy, traduzioni di Emilio Capaccio, fotografie di Lorenzo Noto

L’uccello valica il canto dell’uccello

e si allontana. (Y.B.)

IL FULMINE

Ha piovuto, questa notte.
La strada ha l’odore dell’erba ammollita,
Poi, nuovamente, la mano della calura
Sulla nostra spalla, come
A dire che il tempo non torna indietro a riprenderci.
Ma là, dove il campo viene a incespicare contro il mandorlo,
Vedi, un rossiccio è balzato
Da ieri a oggi attraverso le foglie.
E noi ci siamo fermati, è fuori dal mondo,
E io vengo vicino a te,
Finisco di strapparti dal tronco annerito,
Ramo, fulminato,
Da cui la linfa di ieri, ancora divina, scorre.

LA FOUDRE

Il a plu, cette nuit.
Le chemin a l’odeur de l’herbe mouillée,
Puis, à nouveau, la main de la chaleur
Sur notre épaule, comme
Pour dire que le temps ne va rien nous prendre.
Mais là où le champ vient buter contre l’amandier,
Vois, un fauve a bondi
D’hier à aujourd’hui à travers les feuilles.
Et nous nous arrêtons, c’est hors du monde,
Et je viens près de toi,
J’achève de t’arracher du tronc noirci,
Branche, été foudroyé
De quoi la sève d’hier, divine encore, coule.

 

LA CAMERA

Lo specchio e il fiume in piena, stamattina,
Si chiamavano attraverso la camera, due luci
Si trovano e si uniscono nell’oscuro
Dei mobili della stanza dissigillata.

E noi eravamo due paesi di sonno
Comunicanti dai loro scalini di pietra
Dove si perdeva l’acqua non agitata di un sogno
Sempre riformatosi, sempre infranto.

La mano pura dormiva accanto alla mano inquieta.
Un corpo poco alla volta nel suo sogno si muoveva.
E lontano, sull’acqua più nera di un tavolo
L’abito rosso illuminante dormiva.

LA CHAMBRE

Le miroir et le fleuve en crue, ce matin,
S’appelaient à travers la chambre, deux lumières
Se trouvent et s’unissent dans l’obscur
Des meubles de la chambre descellée.

Et nous étions deux pays de sommeil
Communiquant par leurs marches de pierre
Où se perdait l’eau non trouble d’un rêve
Toujours se reformant, toujours brisé.

La main pure dormait près de la main soucieuse.
Un corps un peu parfois dans son rêve bougeait.
Et loin, sur l’eau plus noire d’une table
la robe rouge éclairante dormait.

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