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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: EMILY DICKINSON

Incontro con il traduttore. Il mestiere del traduttore secondo Silvio Raffo.

18 venerdì Mar 2022

Posted by adrianagloriamarigo in MISCELÁNEAS

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EMILY DICKINSON, Natura la più dolce delle madri, Silvio Raffo

 

Vorremmo conoscere qualcosa di più sul mestiere (o professione?) del traduttore, su questo “tradire” per “restituire” in altra lingua dall’originaria un testo che spesso è scelto per affinità: il contenuto, la forma, il significante esercitano sicuramente nel traduttore una fascinazione per la quale si sceglie di trasferire in altra lingua la bellezza percepita nel testo originario. Ci rivolgiamo al poeta Silvio Raffo, traduttore dall’inglese in lingua italiana di poetesse anglo–americane, in particolare di Emily Dickinson di cui è il maggiore studioso.

  1. Silvio Raffo, grazie di aver accolto il nostro invito. I lettori del blog “Limina Mundi” sono interessati a conoscere il lavoro del traduttore; tu, però, sei anche poeta, scrittore, saggista, collabori inoltre a riviste specialistiche di poesia e hai curato le opere di poetesse italiane dimenticate portando a nuova luce Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Ada Negri: ci illustri la tua formazione, il percorso, l’evoluzione, la scelta di tradurre i libri degli altri e perché la preferenza della lingua inglese, in particolare la poesia delle poetesse?

Ho iniziato a tradurre poesia per puro diletto, diciamo per amore. Sentivo il bisogno di ricreare in italiano i testi dei miei poeti preferiti per correggere i difetti delle traduzioni che conoscevo, in molti casi aridamente letterali o pomposamente enfatiche (specie per i grandi dell’Ottocento). L’inglese è sempre stata la mia lingua prediletta, una sorta di lingua interiore, come del resto il greco. Il colpo di fulmine si è verificato con Emily Dickinson, di cui a 14 anni lessi sull’antologia To make a prairie it takes a clover and one bee. Fra i 14 e i 17 anni tradussi circa un centinaio di liriche su un quadernetto. Era soprattutto un modo di rimediare alla solitudine. Le altre poetesse sono tutte sue sorelle minori. Sono state sempre delle ‘relazioni’ oltre che delle traduzioni. Amori ultraterreni con amate invisibili. Solo nella maturità, verso i cinquant’anni, ho accolto nel mio harem anche figure maschili: Philip Larkin, Branwell Bronte, Alfred Douglas. Si trattava sempre di soggetti solitari, sradicati, incompresi o, per usare un termine abusato, “diversi”.

  1. Padronanza della lingua madre e della lingua da tradurre; fini conoscenze tecniche nell’ordine della parola, della grammatica, della sintassi; sensibilità inventiva e poetica sono le caratteristiche fondamentali che occorre possedere per la traduzione: tuttavia non è difficile pensare che il traduttore sia anche autore, sia corredato di un esprit de finesse indispensabile al buon esito dell’opera.

 

Sono convinto che per tradurre bene poesia occorra essere poeti. È proprio l’esprit de finesse che non può mancare, la sintonia profonda di due anime poetiche anche tecnicamente affini. Non potrei mai tradurre autori non melodici o perlomeno caratterizzati da una riconoscibile musicalità. Da Adelphi mi fu proposto Derek Walcott e rifiutai. Quando il traduttore è un poeta, il risultato è una ri-creazione vitale del modello di partenza, cui si mantiene fedele per metri, ritmi e spesso anche rime: traduzione e al tempo stesso opera autonoma, vivente di vita propria. E può talvolta accadere che una traduzione–miracolo, incredibile ma non impossibile, sia poeticamente più convincente dell’originale.

 

  1. Intorno alla figura del traduttore esiste un luogo comune: la “solitudine del traduttore”. È solo un retaggio romantico o realmente è condizione necessaria o, forse, acquisita nelle lunghe ore a contatto con “i libri degli altri”, i dizionari, l’ascolto del suono delle parole nella lingua originaria e in quella finale?

 

È condizione a mio avviso necessaria.

 

  1. Ancora: quanto è importante l’incontro con altri traduttori, il confrontarsi con altre esperienze, il viaggio, la conoscenza diretta con un autore per il quale si nutre un sentimento di ammirazione, una specchiatura derivante dall’uso della parola, dai contenuti dei testi?

 

Raramente, direi quasi mai, mi sono confrontato con altri traduttori. Solo quando ho lavorato su testi in spagnolo e francese ho tenuto conto di versioni altrui, sempre discostandomene, alla dovuta distanza. Piuttosto ho chiesto consigli nel corso di un lavoro di traduzione a persone della cui autorità mi fidavo, come ad esempio per la Dickinson a Margherita Guidacci.

 

  1. È corretto pensare che, riguardo al linguaggio, l’esperienza della traduzione «insieme al tempo che scorre, forma degli strati nella nostra lingua madre, e inevitabilmente le parole che usiamo sono sempre nostre», come dichiara la traduttrice Gioia Guerzoni?

 

Le parole, si, sono sempre nostre.

 

  1. Quanto è importante la fedeltà al testo? È pensabile, accettabile l’idea di fare la sovrapposizione della lingua finale a quella iniziale? Oppure la lingua, ogni lingua, ha una struttura psichica che non consente il calco e, pertanto, l’invenzione è non solo naturale, ma addirittura auspicabile come atto del pensiero immaginale, soprattutto nei luoghi della poesia?

 

Come ci insegna la psicolinguistica, disciplina che ho insegnato per anni ai traduttori e interpreti, ogni lingua ha una sua specifica struttura psichica (come un suo specifico effetto fonetico) che non consente calchi. Certo è compito del traduttore trovare combinazioni il più possibile simili a quelle del testo originale. Se Edgar Allan Poe usa fonemi dal suono e dall’effetto lugubri per rendere una determinata situazione psichica, il traduttore dovrà cercare di fare altrettanto nella sua lingua. Se Verlaine nella sua Chanson d’Automne usa i fonemi «sanglots longs», il traduttore preferirà in italiano il vocabolo ‘singulto’ a ‘singhiozzo’ per riprodurre l’effetto della liquidità strangolata.

 

  1. Ne deriva che la traduzione presenta sempre un problema, poiché si va a compiere non solo la versione della psiche di una lingua nella psiche di un’altra lingua, ma anche la versione della psiche dell’autore nella psiche del traduttore, il quale viene a trovarsi nella posizione di decifratore del mondo logico– immaginifico dell’autore senza mai raggiungerne gli abissi, testimoniando invece che sussistono, imprendibili, gli «arcani più segreti del meraviglioso fenomeno della parola» (José Ortega y Gasset, Miseria e splendore della traduzione)

 

Sì, certo, è un gioco di interazione osmotica. Non si può compiere senza una comunicazione intrapsichica.

 

  1. Inoltre: esiste un “talento”, una disposizione innata al linguaggio per cui il traduttore avvicina la parola dell’autore in una sorta di invisibilità in modo da non far percepire la propria abilità linguistica?

 

Il talento è qualità indispensabile, condicio sine qua non.

 

  1. Ritieni appropriata anche a te l’espressione del traduttore messicano Hiram Barrios «Costruiamo ponti» da cui si deduce che il traduttore si pone in una relazione etica, da mediatore culturale, per cui la traduzione è non solo rendere al lettore l’ambiente vibrante l’anima del testo, ma anche l’avvicinare culture e saperi differenti, prospettare scambi culturali, incontri di intelletti?

 

Sottoscrivo alla lettera: il traduttore è mediatore culturale.

 

Silvio Raffo

 

Biobibliografia

Silvio Raffo, nato a Roma, vive e insegna a Varese. Traduttore di una dozzina di poeti angloamericani, autore di romanzi e più di dieci raccolte di poesia, dirige a Varese il centro di cultura “La Piccola Fenice”. Ha vinto numerosi premi di prestigio, fra cui il Gozzano, il Cardarelli, il Montale e il Valdicomino. Dal suo romanzo La voce della pietra, Elliot Edizioni, 2018 è stato tratto il film omonimo di produzione americana. Ultime opere: il romanzo Gli angeli della casa, Elliot Edizioni, 2021, la silloge poetica Il taccuino del recluso, Interno Poesia, 2021, la traduzione di una scelta dei “Bollettini dell’Immortalità” di E. Dickinson Natura la più dolce delle madri, Elliot Edizioni, 2021. È autore dell’antologia di poesia italiana del Novecento Muse del disincanto, Castelvecchi, 2019

da  Natura la più dolce delle madri

12

The morns are meeker than they were –

The nuts are getting brown –

The berry’s cheek is plumper –

The Rose is out of town.

The Maple wears a gayer scarf –

The field a scarlet gown –

Lest I sh’ d be old fashioned

I’ll put a trinket on.

 

 

 

12

Si son fatte più miti le mattine –

son diventate più scure le noci –

e le bacche hanno un viso più rotondo –

la Rosa ha abbandonato la città.

L’Acero indossa una sciarpa più gaia,

e la campagna una gonna scarlatta.

Per non esser fuori moda

indosserò un gioiello.

 

 

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Forma alchemica 26: Emily Dickinson

18 sabato Set 2021

Posted by Loredana Semantica in Forma alchemica, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Forma alchemica 26: Emily Dickinson

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EMILY DICKINSON

Poiché non potevo fermarmi per la morte

Poiché non potevo fermarmi per la Morte –
Lei gentilmente si fermò per me –
La Carrozza non portava che Noi Due –
E l’Immortalità –

Andavamo lentamente – Lei non aveva fretta
Ed io avevo messo da parte
Il mio lavoro e anche il mio tempo libero,
per la sua cortesia –

Oltrepassammo la Scuola, dove i Bambini si battevano
Nell’Intervallo – in Cerchio –
Oltrepassammo i campi del Grano che ci fissava –
Oltrepassammo il Sole al tramonto –

O piuttosto – Lui ci oltrepassò –
La Rugiada tracciò tremante e gelida –
Il mio Vestito di Tessuto leggero
La mia Stola – solo un velo –

Sostammo davanti a una Casa che sembrava
Un rigonfiamento del suolo –
Il Tetto era appena visibile –
Il Cornicione – nel Tumulo –

Da allora – sono Secoli – eppure
Li avverto ciascuno più brevi del Giorno
In cui per prima intuii che le Teste dei Cavalli
erano rivolte verso l’Eternità.

(traduzione di Loredana Semantica)

Because i could not stop for death

Because I could not stop for Death –
He kindly stopped for me –
The Carriage held but just Ourselves –
And Immortality.

We slowly drove – He knew no haste
And I had put away
My labor and my leisure too,
For His Civility –

We passed the School, where Children strove
At Recess – in the Ring –
We passed the Fields of Gazing Grain –
We passed the Setting Sun –

Or rather – He passed Us –
The Dews drew quivering and Chill –
For only Gossamer, my Gown –
My Tippet – only Tulle –

We paused before a House that seemed
A Swelling of the Ground –
The Roof was scarcely visible –
The Cornice – in the Ground –

Since then – ‘tis Centuries – and yet
Feels shorter than the Day
I first surmised the Horses’ Heads
Were toward Eternity –

Questa poesia di Emily Dickinson è tra quelle sue citata più spesso, specialmente nella sua prima strofa che già forma una poesia a sé. E’ citata spesso perché considerata dai critici un capolavoro di composizione, in termini di rime, assonanze, costruzione retorica; ciò naturalmente si apprezza maggiormente nel testo in lingua originale.
Nel testo la morte è personificata nel pronome “He” letteralmente “Egli” che accompagna il passeggero (io) in un viaggio dentro una carrozza. “Chariot” “carrozza” è appunto il titolo col quale la poesia fu pubblicata postuma nel 1890.
Postuma perché Emily in vita pubblicò solo 15 poesie e la sua raccolta di 1775 poesie, su foglietti di minuta scrittura, cuciti a mano, fu scoperta dalla sorella Lavinia alla morte, avvenuta nel 1886.
Nella poesia l’io poetico e il fantomatico “He” compiono un tragitto in carrozza. Il percorso si snoda nello spazio e passa oltre i bambini che giocano a scuola durante la ricreazione, oltre i campi col grano occhieggiante, oltre il sole che tramonta. Questo scorrere di immagini della realtà regalano al testo un’aura di serenità, nonostante l’argomento sia alquanto tetro. L’ineluttabilità della sorte umana è accompagnata nell’espressione poetica dal senso di accettazione che il viaggio ultimo è inevitabile. Lo scorrere degli scenari fa pensare a quelle visioni che si dice accompagnino gli ultimi momenti di vita, nei quali scorrono i frames della propria esistenza come in un film.
L’insistenza sul concetto di immortalità nella prima strofa e di eternità nell’ultima adombra forse la possibilità di un’esistenza ultraterrena, di uno stato “di morte” che rende eterno il riposo dell’uomo, ma non escluderei anche la presenza nella poesia di un lampo di consapevolezza dell’autrice che, con la sua opera scrittoria, si accinge ad edificare il suo mausoleo di parole. Un magnifico edificio che l’avrebbe resa nota ben oltre la morte. In altri termini viene espressa la preveggenza dell’alto ruolo a cui il destino l’aveva chiamata: la morte nell’anima e per converso la gloria dell’immortalità
Cronologicamente la produzione del testo della poesia viene collocato nell’anno 1863.
Nonostante Emily abbia solo 33 anni ha già incontrato più volte l’oscura signora. Ad appena quattrodici anni aveva perso Sophia Holland, sua amica e cugina, ammalatasi di tifo. Nel 1850 la lasciò, sopraffatto dalla tubercolosi, Benjamin Franklin Newton, un giovane avvocato, suo amico e mentore. Benjamin le scrisse che avrebbe voluto vivere ancora per poterla vedere raggiungere la fama e il successo. Indubbiamente un suo ammiratore. Successivamente e all’improvviso venne a mancare anche l’amico Leonard Humphrey, preside dell’Accademia di Hamherst, dove lei aveva studiato.
Queste morti devastano la poetessa, la gettano in uno stato di sconforto e malinconia che si riflette nei suoi scritti. Un poeta non può che tradurre in poesia l’esito di profonde ricerche interiori dirette alla comprensione della morte, non meno che della vita.
E’ molto probabile inoltre che Emily si fosse già innamorata. Non sappiamo delle liasons con gli amici scomparsi, ma molti studiosi concordano che nel 1855, durante un suo viaggio a Washington, conobbe e si invaghì del reverendo Charles Wadsworth. Egli era sposato con figli perciò il sentimento d’amore sbocciato nella giovane non poté trovare sbocco, rimase platonico.
Con Wadsworth la poetessa intrattenne una relazione epistolare dal 1855 al 1858. Nelle lettere lei lo chiama “Master” cioè Maestro. Non si sa se a sua volta egli la corrispondesse sentimentalmente: queste lettere sono andate distrutte. Nel 1858 Wadsworth accetta un incarico di presbitero a San Francisco e ciò pone fine alla corrispondenza con Emily.
I temi del dolore, separazione, morte delle poesie della Dickinson probabilmente traggono fondamento da questa esperienza traumatizzante, non meno che dai lutti che l’avevano colpita.
Sebbene non si sappia con certezza quando Emily cominci a scrivere le prime poesie è certo che l’esplosione della sua creatività avvenne proprio in questi anni: 1855 – 1863. Durante questo periodo scrisse anche le “Master Letters” Lettere al maestro firmandosi “Daisy”, Margherita. Resta il dubbio che potessero essere destinate al reverendo Wadsworth, ma più probabilmente sono dirette a un Master che è trasfigurazione di un personaggio reale, e, quindi, un essere immaginario cui indirizzare confidenze poetiche, amorose, sensuali.
Nella vita di Emily tra le figure femminili è di fondamentale importanza Susan Gilbert per la quale la poetessa prova un trasporto affettivo intenso, al punto che qualche biografo ipotizza che lei possa essere il “Master” delle famose lettere. Susan diventa cognata di Emily nel 1856, sposandone il fratello Austin, ed Emily, pur amando entrambi, percepisce Austin come un intruso nel rapporto con la sua amica prediletta. Pare quasi che rischi di impazzire quando i coniugi pensano di trasferirsi altrove, lasciando la casa dove vivono adiacente a quella paterna di Dickinson, dove abita la poetessa. Essi si rendono conto della profonda crisi in cui era sprofondata Emily e rinunciano al progetto. Il matrimonio comunque non fu dei più felici, funestato tra l’altro anni dopo dalla perdita del figlio generato.

Questa vicenda a conferma ulteriore che l’equilibrio e la serenità di Emily furono sconvolti proprio in questi anni da perdite, dolori, traumi esistenziali che ne segnano l’esistenza, facendo esplodere incontenibile il potenziale poetico dell’autrice.
Nel 1865 Emily decide di vestire sempre di bianco. Questa scelta è il segno di un’accettazione del proprio destino, la quiete che segue l’agitazione, la volontà di dedizione al suo genio. Sa che la sua vita scorrerà per sempre tra le quattro mura della casa paterna perché questa è una sua decisione e, al contempo, gli abiti bianchi che indossa sono manifestazione esteriore di una raggiunta consapevolezza.

Non aveva paura della morte Emily tuttavia, lo dice chiaramente lei stessa nel corpo di una poesia

“Paura! Di chi ho paura?
Non della Morte – perché chi è Costei?”

Pensa che essa sia ricongiungimento ai cari, raggiungimento della quiete, pensa che l’amore è l’antidoto alla morte, non meno della promessa di resurrezione cristiana.

Chi è amato non conosce morte,
perché l’amore è immortalità,
o meglio, è sostanza divina.

Chi ama non conosce morte,
perché l’amore fa rinascere la vita
nella divinità.

E infine sul perché vestisse di bianco, anche qui troviamo la risposta nella sua stessa poesia.

Non può essere l'”Estate”!
Quella – è passata!
È presto – ancora – per la “Primavera”!
C’è quella lunga città di Bianco – da traversare –
Prima che i Merli cantino!
Non può essere la “Morte”!
È troppo Rosso –
I Morti vestono di Bianco –
Così il Tramonto tronca il mio dubbio
A Colpi di Crisolito!

(traduzione di Giuseppe Ierolli)

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La festa dell’amore: 7 poesie sul tema

13 sabato Feb 2021

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Rose di poesia e prosa

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Cristina Campo, EMILY DICKINSON, Frederic William Burton, Giovanni Raboni, Jacques Prevert, Loredana Semantica, Maria Marchesi, Tamara de Lempicka, William Shakespeare

Il sottotitolo di questo articolo avrebbe potuto essere “Niente di nuovo sotto il sole”, l’amore infatti è un mistero che si ripete da ere, inoltre le poesie proposte, alcune o tutte, di certo le conoscerete. D’altra parte quando vi chiedono “cosa fai per S.Valentino?” rispondete pure “polpette”, come me, poi leggetevi queste poesie qua e se non vi piacciono o non le capite, sorry avete perso molto, non delle poesie, della vita.

Ah dimenticavo, in mezzo mi ci sono messa anch’io, con un mio testo di oltre 10 anni fa, e, a seguire chi volesse può accodarsi. Il post è aperto ai contributi.

Incontro sulle scale della torre, Frederic William Burton, 1864

Non sia mai ch’io ponga impedimenti
all’unione di anime fedeli; Amore non è Amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote
dovran cadere sotto la sua curva lama;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

William Shakespeare

–

Che sia l’amore tutto ciò che esiste
É ciò che noi sappiamo dell’amore;
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.

Emily Dickinson

.

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti

La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini
la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.

Jacques Prevert

Tamara de Lempicka, Il bacio,1922

Primavera è a un passo, mi colma
d’azzurro e di riverberi, mi chiude
nel desiderio che fa duri i seni
e fa sussultare la vagina. Al canto
delle rane uscirò nuda per le strade.
dovranno vedermi che sono bella
e piena d’ardori. Lui verrà a saperlo
e perderà le staffe. Lo sa che anche il vento
può farmi godere da forsennata.

Maria Marchesi

–

Amore, oggi il tuo nome
al mio labbro è sfuggito
come al piede l’ultimo gradino…
ora è sparsa l’acqua della vita
e tutta la lunga scala
è da ricominciare.
T’ho barattato, amore, con parole.
Buio miele che odori
dentro diafani vasi
sotto mille e seicento anni di lava –
ti riconoscerò dall’immortale
silenzio.

Cristina Campo

–

Innamorarsi è un attimo
contro la parete bianca
penombra verdeggiante
liquida e beffarda
un salmone argenteo
che nel guizzo
risale la corrente
le pupille d’acero filante
s’allargano di luce
affondando nere nell’addio
un abbraccio brevissimo
e la gola
d’apnea rossa s’annoda
all’ugola trafitta da stupore
chiodi sopra il muscolo cardiaco
come fosse un puntaspilli
annegato nella stretta
pulsante il cuore grida
al vento quasi morto
amore t’amo
l’afasia di mille volte.

Loredana Semantica

–

Le volte che è con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
è perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l’amore.

Giovanni Raboni

Egon Schiele, Men and woman (Embrace), 1917

 

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uNa PoESia A cAsO: Emily Dickinson

12 domenica Lug 2020

Posted by Loredana Semantica in uNa PoESia A cAsO

≈ 1 Commento

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EMILY DICKINSON

Non sempre i grandi poeti hanno scritto capolavori. Una poesia a caso non intende dimostrare l’assunto, propone solo una poesia scelta a caso, aprendo una pagina a caso, delle raccolte complete di grandi poeti. Una sorta di random poetico alla scoperta di poesie note e meno note dei grandi. Una proposta sine limine, in linea con lo spirito di questo blog.

Oggi è la volta di Emily Dickinson

Oggi mi è venuto in mente un pensiero
che avevo già avuto prima
ma che allora non era definito
non potrei precisare l’anno

né dove sia andato né perché
per la seconda volta sia venuto da me
né con certezza saprei dire
cosa fosse

ma da qualche parte nell’anima so
che avevo già incontrato questa cosa
l’ho giusto ricordata tutto qui
e non è più venuta dalle mie parti.

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uNa PoESia A cAsO: Emily Dickinson

15 sabato Giu 2019

Posted by Loredana Semantica in uNa PoESia A cAsO

≈ Commenti disabilitati su uNa PoESia A cAsO: Emily Dickinson

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EMILY DICKINSON, poesia

Non sempre i grandi poeti hanno scritto capolavori. Una poesia a caso non intende dimostrare l’assunto, propone solo una poesia scelta a caso, aprendo una pagina a caso, delle raccolte complete di grandi poeti. Una sorta di random poetico alla scoperta di poesie note e meno note dei grandi. Una proposta sine limine, in linea con lo spirito di questo blog.

Oggi è la volta di Emily Dickinson

La chimica certezza
che nulla va perduto
sprona nella sventura
il mio credo in frantumi

Se vedrò il volto degli atomi
tanto più le finite creature
che mi sono state sottratte.

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… “chi è solo bello, resta bello all’occhio. Ma chi ha valore sarà bello sempre” …

04 lunedì Apr 2016

Posted by maria allo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ 1 Commento

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Anna Achmatova, Anna Maria Curci, Catullo, Didone, EMILY DICKINSON, Ingeborg Bachmann, Katia Chausheva, Mimnermo, Platone, Saffo, Silvia Plath, società, Ungaretti, Yava Suberg

Dai primi sguardi al corteggiamento, dallo scoppio della passione al suo soddisfacimento, dai dubbi della gelosia ai tormenti del tradimento o della separazione, l’amore rappresenta sicuramente un’esperienza universale. Ed è naturale che un fenomeno così complesso in cui convivono sentimenti misteriosi e spesso contraddittori e sconvolgenti sia al centro della poesia. Il tema dell’eros e le strane ambivalenze dei moti sentimentali sono ben presenti nella poesia antica: bisogna però cogliere le forti differenze di sensibilità che corrono, nella trattazione di tale motivo, tra gli scrittori moderni e gli antichi.
“E allora – dissi – che cosa sarebbe Amore? Un mortale?” “Per nulla” “Ma che cosa allora?” “Come i casi precedenti – rispose – qualcosa di intermedio tra il mortale e l’immortale” “Che cosa, dunque, Diotima?” “Un gran demone, Socrate, perché tutto ciò che è demonico è intermedio tra dio e mortale”. Continua a leggere →

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Il blog LIMINA MUNDI è stato fondato da Loredana Semantica e Deborah Mega il 21 marzo 2016. Limina mundi svolge un’opera di promozione e diffusione culturale, letteraria e artistica con spirito di liberalità. Con spirito altrettanto liberale è possibile contribuire alle spese di gestione con donazioni:
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