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LIMINA MUNDI

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Archivi della categoria: Interviste

L’intervista a Sergio Sichenze: Tutto è uno

09 lunedì Mar 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

≈ 1 Commento

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intervista, Sergio Sichenze, Tutto è uno

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Sergio Sichenze per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Tutto è uno”, Terra d’ulivi edizioni, 2020.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Una casa dove i libri costituiscono le pareti portanti è un buon inizio: così è accaduto. Non erano organizzati per autore o per genere: erano lì, a disposizione. Quello è stato il primissimo amore per la scrittura. La fascinazione derivante dal profumo della carta, toccare le copertine che percepivo fossero custodi di mondi e paesaggi sconfinati, e poi le parole. Il transfert emotivo sono state e sono le parole: forma e suono. Cardini sui quali scivola la porta che spalanca a epifanie. Leggere e quindi leggere, poi leggere e rileggere: la più concreta forma di scrittura, un flusso ininterrotto che ancora mi percorre.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

I primi vagiti di passione letteraria: Salgari e Verne. Sono autori che ti conducono magicamente nelle storie…e Kipling. Ricordo che quando vidi al cinema il mio primo film della Disney rimasi deluso, lo trovai sottotono rispetto alla magnificenza dei libri che in quel periodo maneggiavo. Fino al liceo sono stato bulimico, vorace, caotico: afferravo ciò che trovavo. Un libro, tra i tanti, mi scosse: “Ferito a morte” di Raffaele La Capria, soprattutto l’incipit: la caccia alla spigola nel mare di una Napoli che non avevo conosciuto. Poi i grandi classici latini e greci, l’epica omerica: irripetibile caleidoscopio di miti, dei, uomini e sentimenti verticali. Gli autori italiani che hanno avuto e continuano ad avere una notevole influenza sono tanti: Pavese, Fenoglio, Piovene, Pasolini, Arpino, Bernari, Carlo Levi, Primo Levi, Ortese, Nigro, Tobino, Silone, Tabucchi e altri. Un posto del cuore lo riservo a tre scrittrici: Natalia Ginzburg, Goliarda Sapienza ed Elsa Morante. Ma sono gli scrittori siciliani che mi hanno conquistato e decisamente orientato: Pirandello, Verga, Tomasi di Lampedusa, De Roberto, Vittorini, Brancati, Sciascia, Consolo e, con un sentimento di amore incondizionato, Gesualdo Bufalino: un uso della lingua incomparabile. Altri due autori rappresentano una luce costante: Gadda e Calvino. Quest’ultimo supera qualsiasi genere letterario, per affermarsi in uno spazio del pensiero e della riflessione attualissimo: non ha eguali. Da Calvino il passaggio a Borges è immediato, la magnificenza dei labirinti della mente, la rete inestricabile di storie: unico. Quindi Pessoa con i suoi eteronimi, nonché gli scrittori della letteratura ispanoamericana: Reyes, Paz, Cortázar, Vargas Llosa, Márques, Allende, Sèpulveda, Galeano, Mutis e altri. Degli autori transalpini contemporanei mi affascina Annie Ernaux. Ho richiamato solo alcuni scrittori che hanno incrociato la mia vita; alcuni di essi hanno intrattenuto un rapporto anche con la poesia (si veda Borges). È la poesia, però, l’amore di sempre, d’altro canto è il genere che sperimento. Qui si apre un discorso vastissimo, che circoscriverei così: la poesia classica greca e latina (Esiodo, Saffo, Virgilio, Catullo, Orazio); quella mistica araba e quella europea (includendo anche l’area russofona). La poesia italiana costituisce un ecosistema a sé, soprattutto perché non richiede traduzioni, ed è, a mio avviso, la vera palestra sull’uso della lingua: gli amatissimi Leopardi e Montale, due autori di formazione imprescindibili. Poetesse cruciali: Pozzi e Rosselli. Quasimodo, Sereni, Rebora, Campana, Cavacchioli, Luzi, Penna, Caproni, Gatto: in ordine sparso. Ungaretti: una sorta di trasfusione materna. Un salto all’estero richiederebbe un viaggio. Mi limito a Neruda e Hikmet, Zagajewski e Brodskij, Carver, Celan ed Éluard. Un posto speciale nella mia libreria l’ho riservato a Ritsos, Kavafis, Seferis ed Elitis. Le meravigliose Mistral e Plath. Fortemente Rilke. Desidero qui rammentare tre scrittori poco noti ai più: Dolci, Piccolo, Buttitta. Il primo libro di poesie che comprai con la mia “paghetta” fu “I fiori del male” di Baudelaire. Mi fermo!

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La scrittura nasce dall’urgenza irrefrenabile di mettere su carta il sé profondo, che nel mio caso si manifesta con la poesia: so cose di lui solo scrivendo! È sempre un ospite inatteso: arriva e si piazza in soggiorno, o in qualsiasi altro luogo che frequento, soprattutto durante i viaggi, negli spostamenti in treno: mezzo che frequento assiduamente. Pertanto, ciò che scrivo non può che non essere autobiografico. Parlo di una autobiografia emotiva, del mistero che in modo permanente mi abita. I luoghi hanno una grandissima influenza, sono segnatamente evocativi: scatenano un sistema complesso e intrecciato di stati d’animo e richiami mentali. Nonostante sono quasi quarant’anni che vivo in Italia del Nord, sono un uomo forgiato nel Sud del Mediterraneo: direi nelle sue acque. Vuol dire che la mia matrice, non solo biologica, ma soprattutto culturale, proviene da quell’ecosistema. Porto in me l’impronta della Storia che l’ha generato. La Sicilia, anche se nato a Napoli, è, senza alcuna incertezza, la mia terra d’origine. Più ciò che è, che è stata, il lunghissimo processo naturale e culturale che l’ha prodotta, è il suo inestricabile arcano che catalizza la mia passione. La terra che mi ospita da così lungo tempo è meravigliosamente boreale. Vi ho costruito un legame fortissimo, anche se non mi ha generato; intendendo con generare molto più e molto altro dell’esito biologico che determina la vita, mi riferisco all’ignoto di cui sono intriso. Mi sento a casa lì dove posso ascoltare la sua voce.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

“Tutto è uno” è un libro che viene da lontano. Lo considero un approdo, potrei dire che incarna il mito di Ulisse. L’epica omerica ci restituisce un eroe e, al tempo stesso, una figura umanissima che sferza i suoi compagni e sfida l’universo deiforme in quanto in lui agisce la nostos. Il ritorno a casa, nella mia epica, è il ricongiungersi al mistero dell’esistenza, cui prima ho fatto cenno. Il titolo richiama Rilke ed Eraclito. Rilke, di cui riporto in introduzione una quartina, sviluppa nel corso della sua poetica la dimensione olistica dell’esistenza, propria di Eraclito. L’unità è matrice di diversità, ma non smarrisce mai la sua natura spirituale. Non intendo attribuire a ciò un significato religioso, semmai mistico, che dal verbo greco “myein” significa celato, intimo, nascosto. L’essenza. È una riflessione che ha richiesto un lungo processo di consapevolezza e di maturazione, che inevitabilmente proseguirà. Anche se in questa silloge poetica c’è completezza di pensiero. Tutto ciò ha trovato compimento in un momento preciso della mia vita, un’epifania che ha fatto emergere un codice sacro che si è palesato nei versi.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Il contemporaneo ci mostra un mondo frammentato, parcellizzato, carico di timori e confuse aspettative: seppur inneggiato come globale. Assistiamo inermi, spesso sopraffatti, a eventi planetari che non siamo in grado di decodificare. Immersi in un flusso che sembra trascinarci verso l’ineluttabile, senza avere la possibilità di esercitare la nostra scelta individuale. Una bufera nella quale smarriamo i punti di riferimento. Il mio libro può offrire una sosta, contribuire a riappropriarsi del senso spirituale dell’unità. Rimarco che si tratta di una silloge profondamente laica, che non cede alla semplificazione dogmatica, ovvero a un pensiero che tende all’unificazione del vero e alla separazione dei credi. Il tempo dedicato al consumo ha di molto superato il tempo del sacro, all’inclinare lo sguardo verso i valori fondativi dell’umano, della consapevolezza dell’esistenza. Proverei gratitudine verso coloro che volessero leggermi, tenendo a mente le argomentazioni fino a qui espresse.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Alcune idee le ho già tratteggiate: è un libro che affonda le sue radici in uno spazio temporale indefinibile. Concretamente fogli e penna si sono incrociati nel mese di luglio del 2019. Non poteva che essere così: l’estate è per me stagione rigogliosa. La metà di quel mese l’ho trascorsa nel Salento, che mi ha offerto doni che hanno contribuito a chiarificare le acque che mi attraversavano. Molti versi hanno trovato forza e linfa proprio lì.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Diciamo che il movimento tellurico ha avuto un’attività effusiva copiosa e ininterrotta, anche se la lava scorreva sottostante da chissà quanto tempo. I versi non si presentano però come rocce magmatiche, ovvero non sono una massa amorfa, nera e inospitale, a seguito di un raffreddamento rapido a contatto con l’aria, semmai sono rocce sedimentarie, con precisa stratificazione che consente la lettura della Storia che le ha formate. In generale, e anche in questo caso, non ho orari, o momenti della giornata in cui prediligo scrivere. La mia modalità percettiva dominante è la vista. In quanto soggetto visivo, immagazzino frammenti di immagini che continuamente si ricompongono, fino a formare la parola. È un processo inarrestabile. Poi c’è la fase lenta del tramonto, dove tutto si stempera e lentamente si focalizza ciò che trasferisco nei versi.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

L’immagine di copertina, la carta, il formato, sono opera di Elio Scarciglia: editore e grafico eccelso. Ha colto l’essenza, e di questo gliene sono molto grato. Forma e contenuto costituiscono un unicum che ha un valore simbolico ed evocativo determinante. Quando accade ciò, si conferma l’assoluta insostituibilità del libro: oggetto di intensa fascinazione.

  1. Come hai trovato un editore?

La mia collaborazione con Terra d’ulivi edizioni è iniziata nel 2018, allorquando Elio Scarciglia mi ha coinvolto, in fase ancora embrionale, nell’avventura di Menabò: quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria. Lo scambio continuo di idee e la condivisione d’intenti, di progetti e obiettivi comuni, hanno prodotto l’humus ideale per creare un libro assieme. Ritengo, infatti, che un libro non è un prodotto commerciale, semmai uno strumento culturale che diventa, una volta lasciato il porto sicuro, un messaggero di princìpi e valori, un contenitore di mondi da indagare. In questo lavoro sperimentale, autore ed editore concorrono paritariamente a imprimere la propria visione. La dimensione finita appartiene ai lettori nella loro difformità. È quello che accade durante il viaggio che ha valore.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

La poesia, meno della narrativa, è ed è stata oggetto di classificazioni di genere, e risente degli orientamenti dei diversi periodi storici. Tale aspetto, questa volta rimarcando una sostanziale differenza con la narrativa, difficilmente la registro nel pubblico al quale presento i miei libri: la poesia è la poesia. Noto posizioni dicotomiche, che si identificano talvolta con il gusto: mi piace o non mi piace. Bella o brutta. Molto spesso: mi ha fatto emozionare e quindi pensare. Nelle librerie, inoltre, lo scaffale (uso non caso il singolare: ahimè!) dedicato alla poesia si presenta in modo caotico, qualche volta organizzato per autore, mai per genere. Nell’epoca dei social, però, leggo molte più citazioni poetiche che di narrativa. È uno spaccato che mi incuriosisce. Mi rivolgo a chiunque abbia voglia di aprire un libro e leggere dei versi, portarseli a casa, farli viaggiare, riporli e magari rileggerli dopo molti anni, farne dono. Sono convinto che la poesia non si consuma, non perde di attualità e continua a mordere la vita, o a baciarla.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Questo è un aspetto che denota fragilità. La mia natura riservata, la scarsa propensione a essere un animale da social media, sicuramente penalizza la promozione. Devo dire però che, anche se lentamente, riesco a veicolare i miei libri attraverso micro reti territoriali e sociali. Sto scoprendo strati di realtà a forte connotazione partecipativa: ciò mi rassicura. Il rapporto diretto con le persone mi vivifica, è un antidoto alla sciatteria e brutalità dei luoghi comuni, alla masticazione ripetitiva e seriale degli stereotipi. Anche questa intervista s’inscrive nel solco delle relazioni vivificanti, così come l’apprezzamento di amici scrittori e poeti ai quali l’ho inviato.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa).

La silloge è stata costruita in modo evolutivo. Segue un flusso non temporale ma di elaborazione di pensieri che via via si sono dipanati. La potrei definire un tappeto, dove l’intreccio dei fili, la mescolanza dei colori, l’attenta scelta dell’orditura, ha consentito l’emersione di una raffigurazione complessa. Le chiavi di lettura sono molteplici, segnatamente soggettive. Ciascuno può costruire la propria realtà, la quale potrà mutare al mutare delle percezioni. In tal senso l’ultima poesia che s’intitola “Origine” fornisce il senso di circolarità della silloge. I versi di chiusura sono per me rappresentativi di questo lavoro: “Alcuna legge ha luogo in sé / Essere noi, adesso, / è origine”.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

La raccolta costituisce un elemento di cambiamento e di conferma del mio percorso letterario. Di cambiamento in riferimento alla struttura e alla maturazione poetica, di conferma in quanto è da qui che desidero ripartire. La percezione è quella di aver costruito un setaccio con nuove maglie, che spero mi aiuteranno a filtrare e selezionare in modo diverso il divenire esistenziale. L’aspettativa verso l’esterno, quella a cui tengo maggiormente, è che diventi uno strumento di confronto e discussione, non tanto e non solo sull’opera, quanto sul contributo che spero potrà fornire alla riflessione sul nostro tempo. La poesia ha svolto sempre una funzione nelle società, non contemplativa o accademica, semmai di presa di coscienza della condizione umana. Poeti quali Hikmet, hanno subito il carcere, o sono stati uccisi o fatti sparire: quando un regime cerca di tappare la bocca a qualcuno, una delle prime voci a cui si rivolge è quella dei poeti. Scriveva Pablo Neruda, sulla cui morte c’è ancora un fitto mistero in merito al coinvolgimento del regime instaurato in Cile da Augusto Pinochet nel 1973: “Guardatevi in giro, c’è una sola forma di pericolo per voi qui: la poesia!”

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Apporre un punto interrogativo al titolo di quest’opera: Tutto è uno?

Siamo stati forgiati per esprimere complessità, eppure assistiamo a una linearizzazione del pensiero, all’affermarsi di visioni assertive, dove le certezze soppiantano l’indefinito, lo sfuggente senso dell’esistere. Se da un lato sostengo che “Tutto è uno”, dall’altro il senso di tale unità si cela. Ne “La Repubblica”, Platone parte dal principio che la conoscenza sia proporzionale all’essere: è perfettamente conoscibile ciò che è massimamente essere, al contrario, è assolutamente inconoscibile il non-essere. Tra essere e non-essere, esiste una realtà intermedia, il sensibile. Porrei, dunque, sempre il mistero quale antidoto all’irrimediabile realtà. Italo Calvino, avvertiva i lettori di essere diffidenti della sua biografia, soprattutto se redatta da lui. Un modo mirabile per dubitare anche dei fatti che costellavano la sua vita, quali immagini vaghe, pronte a disparire sotto i colpi della bufera.

15.Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sto lavorando a un progetto poetico che cerca significato e senso in merito a un tema a me molto caro: le isole. C’è un’isola reale in questo lavoro che assurge a paradigma universale. L’isola però è anche il poeta. Nel discorso di premiazione tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Wislawa Szymborska, disse «fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta». Esseri isolati è una condizione duale, perennemente oscillante tra il sé e l’altro, e come altro intendo le molteplici dimensioni dell’esistere che rimandano al sé: una ricorsività pregnante. Le isole sono paradigmi di tale condizione. Corrispondono a una delle forme che può assumere il mito. Il poeta, dunque, si trova a suo agio a sperimentare tale materia, sempre in bilico tra indefinito e realtà, senza mai avere la tensione a risolvere l’enigma, anzi a rafforzarlo.

Sergio Sichenze è nato a Napoli nel 1959. Vive e lavora a Udine. Ha pubblicato racconti e raccolte poetiche, tra cui “Nero Mediterraneo” (Campanotto Editore, 2008), “BOBBIO Y MOSTAR” in “La natura dell’acqua: almanacco di letteratura rinnovabile 2011” (Marcos y Marcos Editore, 2011), “Nei chiaroscuri del tango” con Elisabetta Salvador (Campanotto Editore, 2018), “Il futuro cede al ritorno” (Convivio Editore, 2019), “Tutto è uno” (Terra d’ulivi edizioni, 2020). Sue poesie compaiono in alcune raccolte. Nel 2018 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Dal 2019 è membro della giuria Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Fa parte del comitato di redazione del quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria “Menabò” (Terra d’ulivi edizioni) per il quale cura la rubrica “Pi greco”.

 

 

 

 

 

 

 

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L’intervista a Patrizia Destro: Haiku dal silenzio

13 giovedì Feb 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

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Haiku dal silenzio, intervista, Patrizia Destro

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Patrizia Destro, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Haiku dal silenzio, Ennepilibri

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Si, lo ricordo. Ho iniziato a leggere e a scrivere a quattro anni. Mi hanno insegnato i miei genitori. Avevo una scrivania per bambini il cui piano di appoggio, ribaltato, si trasformava in una lavagna. Ero felice di imparare qualcosa che sentivo importante. A scuola ho avuto la fortuna di avere un’insegnante all’avanguardia, che ci incoraggiava a dire la nostra su qualunque argomento. All’indomani di gite scolastiche a fattorie, fabbriche, studi di pittori e altri luoghi interessanti puntualmente ci dava dei temi da svolgere, i quali venivano poi raccolti in un giornalino, che stampavamo noi stessi. Leggevamo ad alta voce Gianni Rodari e Italo Calvino e altri autori che al momento non ricordo. Disponevamo di una biblioteca di classe e anche a casa per fortuna avevo abbastanza libri, anche se all’epoca quelli per l’infanzia non erano così numerosi come ora. A diciotto anni ho scritto la mia prima poesia e non ho più smesso. Da adulta ho iniziato a scrivere racconti.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Non so se succede anche ad altri: in gioventù si leggono più che altro i classici (nel mio caso Leopardi, Jules Verne e qualcosa dei lirici greci, come Saffo, per citarne alcuni) e poi si inizia ad allargare gli orizzonti verso autori a noi più vicini nel tempo. Da ragazza ho amato molto Pirandello e Ray Bradbury. E appunto Calvino come dicevo prima. Comunque ero abbastanza “onnivora”. Da adulta sono subentrate esigenze diverse: cercare di capire qualcosa di più delle realtà in cui viviamo diventa sempre più impellente. Così ho iniziato a leggere anche saggi sulle discipline più diverse: psicologia contemporanea, scienze naturali, politica.
Per la poesia breve, ispirata ai lavori dei maestri giapponesi, di sicuro Basho, Issa, Shiki. Poi i moderni Murata Keinosuke e Tanaka Sadami, per citarne alcuni.
Ora che ci penso: non mi ricordo di autrici donne studiate a scuola. Neppure all’università! (studiavo lingue, ma ci sono rimasta poco, il tempo di qualche esame). Per fortuna è un buon momento per la letteratura e da qualche decennio è possibile colmare questa triste lacuna. Ultimamente ho letto Ann Tyler (che, tra le altre cose, ha partecipato ad un programma di riscrittura delle opere di Shakespeare in chiave moderna), Grazia Deledda (meglio tardi che mai!), qualcosa di Virginia Woolf, Vivian Lamarque e Rupi Kaur.
Questo è solo un piccolo elenco degli autori e delle autrici che leggo volentieri.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nata o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La mia scrittura direi che nasce per raccolta inconsapevole e per sedimentazione. Detta così forse fa un po’ sorridere però è esattamente quello che succede. Lascio che impressioni e suggestioni e idee maturino mentre mi occupo di altro, e poi inizio a scrivere. I luoghi dove vivo c’entrano molto. Anni fa mi sono accorta che ho potuto osservare più varietà di piccola fauna nei dintorni di casa piuttosto che, per esempio, durante uscite in montagna. Perchè fuori città gli animali si nascondono (e fanno bene!). Le grandi città, non solo in Italia, stanno diventando sempre più il rifugio di molte varietà di insetti e altri piccoli animali. Questo per restare nell’ambito della poesia che ha per oggetto la natura. Per quanto riguarda i racconti: con una densità abitativa di duemila persone per chilometro quadrato, ecco che il materiale da cui trarre ispirazione è a portata di mano! Anche se, il più delle volte, le mie storie non somigliano per niente a quotidiane interazioni tra esseri umani ma hanno un taglio decisamente surreale e spesso ironico.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Si, volentieri. Si tratta di una raccolta di un centinaio di haiku e di poesie brevi nello spirito dell’haiku, cioè quei componimenti di diciassette sillabe (5-7-5) nati da autori giapponesi di 350 anni fa. L’haiku tradizionale trae a sua volta origine dalla poesia classica giapponese, antica di 1500 anni. Verso gli anni ’50 del Novecento questa corrente poetica è arrivata in occidente e da allora conta migliaia di cultori anche qui da noi. E’ un genere di espressione artistica di una freschezza tutta particolare. Ha il fascino di qualcosa che è sempre in divenire pur nella descrizione del momento specifico. Dice tutto senza dire troppo o troppo poco.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Per parafrasare quel detto: “Tutto può essere utile, niente è indispensabile”. La mia pubblicazione, come altre analoghe, può essere un esempio di come si possa fare poesia con mezzi semplici ma efficaci. La cosa importante è sentire quello che scriviamo. Riuscire ad esprimere in pochi versi o in alcune pagine aspetti di una emozione o di un’idea che il vivere quotidiano ci ha portato. E poi lavorarci sopra finchè il risultato non ci soddisfa.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Venticinque anni fa ho conosciuto un funzionario del settore cultura della regione in cui abito. Quasi per scherzo gli ho fatto leggere alcuni miei haiku. Mi ha detto che non si aspettava una qualità così buona. Siccome è anche un autore e tiene corsi di scrittura e letteratura internazionale, avrebbe potuto dirmi: “Sei bravina! Iscriviti al mio corso, così migliorerai di sicuro!”. Ma non lo ha fatto. Ha espresso un apprezzamento positivo che andava contro i suoi interessi. Questo mi ha dato la fiducia necessaria per presentare la mia raccolta agli editori, anni dopo.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

L’ho scritta poco per volta, durante gli anni. Lascio che la parte della mia mente che si occupa di rielaborare idee, intuizioni ed emozioni faccia il suo lavoro mentre “io” sbrigo le attività quotidiane. Quando il tutto affiora allo stato della consapevolezza inizio a scrivere. E si, può accadere anche di notte!

8. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?
L’illustrazione in copertina l’ha realizzata Marco, mio marito, come pure la scritta in giapponese, che è la traduzione del titolo. Il disegno rappresenta una spirale logaritmica, per la spiegazione della quale rimando a Wikipedia o altra fonte, poichè di matematica, purtroppo so molto poco. A me l’idea della spirale piace perchè è una forma che si ritrova in natura, nelle conchiglie e nelle galassie, per esempio. Nel piccolo e nell’immenso. In quanto al titolo: Haiku dal silenzio perchè è il silenzio a fornire lo spazio mentale indispensabile per la scrittura.

9. Come hai trovato un editore?
Ho conosciuto gli editori ad un pomeriggio di letture poetiche al mare, in Liguria. Fra i partecipanti, chi voleva poteva intervenire e leggere componimenti personali. Mi sono presa alcuni minuti per ricordare e trascrivere alcuni dei miei haiku o quasi haiku e poi li ho letti ad alta voce. Gli editori li hanno apprezzati e mi hanno proposto di pubblicarli.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A chiunque interessi la poesia, soprattutto naturalistica (non so se il termine è giusto) che si esprime in modi essenziali. C’è più vuoto che pieno, in questo tipo di componimenti. E’ un vuoto, però, a cui a mio avviso non manca nulla. Faccio un esempio: “Piccolo granchio / un’alga lo nasconde / sulla battigia”. Ho voluto descrivere ciò che ho visto durante una passeggiata al mare e che mi ha meravigliato: un granchietto che, per passare inosservato, si è messo un’alga sopra la testa!
Altre volte la visione è un poco mesta, malinconica:
“Grandi slanci ma / anche grandi dolori / una vita”

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Al momento non lo sto promuovendo. Posso però raccontarti un aneddoto: anni fa ho ricopiato i miei haiku su foglietti colorati, li ho messi in una scatola e li ho offerti ad amici e colleghi. Li hanno apprezzati molto. Alcuni prendevano un foglietto, lo leggevano, lo rimettevano nella scatola e poi ne pescavano un altro. Alla fine ciascuno ha portato a casa una delle mie piccole poesie. Nella scatola ne è rimasta una, non so se è stata una cosa voluta oppure casuale; un collega ha commentato: “Ne abbiamo lasciata una per educazione, come si fa con i cioccolatini!”

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Trascrivo di seguito alcuni versi, che mi sembrano riusciti meglio, oltre a quelli che ho citato più sopra:

Già le castagne
occhieggiano sui rami –
Fine d’estate.

Un migratore!
Rapido maestoso
alto nel cielo

Esili ragni
silenziosi amici
ospiti grati

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Non ne ho alcuna. Ho invece l’intenzione di continuare ad esprimere in queste forme ciò che vedo durante le uscite in cui osservo piante, animali, situazioni. La poesia breve e brevissima mi è congeniale e mi gratifica. Di recente ho letto in rete haiku sbalorditivi per bellezza e per quel non-so-che che trasforma una poesia in un’opera d’arte! Cerco di migliorare e a volte inseguo quel non-so-che, ma non ne faccio un’ossessione.

14. Una domanda che faresti a te stessa su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Mi chiederei: “Quali altri regali ti ha fatto, questo tuo libro?” E mi risponderei: “Oltre ad averne condiviso i contenuti con persone a cui voglio bene o che stimo, mi ha permesso di vedere, per la prima volta, direttamente, quanto lavoro c’è dentro e dietro alla pubblicazione di un libro. Quante competenze diverse sono necessarie alla produzione perfino di una semplice raccolta di poesie brevi”.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Si, volentieri! Ho appena finito di sistemare due raccolte, una di racconti e l’altra di poesie. Le ho spedite a due editori. Sono in attesa di risposta e intanto lavoro ad altri racconti. Non dico i titoli per scaramanzia! Non pensavo di voler pubblicare ancora dopo i primi due libri, ma è successa una cosa che mi ha fatto cambiare idea. Da due anni partecipo come allieva ad un laboratorio teatrale. La scuola mi ha proposto di portare in scena alcune delle mie storie e io ho accettato con entusiasmo. La fase di costruzione del personaggio, come si dice in gergo, mi ha reso i miei racconti più vivi e coinvolgenti e ha avuto dei risvolti positivi psicologici inattesi, per me che non me ne intendo. So che invece agli addetti ai lavori (insegnanti di teatro e attori professionisti) questi e altri “effetti collaterali” positivi sono ben noti.
In quanto alle poesie inedite, posso anticiparvene una, alla quale tengo molto:

Una farfalla
rimasta uccisa per il freddo improvviso
o forse perché ha concluso
il suo ciclo vitale
è incastonata nel tronco d’un albero
con le piccole squame
bianche e grigie
in rilievo,
come un gioiello,
come una decorazione
su una scultura estemporanea
che narra la lunga vita di un albero
e la breve vita
di un insetto.

Sono nata nel 1965 e da almeno dieci anni ho scoperto che mi piace far ridere o almeno sorridere. E cerco di farlo attraverso i miei racconti ironici, surreali e spesso decisamente buffi! Che poi ci riesca o meno è tutto un altro paio di maniche. Però quando ci riesco, be’… è un po’ come se fosse un giorno di festa. Lungi da me credere che la vita sia tutta una risata, anzi! Ma appunto per questo ogni tanto è piacevole alleggerire le tensioni della vita contemporanea leggendo e scrivendo brani di letteratura comica.

Pubblicazioni:
– 1989 in Antologia I Poeti 1989, dell’Associazione Incontri, Milano
– 1998 su Literatura Foiro, anno 29, n.174, LF-koop, La-Chaux-des-Fonds (CH)
– 1999 su Kontakto, anno 36, n.174, UEA, Rotterdam (NL) (*)
– 2004 su Il Foglio Clandestino, n.54, Edizioni del Foglio Clandestnio, Sesto San Giovanni
– 2004 Haiku dal silenzio, Ennepilibri Edizioni, Imperia
– 2012 Tra il fragore del treno e del mare, Ennepilibri Edizioni, Imperia
– 2016 in L’Antologia di Sintetizziamoci – Testi di microletteratura contemporanea,
Book Sprint Edizioni
(*) Primo premio al concorso letterario EKRA 1998, Razgrad (BG). Se interessa. 😀

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L’intervista a Mariangela Ruggiu: Il suono del grano

31 venerdì Gen 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

≈ 3 commenti

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Il suono del grano, intervista, Mariangela Riggiu

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Mariangela Ruggiu, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Il suono del grano, Terra d’ulivi Edizioni, 2019

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Prima dell’amore per la scrittura è nato quello della lettura: da bambina, appena mi venivano consegnati i libri scolastici, scorrevo quello di lettura cercando le poesie che leggevo prima di tutto. A scrivere iniziai nelle scuole medie, conservo ancora dei fogli con le prime poesie… amavo così tanto la sintesi dei versi che facevo la versione in poesia della prosa.

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Intervista a Sal Ferranti: La legge della piuma

23 giovedì Gen 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

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intervista, La legge della piuma, Narrativa, Sal Ferranti

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Sal Ferranti, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La legge della piuma, Pedrazzi editore, 2020.

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Il mio amore per la scrittura è nato attraverso la lettura. Chi legge molto è attratto dalla parola scritta e l’immaginazione lo porta inevitabilmente ad immaginare storie nuove. Io leggo da sempre. Da adolescente andavo a prendere in prestito libri in biblioteca (d’avventura, soprattutto) e li riportavo indietro nel giro di qualche giorno. Poi sono diventato un lettore onnivoro e un frequentatore di librerie. Credo di avere acquistato (in trent’anni circa) almeno tremila volumi. Il mio primo romanzo lo scrissi a diciannove anni, ed è ancora lì, incompiuto e con le pagine consumate dal tempo. All’epoca leggevo parecchi romanzi horror e mi ero convinto di saper scrivere romanzi alla Stephen King. Ripensandoci, mi viene un po’ da ridere adesso, e provo tenerezza verso quei facili entusiasmi da ragazzo che amava sognare in grande. Continua a leggere →

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Intervista a Federica Galetto: La neve e la libellula

18 sabato Gen 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

≈ 1 Commento

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Federica Galetto, La neve e la libellula

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni

La redazione ringrazia Federica Galetto, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La neve e la libellula, Terra d’ulivi Edizioni, 2019

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

La scrittura è dentro di me, da sempre. Nel tempo ho imparato a comprenderlo e dopo molti anni l’ho accolta e accettata come parte imprescindibile di me.

Continua a leggere →

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Intervista a Irene Ester Leo: Fuoco bianco

16 lunedì Dic 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Fuoco bianco, Irene Ester Leo, Poesie

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni. La Redazione ringrazia Irene Ester Leo per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Fuoco bianco (Capire Edizioni, CartaCanta < I Passatori, collana a cura di Davide Rondoni, 2019.)

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Attraverso la lettura. Ricordo la bambina curiosa di un tempo affamata di parole, pagine, mondi interi, non necessariamente poesia, ma anche narrativa, che crescendo ha affinato lo sguardo in questa maniera. L’amore per la scrittura, come emblema universale non individualista, nasce da lì. Poi ha trovato un tratto d’unione tra ”quel mondo” letto nelle pagine degli altri e quello che intercettavo in me e scalciava in parole e versi, ed ho cominciato a scrivere mescolando in maniera sinestetica ogni cosa.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Rainer Maria Rilke per la luce azzurra, Eugenio Montale per la musica della disarmonia, Cesare Pavese per la bellezza del dolore, Paul Celan per la  polisemia acuminata,  Mario Luzi per la  necessità di vita al quadrato, Davide Rondoni per la libertà del suo respiro poetico, Cristina Campo per la precisione chirurgica delle parole, Michail Bulgakov per l’intensità della  narrazione, Claudia Ruggeri per l’antitesi forte e lucente tra vita e morte,  Giacomo Leopardi  per il contrappunto lunare della sua speranza. Questi i nomi che mi stanno particolarmente a cuore per ragioni differenti, ma potrei elencarne molti altri. Però al di là di quello che può essere un semplice elenco cerco il barbaglio e lo schiocco, qualcosa di simile ad un risveglio, quell’aura che è propria dei maestri, che non mira ad ”insegnare” ma a rimescolare tutte le certezze consone, a spezzarti e poi ricomporti come se fossi di fronte allo stesso orizzonte di ieri, ma oggi con occhi più grandi.

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

“Madame Bovary c’est moi”. Inevitabilmente la componente autobiografica calibra l’altezza dell’osservazione, quello della scrittura è un percorso che richiede presenza umana, il solo esercizio estetico mi interessa davvero poco, perchè poi serve a poco. La scrittura per me è selvatica per nulla addomesticabile, come tale nasce in frangenti spesso strani, ma fatti di realtà e del suo contrario. I luoghi che vivo sono geografie, i luoghi che amo sono persone.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Il fuoco bianco è quello degli inizi, dell’attimo prima di. La pagina attende il fuoco nero della parola, l’ispirazione aleggia in controluce e brucia, così come la presenza dell’Assoluto prima che la parola potesse dar Lui un nome, secondo la Cabala. C’è qualcosa di vivo che chiede ossigeno per la sua combustione. Questa pubblicazione ha cominciato a scalciare e gemmare prima della nascita di mia figlia e poi in parallelo come lei in me, è diventata più vicina, reale. Ed aggiungo rivista, spezzata, rivissuta, riscritta, fino al risultato finale che sfoglio tra le dita. Ora mia figlia ha quattro anni, questi versi sono il risultato di sei, sfidando la dolcezza e il nero del mondo, ricomponendo poi il fuoco e la rosa, di T. S. Eliot, citato da Davide Rondoni nell’introduzione al testo.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Me lo sapranno dire i lettori in un secondo momento. Mi limito a consegnarla alla realtà della poesia contemporanea, senza maschere o congetture. Ho un desiderio, che non ha nulla a che vedere con il senso dell’ambizione, che qualcosa resti. Oltre me.

6.Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Immaginiamo una galleria d’arte. Quadri illuminati dalla luce naturale, sculture e fotografie. Ognuna di queste opere ha in sé il fulcro di un attimo ispirato. Ogni poesia è frutto di una visione, di quell’attimo. Quindi mille scintille, che hanno innescato “quel” fuoco (bianco) condensato in un viaggio di carta. “Naturalmente come le foglie vengono ad un albero” per citare Keats che è in epigrafe nell’antefatto del libro.

7.Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Come ho accennato, è il frutto di anni, un tempo necessario. Senza fretta: che è una cosa che conta se si vuole avanzare o farne tesoro  per la crescita personale, che scava, leva, attraverso le parole ti dice: ascoltati e poi fai cadere la tua pelle, resta in contatto con l’altro, senza difese.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

L’ho subito amata, mi ricorda le donne di Dante Gabriel Rossetti, nella vaghezza dolce del sembiante. E poi le dita che fiammano, gli occhi chiusi volti all’interiorità, elegante, iconica, secondo me perfetta per il contenuto che rappresenta. Mi è stata proposta dall’editore. L’artista è Elena Miele, che l’ha realizzata appositamente, la cui sensibilità interpretativa è unica, e non posso che essere grata.

9. Come hai trovato un editore?

In realtà non ho cercato un editore, ma un confronto. Davide Rondoni che ho citato su per l’introduzione e che cura appunto questa collana poetica (I Passatori) ha letto ed ha apprezzato i miei versi, ed è stato testimone diretto dell’evoluzione di questo lavoro. Mi sono confrontata in merito spesso con lui, (accostarsi con umiltà ai Maestri è salutare, sia per lo stile e soprattutto per l’anima) e da qui siamo giunti poi in un secondo momento alla proposta vera e propria di pubblicazione con Capire Edizioni, Carta Canta. Renzo Casadei, direttore editoriale che dirige questa splendida realtà indipendente, si è mostrato entusiasta di questo progetto. Tutto quindi nasce da una base solida fatta di incontro, persone, umanità, bellezza, spessore.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Mentirei se dicessi che ho scritto queste poesie indirizzandole mentalmente ad un pubblico specifico. Ci si incontra su di un filo rosso comune. Unico canone indispensabile, presumo, l’amore per la poesia.

11.In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Il libro è fresco di stampa, esordiremo a breve con le presentazioni, gli incontri con i lettori, mescolando in maniera ibrida, musica, parole, multimedialità, attraverso canali convenzionali e non, cercando sempre di far rete. Intanto saremo presenti a Roma alla fiera nazionale della piccola e media editoria:“Più libri più liberi” per dicembre e a gennaio al Fondo Verri di Lecce.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legata e perché?

La bambina immagina l’amore

dalla finestra chiama l’aria d’oro,

fiorisce una farfalla e non resta.

Gli occhi rompono piano la visione,

la vita nei suoi pezzi ha radici,

e le radici nascono e fanno nuovi alberi

e la primavera verdi tremori.

La marcia dei risvegli

ha suono e gambe umane,

è dolce nei tuoi sguardi.

Chi non si è perso non possiede

la curva del cielo.

Siamo a pagina 19, è la poesia che apre la prima parte del libro. Ma preferisco tacere sui motivi della scelta, lascio al lettore la grazia del mistero e della scoperta.

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Dipende dalle priorità da assumere nelle aspettative che sono molto chiare in me: lasciare qualcosa, un odore, una piccola emozione, un indizio, auspicarsi che ogni cosa diventi ”esperienza di chi legge”.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

E’ la domanda che mi rivolgo ogni volta che scrivo un verso, che pubblico un libro, che mi innamoro di una poesia, e che muovo sulla voce di Nietzsche: “perché questo impulso verso il vero e il reale, perché questo batticuore fosco e impetuoso insegue proprio me” ?

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho in mente delle idee, progetti in fase embrionale, sperimentazioni poetiche, magari anche abbracciando la storia dell’arte, materia dei miei studi accademici. Ma come sempre lascio fare al tempo, mi affido alla naturalità delle cose, ai plurali, alla reciprocità della disciplina umana.

Irene Ester Leo

Irene Ester Leo(1980) Laureata in storia dell’arte, critico d’arte e letterario. Ha pubblicato: “Canto Blues alla deriva” Besa 2007; “Sudapest” Besa 2009; ‘Io innalzo fiammiferi” con prefazione di Antonella Anedda, Lietocolle (Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata I^ Edizione 2010  primo classificato) 2010; Una terra che nessuno ha mai detto” con prefazione di Andrea Leone, Edizioni della Sera 2010; ”Cielo” con prefazione di Davide Rondoni, La Vita Felice 2012 (Premio Laurentum 2012  libro edito di Poesia secondo classificato). Nel 2007 ha ricevuto dal Teatro di Musica e Poesia “L’Arciliuto”di Roma un riconoscimento di merito e nel 2019 presso il concorso letterario ” Inedito” di Torino un menzione d’onore. I suoi versi sono stati tradotti in lingua spagnola, per l’America Latina, e in inglese su riviste internazionali.

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Intervista ad Alessandro Porto: A Regular Poem

09 lunedì Dic 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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A Regular Poem, Alessandro Porto, Poesie

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia Alessandro Porto per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: A Regular Poem (Ananke Lab, 2019).

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La mia pubblicazione? Un poema, una cosmogonia. Un uomo si innamora di una prostituta e nel tentativo di farla sua moglie si perde a Milano, dove gli capitano assurdi incontri ed esperienze estranianti: orge, sbronze, risse, rapimenti. Durante il viaggio, però, si evolve: la sua metamorfosi si conclude nella sua trasformazione nell’Oltreuomo nietzschiano. Diciamo che è il racconto del passaggio da uomo a Oltreuomo. La cosa strana è che un racconto perfetto per un romanzo si trovi scritto in poesia, nel 2019. Pare una follia, un suicidio editoriale, ma non poteva essere altrimenti. A Regular Poem è il racconto dell’umano che diventa dio, che plasma il cosmo, che crea la realtà. Solo la poesia, con i suoi ritmi e le sue suggestioni, poteva suggerire questa magia.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Credo che tutto ciò che viene prodotto in una determinata epoca e circostanza non può che essere necessario, in senso stretto. L’arte, credo, nasce da una pulsione collettiva che s’incanala in una mano a nome di più spiriti; solo ciò che viene fabbricato per narcisismo o interesse economico risulterà inutile al panorama letterario. Nel caso di A Regular Poem, be’, si tratta di un poema. Nasce dalla mia necessità di scriverlo, io ne avevo bisogno, lo sentivo, da sempre. Necessitavo di una poesia che divenisse discorso, che si guardasse, dipanasse, fluisse, come di fatto succede tra i canti di ciò che ho scritto. Se un ragazzo di vent’anni sente il bisogno fisiologico di scrivere un poema, evidentemente un qualche scopo, una qualche utilità, in un simile elaborato vi deve pur essere.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

Ho sempre, sempre, immaginato di scrivere un poema. La prima volta che tentai di comporne uno avevo undici anni. Ritentai a quindici anni e poi a diciassette. A diciannove anni finalmente capii come sarebbe dovuto essere. Quando ero bambino una pulsione mi sussurrava di scrivere un poema e nella mia innocenza tentavo di farlo con gli strumenti a mia disposizione. Crescendo e imparando l’arte del verso provai a modellare la mia intuizione su forme più o meno conosciute, ricalcando la Divina Commedia o i poemi classici. A maggio 2018, per puro caso, mi sedetti a scrivere un proemio, anzi, la parodia dei proemi classici, e apparve Romeo, il protagonista, con la sua storia. Da lì lavorai ininterrottamente per un anno. Iniziai convinto di scrivere una parodia e mi ritrovai tra le mani qualcosa di completamente diverso. Avevo capito che nel mondo di oggi un poema non poteva che aprirsi in maniera tragicomica e disillusa, parodistica: questo è il nostro mondo. Mentre Romeo navigava tra i canti del mio poema, però, diventava una persona differente. Cambiava e con lui cambiava lo stile di quello che stavo scrivendo. Il mio protagonista, nel tentativo di dare un senso al mondo moderno, creava il mondo, gli ridava ordine e significato. Di conseguenza il mio poema prendeva il volo, smetteva di essere un giochino letterario e diventava un poema epico, un testo di marmo. Questa la base, la nascita, l’ispirazione. Tra questo primo parto e la pubblicazione ci sono una decina di mani di sistemazione stilistica, metrica e linguistica.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è stata realizzata da Giulia Mezzadri, la grafica della mia casa editrice, Ananke LAB. L’idea principale era quella di raffigurare un uomo che puntasse alle stelle, per suggerire l’idea di Oltreuomo, assalto al cielo, resurrezione. Io avevo pensato ad una figura dai tratti rapidi, intricati, abbozzati, come in uno schizzo di Klimt, ma l’editrice, Elisa Santini, preferiva qualcosa più in linea con l’estetica della casa editrice. Dall’incontro tra le nostre due idee è nata la magnifica figuretta di Giulia Mezzadri, quest’uomo bianco e oro che indica una stella.

5. Come hai trovato un editore?

Ho trovato un editore grazie al concorso Parole Aperte – X-Factor Letterario, organizzato dall’Associazione Hemingway & Co. e ideato da Dario Lessa. Un concorso che ha ospitato in giuria personaggi del giornalismo e dello spettacolo, tra cui Massimiliano Rossin, Aldo Baglio, Giancarlo Bozzo e molti altri ancora. In palio c’era il contratto editoriale con Ananke LAB. Il concorso consisteva in una lettura pubblica dei propri testi, durante le tre fasi eliminatorie. Essendo la poesia performativa il mio forte, ho pensato di iscrivermi e in effetti è andata bene.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

All’umanità, con particolare attenzione per quella futura. È un testo a torta, stratificato. Chiunque può leggerlo e divertirsi o emozionarsi con la semplice storia, con il racconto di Romeo e con le storie dei personaggi che incontra. Un pubblico più colto potrà poi cogliere le innumerevoli citazioni, tanto dal mondo dell’arte quanto dalla cultura pop, e riflettere sulla filosofia di fondo che permea il poema. Infine, per esperti di letteratura e poesia, A Regular Poem risulterà un vero e proprio studio di metrica e poetica, in cui ai canti iniziali, caratterizzati dal verso libero e sciolto, tipico dei nostri tempi, seguono canti che riprendono tutte le forme metriche della tradizione poetica italiana per approdare poi a quella neoritmica che si sente sempre più spesso nei Poetry Slam e nella poesia orale. Insomma, il mio poema è letto con gusto tanto dai miei coetanei (ho vent’anni) quanto dagli adulti e gli sfegatati lettori. Quando i contenuti del mio poema saranno più in sintonia con la cultura del tempo, sono certo che A Regular Poem sarà ancor più apprezzato.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

In molti modi. In primis faccio moltissimi eventi, dai Poetry Slam alle letture, dagli show di poesia performativa ai firmacopie nelle librerie. Sono uno strenuo sostenitore della necessità di riportare la poesia nelle piazze, di renderla ascoltabile, declamabile, apprezzabile come musica, per questo amo esibirmi in locali e teatri. Essere molto presente in questo ambito sta portando al mio scritto non poca pubblicità. C’è poi la dimensione socialnetwork, che fosse per me passerebbe in secondo piano, ma è anche vero che molte persone che mi seguono e conoscono solo in virtuale, magari perché distanti, hanno poi realmente acquistato il libro. Infine, essendo anche sceneggiatore e regista, ho pensato di promuovere il libro tramite una sua trasposizione teatrale. Lo spettacolo si terrà il 16 maggio a Binario 7, Monza, grazie ai finanziamenti di La Casa della Poesia di Monza, che ha da subito sostenuto la scrittura del poema. Ho riscritto l’intero testo per adattarlo alla performance teatrale e il risultato pare davvero interessante, credo possa funzionare. Sarà la prima volta che usufruirò di uno dei teatri più importanti della mia città, perciò è per me e per il libro un’occasione non da poco. Confido negli attori con cui sto lavorando, tutti ragazzi davvero bravissimi e talentuosi, un gruppo giovane ed energico, l’ideale per mettere in scena le vicende di Romeo-Zarathustra.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Più riuscito non saprei. Ogni canto è così diverso dagli altri che ognuno di essi pare riuscito e compiuto nel proprio stile e posizione. Allo stesso modo, essendo stato per me questo libro l’esito di una ricerca personale, non ho passi ai quali sia più legato rispetto ad altri. Dovendo citare però qualche verso, credo che i seguenti siano significati:

“La luce, capivo, non me ne facevo niente,

ora che la mia mente se ne stava sveglia e sgombra;

splendevo nel nulla.

Splendevo nell’ombra.”

-A Regular Poem, Canto XXII-

Li cito, perché sono forse una delle rappresentazioni più intime dell’essenza del poema e del suo significato. L’idea di rifiutare ogni luce esterna, ogni finta salvezza, ogni promessa di ricchezza e conquistarsi personalmente il proprio posto nell’universo. Intendo, l’ideale del brillare: viviamo in un cosmo buio e vuoto, siamo sabbia sospesa nel nulla, siamo noi contro al niente più assoluto; dobbiamo splendere così intensamente da soppiantare l’Abisso e diventare il centro, il senso dell’universo intero.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Non mi aspetto nulla, le aspettative intaccano il normale fluire delle cose. Non potrei dire di aspettarmi che sopravviva, essendo per sua natura non mortale e al contempo non posso aspettarmi diventi un bestseller, così, su due piedi. È un libro che medita e crea nascosto, che brucia piano le vecchie filosofie che lo circondano. Diventerà una stella, con il tempo che gli è necessario a immagazzinare combustibile. Non prima, non ora. L’unica cosa che mi auguro è che il suo valore venga riconosciuto da chi lo ha tra le mani, esattamente come ho fatto io, ma questo, in effetti, sta già accadendo.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Mi chiederei: -Credevi che saresti mai riuscito a scrivere qualcosa del genere?- E mi risponderei di no. La mia produzione è sempre stata frammentaria, sconnessa, a tratti ambigua. Per la prima volta ho scritto qualcosa con una propria coerenza, con un’architettura precisa e meditata, con una formula specifica. Poi che il poema sia comunque pervaso da un senso di inconsistenza della realtà e da un continuo ribaltamento di prospettive sul mondo, questo è un altro discorso. Diciamo che è omogeneo e sensato nella sua eterogeneità e vacuità ontologica.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

In realtà non ho in cantiere nulla. Sono completamente assorbito dalla promozione del poema e dalla sua continua limatura. Non riesco a lasciarlo andare. In A Regular Poem ho versato tutte le mie capacità, tutte le mie esperienze, tutta la mia poetica e tutta la mia ispirazione. Ho bisogno di qualche tempo, non so quanto, per recuperare le energie perdute. Eccetto le cose che sto scrivendo per lavoro (articoli, racconti, spettacoli, ecc.) e qualche poesiucola di quando in quando, non sto lavorando a nulla di nuovo. Ho travasato in un solo libro vent’anni di percorso artistico, personale e spirituale, dopo un anno di scrittura e riscrittura dell’opera. Ora non ho le forze per fare nient’altro. Meglio così, ho più tempo per leggere e studiare. Non escludo che A Regular Poem possa un giorno far parte di un trittico di poemi. Vedremo.

Alessandro Porto

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Intervista a Martino Panico: Un minuto in più

07 sabato Dic 2019

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

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Martino Panico, Un minuto in più

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Martino Panico, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Un minuto in più, edito da Ciesse Padova

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Sono fortunato: ho sempre scritto e quasi sempre è stato un piacere. Dai momenti del liceo, fino alla professione e, poi, come uomo pubblico. Anche se, confesso, solo ora scrivo in totale libertà.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Ho fatto il classico e il nostro professore, prete allora e ancor oggi, attraverso la Divina Commedia e I Promessi Sposi ci spiegava la società, i rapporti di classe, la violenza del potere assoluto e le angherie subite dai deboli. Quindi ci siamo innamorati dei classici e con quei parametri ho affrontato il mare aperto della letteratura internazionale. Che dico, mare ?!? Oceano vastissimo che ancor oggi per me ha uno scoglio che emerge sopra gli altri: Ernest Hemingway.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Tutto si mischia, perché è giusto così. Noi siamo, insieme a ciò che pensiamo, il prodotto della nostra esperienza di vita, che prevede l’esistenza di luoghi, persone, affetti. Quanto entrano nell’opera ? Tanto. Oserei dire che essi stessi sono l’opera.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Volentieri. Il libro si chiama: Un minuto in più e si compone di 66 racconti e hanno alcune peculiari caratteristiche. La prima che i racconti stanno in piedi da soli, nel senso che hanno un inizio ed una fine compiuta. Questo aiuta molto nella lettura, consentendo di fermarsi per qualche momento, oppure continuare. Il secondo elemento è che, naturalmente, i racconti sono tutti legati. C’è un filo che li unisce dall’inizio alla fine. E questo anche in presenza di uno spazio temporale molto vasto: dal 1925 al 1974. Terza questione: tutti i racconti, tranne l’ultimo, fanno riferimento a vicende realmente accadute. Ci sono ovviamente indispensabili sintesi narrative, ma nessuna storia è inventata. Molti racconti sono legati a fatti bellici ed alle sofferenze della prigionia ed alla vita nei campi di concentramento nazisti, da parte dei militari italiani deportati dopo l’otto settembre 1943.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Intanto questa organizzazione in racconti è molto accattivante e richiama l’attenzione dei più giovani, poi il dramma dei militari italiani deportati nei campi di concentramento nazisti è storia poco conosciuta ancora oggi. Parliamo di un pezzo di popolo, di poco inferiore alle 700.000 persone.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

È stato un modo per metabolizzare un personale cambio di vita. Lo scrivere è terapeutico.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Ahahah !!! Ognuno ha il suo modus ispirandi: scrivo in qualsiasi momento del giorno o della notte. Scrivo con l’uso di una applicazione dello smartphone e poi ci torno sopra, dopo qualche ora o dopo qualche giorno e alla fine il lavoro è migliore.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è opera di un ragazzo di 25 anni, che stimo molto e che ha fatto un piccolo capolavoro. È la sintesi di un racconto centrale nel libro, dedicato alla genialità italiana.

9. Come hai trovato un editore?

Attraverso una amica straordinaria, una delle più grandi esperte nel campo del sistema nazista della deportazione e dello sterminio. Poi certamente Carlo Santi, l’editore ha colto le potenzialità dell’opera.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A tutti. Soprattutto agli adolescenti.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Ho fatto numerose presentazioni in Italia e una perfino a Bruxelles, chez Filigranes la più grande libreria fisica d’Europa. Poi c’è il tam tam dei social.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Questo ! Siamo nel gennaio 1951 e in famiglia c’era molta animazione: “In verità non era per niente convinto neanche lui, aveva altri programmi in testa, il primo quello di fare il direttore didattico, abilitazione che aveva preso anch’essa con il massimo dei voti. Poi c’era mamma. Eh si mamma. Un moderno rapporto alla pari. “Che dici?! Pensane n’altra. Peppe, non voio discute. Sono contraria e basta. Ma Pe’, c’hai na famiglia, Egeo è piccolo, i tuoi s’invecchiano. E po è na bega. È na bega e basta. Na bega che n’finisce più. L’so come sei fatto, te conosco mascherina. Uh, come te conosco. Te fa quello che voi, ma io so contraria forte. Guarda m’hai fatto veni la tremarella”. “Natà, calmate. E mica m’hanno detto che so n deficiente, me propongono da Sindaco! Intanto è un apprezzamento”. “I apprezzamenti se li tenessero per loro, che io n’so che farce. Te sei mi marito e me devi da retta. Po basta! N’ne parlamo più”. Mamma l’aveva presa proprio male. Immaginava, avendo qualche ragione, che babbo con il suo carattere, avrebbe dedicato molto tempo al Comune e molto meno alla famiglia. E questa consapevolezza la faceva soffrire. “Ma come, t’ho aspettato sei anni, capito sei anni! Evo quindici anni quando ce semo innamorati e ce semo sposati sei anni dopo e adesso m’arvoi fuggì via n’altra volta? E no, e nooo!!! N’so dacordo. Per niente!”.

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Può ancora ‘correre’, anche se per un esordiente il numero di copie vendute fino ad oggi mi dicono essere già un gran risultato.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Si. Immaginavi di conoscere un mondo nuovo, quello dell’editoria ? La risposta è: credevo di sapere qualcosa e invece ero completamente ignorante.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Si. Sarà un romanzo e presumo ci vorrà tempo.

Martino Panico è nato a Cantiano dove risiede, il 30 novembre 1953. Ha frequentato il liceo classico a Gubbio e si è laureato, a Urbino, in scienze politiche, con un lavoro ispirato da don Italo Mancini, docente di filosofia del diritto: una tesi sul nuovo contratto sociale, visto da Galvano della Volpe. È stato dirigente della pubblica amministrazione in vari enti, senza il timore di mettersi costantemente in gioco. Insieme, ha ricoperto numerosi incarichi politici: consigliere provinciale, presidente della comunità montana di Cagli, poi ancora presidente del consiglio provinciale, per ultimo, quello di Sindaco della sua piccola città monumentale: Cantiano. Confermato due volte nel 2004 e 2009. Oggi a 66 anni, è in pensione e ha cominciato a scrivere. Il primo libro “Nella casa dei Paoli” è stato autoprodotto. Poi “Un minuto in più” edito da Ciesse di Padova, Carlo Santi editore puro.

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Intervista a Mauro Germani: La parola e l’abbandono

02 lunedì Dic 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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aforismi, La parola e l'abbandono, Mauro Germani

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni. La Redazione ringrazia Mauro Germani per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La parola e l’abbandono (L’arcolaio, 2019).

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La parola e l’abbandono è un libro di aforismi, ricordi, trascrizioni di sogni e appunti letterari che ho scritto nell’arco di quasi un trentennio e che hanno accompagnato, sullo sfondo, la mia attività relativa alla poesia, alla narrativa e alla critica. Da questo libro emergono pertanto i temi presenti nella mia opera, che sono – come riportato nella quarta di copertina – “il senso di uno smarrimento originario, la precarietà dell’essere, la coscienza di una sconfitta esistenziale, l’enigma dell’amore e del corpo, il dramma non risolto della religione”. Ne scaturisce un ritratto di me stesso, con tutte le ossessioni che mi riguardano, una sorta di “follia privata”, che però investe anche il nostro essere-nel-mondo, il nostro destino e la nostra società. Parlo di me, ma è anche un pretesto per riflettere sulla condizione umana. Credo che in questo senso siano stati indubbiamente maestri autori come Cioran, Ceronetti e Quinzio.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Scrivere questi aforismi nel tempo è stato innanzitutto necessario per me, per comprendere meglio le ragioni della mia scrittura e ragionare sulla parola e sul suo rapporto con l’esistenza. Io penso che scrivere non sia un gioco, né un semplice esercizio di stile, come spesso purtroppo avviene oggi. Per me scrivere in modo autentico significa sempre scendere in un abisso, quello dell’esistenza stessa. Come ha scritto Kafka, “un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi”.

La mia pubblicazione, all’interno del panorama letterario attuale, risulta anomala, in quanto inclassificabile e lontana sicuramente dalla logica dominante. Vuole inquietare e far pensare, ed il pensiero mi sembra ai giorni nostri sempre più povero, se non addirittura assente. Vorrei aggiungere, poi, che oggi siamo di fronte ad un problema piuttosto serio e preoccupante: si pubblica troppo e si legge poco e male. Questo comporta che libri di qualità, che meriterebbero attenzione, nascono già morti, soffocati dalle innumerevoli pubblicazioni volute dal mercato.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

Credo che il titolo del libro indichi abbastanza chiaramente ciò che mi ha spinto a raccogliere i miei pensieri: il doppio, drammatico legame tra ciò che la parola intende esprimere e la condizione di solitudine di ognuno di noi. Così come esiste la solitudine dell’uomo, esiste anche quella della parola. Affermo infatti che “la parola è sempre sola davanti al dolore e alla morte”. La parola poetica non salva nessuno – è bene ribadirlo, abbandona ed è abbandonata. Chi scrive davvero tenta sempre di dire la vita in una tensione estrema, ed è proprio in questo sforzo immane che risiede la scrittura, la quale si colloca tra il dicibile e l’indicibile.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La foto presente in copertina  è opera di un mio carissimo amico, Marco Turolla. È stata scattata sull’Etna e raffigura alcuni alberi crollati e bruciati, che nelle posizioni assunte assomigliano a delle croci. Credo che questa immagine rappresenti un senso di rovina e di mistero, che ben si adatta allo spirito del mio libro.

  1. Come hai trovato un editore?

Mi sono rivolto alla casa editrice L’arcolaio di Gian Franco Fabbri, presso la quale ho avuto modo di pubblicare altri miei libri in passato. Gian Franco è un amico ed il suo è un catalogo di qualità, molto ben curato.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Per le ragioni che ho esposto in precedenza, non credo che il mio sia un libro facile. Penso possa interessare soprattutto chi si occupa di scrittura e di problematiche filosofiche, tuttavia mi auguro che possa coinvolgere anche altre persone. All’interno del volume vi sono citazioni e riferimenti ad una cinquantina di autori, poeti, scrittori, filosofi, ma in modo piuttosto chiaro e diretto. Certo, la lettura è impegnativa, ma è giusto che sia così…

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Da un po’ di tempo evito le presentazioni pubbliche. L’ultimo libro che ho presentato è stato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero, uno studio tematico sul teatro canzone e sul teatro di evocazione di Gaber e Luporini. Dopo mi sono ritirato. Oggi – a differenza di un tempo – sono innumerevoli le iniziative letterarie, le letture pubbliche e le presentazioni. Ne ho fatte parecchie anch’io ed ora non le sopporto più; lo dico anche nel libro. Spesso rivelano soltanto il narcisismo degli autori, il loro esibizionismo. Io non sono nemmeno su facebook, non mi interessa, e a volte addirittura mi ripugna. Gestisco solo il mio blog da diversi anni, sul quale pubblico le mie note critiche riguardanti autori classici e contemporanei. Per quanto concerne il mio libro, io e l’editore, di comune accordo, ci siamo limitati, per il momento, ad inviarlo a qualche critico e a qualche sito che si occupa di letteratura.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché?

Naturalmente non posso citare un brano perché il mio è un libro di aforismi, quindi ne riporto soltanto alcuni, che trattano argomenti diversi, ma in qualche modo legati tra loro. Eccoli:

“L’infanzia non ritorna, eppure qualcosa di essa ci segna per tutta la vita, resta dentro di noi come un’ombra nell’ombra.”

“Viviamo tutti in una zona di confine, un luogo provvisorio ed incerto, dove nulla è ben definito e i nostri corpi, i nostri volti si cercano nella penombra.”

“Quale bellezza è scomparsa? Di quale bellezza abbiamo nostalgia? Noi corriamo da una parte all’altra del mondo senza trovare mai ciò che veramente sarebbe per noi appagante. Siamo abbagliati da falsi splendori.”

“Le parole che abbiamo scritto scompaiono, ritornano, spariscono di nuovo. Sono lontane. Sono sole. Sono senza di noi.”

“Oggi non vogliamo vedere lo scandalo della povertà, non vogliamo sapere la sua storia perché ne abbiamo paura.”

“Il silenzio e la lontananza di Dio, nelle ultime parole di Cristo sulla croce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. Per un momento Cristo è davvero solo. È l’Ultimo, l’Abbandonato, e la sua croce è avvolta dalle tenebre e dal silenzio.”

“Al punto in cui siamo, non sappiamo nemmeno chi o che cosa abbiamo abbandonato, o da chi o che cosa abbiamo abbandonato.”

“Un’opera d’arte non dovrebbe essere mai innocua.”

“La nostalgia di un sogno, ecco che cosa resta, un segreto impronunciabile, come un debole lume che trema nella notte.”

“Chi raccoglierà le parole abbandonate della poesia, questi strani doni tra la vita e la morte, questi singhiozzi solitari? Le parole aspettano nell’ombra, escono dalle loro tombe di carta, vogliono risorgere per un po’, sconfinare, prima di sparire per sempre nell’oblio.”

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Spero che la mia opera venga letta con attenzione e adeguatamente recensita.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

La domanda che mi porrei sarebbe: che cosa provi a rileggere questi tuoi aforismi scritti in un periodo di tempo così lungo? La risposta: la stessa sensazione che potrebbe provare un fantasma nel rivisitare i luoghi in cui è vissuto. Ogni scrittore, in fondo, è sempre postumo a sé stesso.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Al momento non ho progetti precisi. Finora ho pubblicato una decina di libri e a volte mi sembra di avere esaurito le mie risorse. Forse proprio per questo adesso mi è venuta l’idea di un libro diverso dai precedenti, dedicato al cinema western, verso cui nutro una passione fin da quando ero ragazzo.

Mauro Germani

Mauro Germani

Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato saggi, poesie e recensioni su numerose riviste, tra le quali “Anterem”, “La clessidra”, “Atelier”, “Poesia”, “QuiLibri”. È autore di alcuni libri di narrativa e di diverse raccolte poetiche: l’ultima in ordine di tempo è Voce interrotta (Italic Pequod, 2016), preceduta da Terra estrema (L’arcolaio, 2011), Livorno (L’arcolaio 2008; ristampa 2013) e Luce del volto (Campanotto, 2002). In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). La sua ultima pubblicazione è il libro di aforismi La parola e l’abbandono (L’arcolaio, 2019).

 

 

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Intervista a Gabriele Galloni: L’estate del mondo

25 lunedì Nov 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Gabriele Galloni, L'estate del mondo, Poesie

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Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia Gabriele Galloni per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: L’estate del mondo (Saya Edizioni, 2019)

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Ho sempre scritto. Ma in prosa, principalmente. La poesia è venuta dopo; e ha preso il sopravvento. Era il 2012; all’epoca pubblicavo raccontini su uno di quei siti per scrittori emergenti, siti aperti a tutti, senza restrizioni. Un giorno scrissi un testo che non era né prosa né, per la forma, poesia. Me lo respinsero – primo e unico caso in quel sito. Decisi così di frammentare quel testo in versi, dandogli l’apparenza di una poesia. Una schifezza rara. All’epoca ignoravo, naturalmente, le sottigliezze del verso, la musicalità.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Paul Jean Toulet in primis. È un poeta appartenente al simbolismo minore; ha avuto poca fortuna, qui in Italia, benché tradotto sia da Bufalino che dalla Spaziani: non certo gli ultimi arrivati. Altri riferimenti non saprei dire. Sono arrivato a un punto in cui faccio riferimento solo e unicamente alla mia poesia. Non è immodestia, ma un dato di fatto. Ho amato e amo Savinio, Landolfi, Frederick Rolfe; e poi tutta la poesia primonovecentesca italiana, dai minimi ai pesi massimi come Gozzano.

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Per lungo tempo ho creduto che l’autobiografia non dovesse c’entrare nulla con la letteratura. In questo ultimo periodo mi sto ricredendo. Il mio ultimo libro, “L’estate del mondo”, appena edito da Saya Edizioni, è interamente autobiografico. Non voglio dire che tutto ciò che vi è raccontato sia realmente avvenuto; ma buona parte sì – trasfigurato, sognato, immaginato daccapo.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

“L’estate del mondo” è il mio personale atlante emotivo; c’è il quartiere in cui sono nato, il Trullo, la Portuense; la costa laziale che va da Civitavecchia a Nettuno. I luoghi della mia infanzia e dei miei amori. I miei amori, ci sono; le perdite, i ritrovamenti, i viaggi, gli addii.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Se c’è una cosa che ho notato nella poesia a me contemporanea – e sono un forte lettore di poesia contemporanea, almeno per dovere di autore – è la stilizzazione, la frammentazione dell’emotività. Con L’estate del mondo cerco di riportare l’elegia alla sua forma originaria; quella della rievocazione, del sentimento – del sogno.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Poco dopo la pubblicazione di In che luce cadranno (RPlibri, 2018). Quel libro mi aveva distrutto. Era stata una catabasi, un tentativo sfiancante di dialogo con l’Assente. E allora decisi che anche io avrei creato il mio Alcyone, il mio personale inno alla vita; lasciarmi alle spalle la morte, i morti, la Fine. Ritrovare la vita – o almeno il ricordo di essa. Infatti, e ci tengo a specificarlo, L’estate del mondo non è un inno alla vita – bensì un inno al ricordo della vita. Ma cosa possediamo oltre ai ricordi? Io vivo quasi sempre nel passato; o nel non vissuto.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

L’ho scritta senza fretta – infatti ci ho impiegato più di due anni – e quando capitava. Non c’era un piano di scrittura preciso; precisa era solo l’idea. Un libro che avesse come tema centrale l’estate, la vita, l’amore. A costo di rischiare il sentimentalismo. Poi ho lavorato moltissimo sulle diverse stesure; ce ne sono state otto in tutto. Sono un perfezionista.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

Fa parte della linea editoriale. Non l’ho scelta io.

  1. Come hai trovato un editore?

La pubblicazione me l’ha proposta il poeta Antonio Bux – che già mi aveva aiutato con In che luce cadranno. Gli è piaciuto il materiale (lui considera il libro la migliore cosa che abbia mai scritto) e me lo ha pubblicato nella collana che dirige per Saya Edizioni.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Spero a tutti. Voglio arrivare a quanta più gente possibile. Sì; L’estate del mondo è un libro per tutti. Tant’è che, finora, è stato apprezzato sia dagli intellettuali che dai profani; da persone non avvezze alla poesia, cioè.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Lo porterò avanti per un anno, un anno e mezzo. O almeno questo è il mio piano. Un gran bel tour in giro per l’Italia.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Sono legato a tutto il libro, senza discriminazioni; è la mia opera più personale.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Alte. Sono ambiziosissimo. Ma, anche se non dovessi raggiungere le mete prefissate, amen. Non me ne farò certo una malattia. So di aver scritto un libro che resterà; che troverà comunque un suo spazio. Il resto è relativo.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

No, non ho domande da farmi. Me le sono poste in tutte le 84 pagine del libro.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Al momento non ho in progetto nulla. Stavo scrivendo un romanzo su due bambini che lavorano all’interno di un mattatoio durante la guerra; ma il pc si è rotto e il progetto è andato perso. Forse ho scritto troppo, finora; per un po’, basta. Al momento ho detto tutto quello che avevo da dire.

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Gabriele Galloni

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Intervista a Francesco Palmieri: Biografie

28 lunedì Ott 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Biografie, Francesco Palmieri, POESIA

 

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia  Francesco Palmieri per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Biografie, Terra d’ulivi Edizioni, 2019.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Credo che il 99,99% risponderà di aver iniziato a scrivere in età giovanissima o molto giovane, proprio perché fu in quel tempo che sentì l’amore per la scrittura, un amore profondo, intenso, emozionante e, per questo, un amore per sempre. Ebbene posso dire di far parte di quel 99,99%.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Il riferimento letterario che sicuramente mi è più vicino è il Novecento, e credo non potrebbe essere altrimenti perché è a cavallo del secolo che si è formata la coscienza moderna che personalmente faccio risalire a Giacomo Leopardi, il primo esistenzialista ossia un protoesistenzialista. Da qui è facile capire che è il recanatese ad essere colui che in primis mi abbia influenzato nonostante io, da adolescente, lo abbia odiato molto per la sua cupa concezione del mondo e del destino umano. È chiaro che poi col tempo io mi sia ravveduto… Nel campo del mio sentire, quindi più per empatia che per influenza, sono venute tante altre personalità letterarie, primo fra tutte sicuramente Eugenio Montale e poi Ungaretti, Quasimodo, Saba, Moretti, Corazzini, Cardarelli e, più vicini a noi, Raboni, Giudici, Pagliarani, Caproni, Gatto, Erba, e ancora più vicini, Patrizia Cavalli, Vivian Lamarque, Patrizia Valduga, Valerio Magrelli, Fabio Pusterla, Testa, Toma e potrei continuare ancora ma sarebbe una elencazione noiosa. Fra gli stranieri citerei Prevért, Neruda, Salinas, Larkin, Wendy Cope, Edgar Lee Masters, Hikmet, e mi fermo qui. Ma voglio ripetere che non si tratta di influenze bensì di comunità di sentire e analogie di scrittura.

3.Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Come nasce la mia scrittura… direi senza alcuna premeditazione, di getto, come se i miei testi fossero già tutti scritti nel mio subconscio, infatti è raro che io intervenga sulla prima stesura. Vogliamo dire che io stia parlando di ispirazione? Ebbene la risposta è sì. Autobiografia e realtà circostante sono per me inscindibili, in quanto c’è sempre un io senziente ad elaborare l’esperienza del mondo e di se stesso. Da questo punto di vista tutta la scrittura e, soprattutto quella poetica, è autobiografica in quanto rappresenta la sintesi fra cognizione, emozione, fantasia, sentimento. Se un testo non contiene queste quattro qualità, non è poesia, è altro. In quanto all’imprinting geografico o topografico, devo riconoscerne la citazione spesso metaforica nei miei testi, sia che si tratti di immagini ambientali provenienti soprattutto dalla mia infanzia sia che invece si tratti di suggestioni metropolitane più vicine alla mia esperienza più recente. Ciò accade sempre quando l’esterno diventa luogo dell’anima, o almeno così è per me.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Se lo facessi sarei un partigiano sfacciato, no, preferisco che siano gli altri a parlarne semmai ne avessero voglia.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

A questa domanda non saprei rispondere… Il panorama letterario contemporaneo è così intasato di scritture che qualsiasi opera arriva a sembrare non necessaria e inutile. Se qualcuno dovesse leggermi, direi che farebbe almeno un’esperienza interiore…

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Per i quattro libri che ho pubblicato, direi che non c’è un quando e nemmeno una “sacra” scintilla iniziale. Per 20 anni non ho scritto una sola poesia, poi – credo verso la fine del 2008- ho iniziato a scrivere senza fermarmi più almeno fino al 2015. È in questo arco di anni che ho scritto le mie quattro raccolte. Come ho detto sopra, non c’è stata alcuna premeditazione, tutto è avvenuto con estrema naturalezza se si esclude una certa compulsione attiva a dire, dire, scrivere. Circa poi la distinzione di quel flusso in raccolte autonome, beh devo dire che anche qui era l’istinto ad indicarmi la fine di un lavoro e l’inizio di un altro.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Credo di aver risposto già a questa domanda.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

Per quanto riguarda la copertina, l’ho sempre concordata con il mio editore  Elio Scarciglia di Terra d’ulivi e, essendo lui un ottimo fotografo di talento, abbiamo sempre scelto una sua fotografia che avesse attinenza con lo spirito dell’opera, per la raccolta “Biografie” invece la nostra scelta è caduta su un mio dipinto che ci è apparso molto in sintonia con i testi.

9.Come hai trovato un editore?

Credo nello stesso modo in cui fanno tutti: inviando le mie proposte ai diversi Editori. Naturalmente alcuni non hanno mai risposto, altri invece si rivelavano come tipografi truccati, in tanti era chiaro l’intento di lucro, qualcuno invece è stato da subito onesto e collaborativo, così com’è il mio editore di riferimento attuale, cioè Elio Scarciglia delle Edizioni Terra d’ulivi.

10.A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Direi a qualsiasi tipo di pubblico che abbia voglia di leggere poesia.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Nell’unico modo in cui riesco a farlo, cioè pubblicando qualche testo sulla mia pagina personale Facebook e su quella dedicata ai miei libri, sempre su Facebook. A proposito la pagine dei libri si chiama col titolo della mia prima raccolta non d’amore: Fra improbabile cielo e terra certa. Naturalmente ho provato a farne una presentazione pubblica ma è stato un disastro già alla seconda esperienza qui a Milano. Ho provato anche a partecipare a un paio di concorsi; in uno sono stato il prescelto dalla giuria, nell’altro nemmeno mi sono piazzato fra i finalisti. Ma per ciò che concerne i concorsi ci sarebbe molto altro da dire e non ne ho alcuna voglia… mi basta dire che non parteciperò a nessun altro concorso.

12.Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Direi che sono tanti i testi a cui sto pensando ma probabilmente quello che segue rappresenta lo spirito di tutta la pubblicazione:

“Ho cercato di rendere magnifico

lo spazio verticale di azzurro sulla testa

(per arrivare all’apice del cielo

per rendermi fratello delle stelle

essere degno di avere avuto dio come padre)

 

ho cercato di rendere splendente anche la terra

di folgorarmi gli occhi con le rose

di respirare unisono col mare

(perché il paradiso era terrestre

ed è bugiardo chi dice che era celeste)

 

ho cercato d’indovinare l’angelo

nel passo sollevato di bocca glutei e seno

nel nudo delle cosce, il filo della schiena

(perché persino dio ha visto fra le donne

la donna benedetta, la madonna piena di grazia)

 

e adesso è arrivare a sera

chiudere finestre e porte

 

sperare d’aver lasciato

sulle scale i demoni

 

che per tutto il giorno

ho avuto dietro alle spalle.”

 

13.Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Che raggiunga le persone, che sia letta e compresa.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Ma chi te lo fa fare a insistere con la scrittura?

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Nel futuro prossimo vorrei pubblicare le mie due ultime raccolte scritte e delle plaquette già definite, e poi ho in progetto anche la pubblicazione di un romanzo i cui ultimi 10 capitoli sono ancora sui quaderni… già, perché io scrivo a mano e poi traduco in file…

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Francesco Palmieri

Nato nell’entroterra barese, si è trasferito in un Comune a nord di Milano dove ha lavorato come docente di materie umanistiche. Attualmente collabora con siti, riviste e case editrici, occupandosi prevalentemente di critica letteraria. Suoi testi sono presenti in rete e in antologie. Nell’ottobre 2012 ha esordito, pubblicando con la casa editrice ‘La  Vita Felice’, la sua opera prima:  Studi lirici (solo parole d’amore). Successivamente, nel 2015,  ha pubblicato Fra improbabile cielo e terra certa, nel 2016 Il male nascosto e nel 2019 Biografie, sempre con la casa editrice Terra d’ulivi.

 

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Intervista a Federico Preziosi: Variazione madre

24 giovedì Ott 2019

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

≈ 1 Commento

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Federico Preziosi, Interviste, Variazione madre

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Federico Preziosi, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Variazione Madre”.

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Credo sia nato da adolescente con le canzoni. Il primissimo gruppo che mi ha fatto capire quanto fossero importanti i testi sono stati sicuramente i Marlene Kuntz, avevo 12 anni e cercavo di riempire di significati la realtà che vivevo e/o immaginavo di vivere. Provare a entrare in certe atmosfere era come un’elevazione, mi sentivo nobilitato da tanta struggente decadenza. Poi ho cominciato a scrivere canzoni anch’io quando avevo la mia band, mi lasciavo ispirare da libri, articoli, storie andate male, ma anche da un fervido immaginario. La poesia è arrivata molto dopo, qualche anno fa.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Credo che i miei pilastri siano Svevo e Pirandello per la capacità prodigiosa che hanno avuto nell’individuare le contraddizioni nell’animo umano. Ho riletto di recente La coscienza di Zeno e il Fu Mattia Pascal, li trovo nei contenuti sempre molto attuali, pieni di quei piccoli pensieri scomodi che terrorizzano i benpensanti, ovvero la maggior parte delle persone. Tra gli scrittori stranieri amo Herman Hesse, Siddharta è il romanzo che preferisco. In poesia in un primo momento ho amato il Palazzeschi futurista per la giocosità e l’arguzia; oggi penso che senza Amelia Rosselli non sarei arrivato a concepire la parola come vibrazione, scossa tellurica, ma al tempo stesso uno scavo dritto nei punti nevralgici delle emozioni che tocca in particolare il dolore. Non che nella vita sia una persona triste, ma è nella non realizzazione delle cose, nella mancata espressione, che si prova dolore e spesso si fa fatica a trovarne le radici. Quando non si riesce a risalire all’origine il dolore è puro, irrazionale, inspiegabile. La Rosselli è per me rivoluzionaria perché a partire dalla sua scrittura ho avvertito la necessità di trasmettere il sentire e non la visione. Essere capaci di trasmettere agli altri il groviglio esistenziale che si custodisce dentro è una grande dote, un atto di amore indescrivibile.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La mia scrittura nasce per rispondere a un’esigenza creativa ed è fatta per lo più di immedesimazione, sono pochissimi gli elementi autobiografici, ma questo non vuol dire che non siano determinanti. Per me l’arte è scoperta ed esplorazione del sé e della realtà, anche solo immaginandola, non potrei vivere senza fare qualcosa di creativo e privarmi del piacere della condivisione. Vivo all’estero, eppure devo dire che più che i luoghi è la distanza a ispirarmi. Vengo dall’Irpinia, ho lasciato il mio paese tempo fa e ho imparato presto a fare i conti con la nostalgia e la lontananza. Questi sono oramai sentimenti e condizioni che sento innervati nel mio essere: se tornassi in Italia in questo momento, forse potrei stare ugualmente bene, ma mi mancherebbe qualcosa della vita all’estero; in Ungheria non me la passo male, ma spesso avverto il desiderio di ritornare in patria. Tuttavia, quando torno al paese per fare visita a miei, ricordo esattamente il motivo per cui ho piantato tutto e sono andato altrove a costruire la mia vita. Non nutro nessun odio, semplicemente non ho avuto un ruolo da ricoprire. Ad ogni modo questo vivere tra nostalgia e voglia di restare è solo uno dei tantissimi contrasti che mi attraversano. Non so quanto si riflettano nella scrittura tutti questi elementi, ma sicuramente ho sviluppato ed esercitato un’interiorità molto forte. Suppongo che ciò abbia un peso, ma non saprei quantificarlo con esattezza.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Variazione Madre è nata dall’esigenza di mostrare un lato femminile. Immagino che tutti gli uomini ne abbiano uno, ma lo lasciano vedere raramente e probabilmente anche malvolentieri. Io ho provato a farlo immedesimandomi nel corpo della donna, cercando di provare desideri e aspirazioni che una persona eterosessuale di sesso maschile non dovrebbe provare. Non è mai stata una mia intenzione quella di dare un taglio ideologico all’opera, non penso che questo sia l’approccio giusto per addentrarsi nelle liriche: mi sono semplicemente chiesto, essendone fortemente attratto, quali fossero le componenti principali del linguaggio femminile e ho cercato di renderle seguendo la mia sensibilità. A quanto pare sono due i poli principali attraverso cui identifico la scrittura femminile: la sessualità e il dolore, spesso entrambi parte di un sentimento più grande e dirompente, l’amore.

Ad ogni modo queste sono tutte considerazioni postume. Quando ho cominciato a “interpretare” la donna (circa un anno fa) non immaginavo che alla fine ne sarebbe uscito fuori un libro e nemmeno che potesse avere tutti questi contenuti “politici” del tutto involontari. Il femminile costituisce una forza potente e creatrice, capace di portare alla luce, e potenzialmente esprime il lato materno. Lo stesso titolo dell’opera gioca con l’ambivalenza delle parole: Variazione come cambiamento, ma anche come termine afferente al mondo della musica, al quale mi sento fortemente legato, e omaggio alla Amelia Rosselli delle Variazioni belliche; Madre come possibilità di cui ogni donna dispone per generare esseri viventi, sentimento di cura e difesa, punto di origine della vita stessa. Tuttavia a leggere il titolo si potrebbe intendere anche come “origine del cambiamento”, in quanto per la scrittura delle liriche dovevo, in un certo senso, mutare, non potevo restare uomo. E, metaforicamente, è sempre una “Madre” ad avermi generato, così come recita la poesia che apre la silloge: “Sono nata dall’incesto di una Madre/ da un sangue rappreso in due palmi di mani/ cosparso sul ventre in un mattino/ in novembre, sul tramonto dell’autunno.” Di “Madri” ce ne saranno molte nella silloge, rappresentate nella vita, nel pensiero o nella fantasia. Tutte determinanti nell’avermi reso ciò che sono diventato, nel bene e nel male.
Ho scritto circa 90 poesie immaginandomi donna, ma solo 41 sono finite su Variazione Madre grazie all’interesse e alla curatela di Giuseppe Cerbino, che ha voluto includere l’opera nella collana Lepisma-Floema di Controluna.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Ritengo che il femminile sia un bene da valorizzare, che vada sentito per essere capito (o forse immaginato) anche da chi donna non è. Non si tratta di orientamento sessuale, ma di dare importanza a un aspetto molto importante della vita sulla terra. Creare, accudire, liberare la propria spiritualità, ma anche la potenza sessuale, sono tutti elementi necessari alla nostra esistenza, tutte voci di una partitura più grande. L’amore è un sentimento complesso, troppo spesso identificato con scenette da soap opera e poco dibattuto considerando l’effetto dirompente che spesso ha nelle nostre vite. Vorrei tanto si potesse parlare di questo argomento con più naturalezza, il che non significa fare sfoggio di atteggiamenti esibizionisti: spesso i desideri vengono affidati alla politica che li utilizza per scopi propagandistici. Fa comodo a qualcuno tenere sotto controllo la sfera degli affetti e della sessualità, dividerli per ottenere un vantaggio personale e illudere gli altri offrendo comode soluzioni del tutto incuranti della molteplicità umana. Vorrei che Variazione Madre, nel suo essere oscuro e per nulla rassicurante, fosse un abbraccio: io ti amo perché sei diversa da me, perché ho bisogno di te, mio punto di origine e di ricerca, per salvarmi. Se tutto questo è utile lo giudicheranno i lettori.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Non saprei rispondere con esattezza, credo che sia stato un momento in cui certe letture e certi confronti abbiano fatto in modo che mi occupassi di questa parte di me, che la facessi uscire allo scoperto.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Sono sempre in giro, lavoro in luoghi diversi, essere sistematico nella scrittura mi è impossibile. Molte cose le appuntavo su un taccuino e le facevo maturare, altre sono state scritte di getto, sul cellulare, tra uno spostamento e l’altro oppure in casa, nei bar, nei luoghi di lavoro durante le pause, a tutte le ore, anche di notte. Ad ogni modo ogni singola poesia è frutto di una forte suggestione che in certi momenti si faceva così ossessiva da possedermi. Ho avvertito in certi casi delle sensazioni molto particolari, smosse da un sentimento di gioia e dolore insieme che, in fondo, accompagna tutta la silloge: quella “propria vulnerabile capienza” di cui parlo in una delle poesie di Variazione Madre.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è stata scelta dall’editore. Posso dire di aver apprezzato molto la scelta e lo ringrazio.

9. Come hai trovato un editore?

Giuseppe Cerbino mi ha proposto una pubblicazione per la collana Lepisma-Floema ed io ho accettato ben volentieri conoscendone la competenza e la professionalità. Avevo già letto alcuni poeti di cui si era occupato in precedenza: Beatrice Orsini, Andrea Casoli, Giovanni Sepe, Antonello Sollai, Luca Crastolla, Agostina Spagnuolo… non potevo dire di no. Penso che stia facendo un lavoro importante per la poesia, con passione, attenzione e dedizione. Doti rare, rarissime.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Mi rivolgo a tutti, in particolare agli uomini. Ma credo che questi versi facciano maggiore breccia nelle donne, per natura più curiose su certi temi e determinate espressioni.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Quando torno in Italia cerco di organizzare presentazioni, provo a sottoporre l’opera all’attenzione di poeti e critici importanti, invio email a tutti i potenziali interessati. Anche Facebook mi aiuta tanto: in questi anni posso vantare di aver stretto amicizie vere ed essermi conquistato qualche estimatore nei gruppi attraverso la condivisione e il confronto: in tanti mi scrivono per avere una copia di Variazione Madre e, se è possibile, incontrarmi. Da parte mia vivo gli eventi o gli incontri con le persone come un dono, un momento di socializzazione della poesia unico e irripetibile. La promozione, in sostanza, è per me una parte della poesia, che mi permette di diffondere il mio messaggio e conoscerne tanti altri.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa).

Estendo la citazione precedente: “C’è nella cicatrice l’onore del disarmo, una propria vulnerabile capienza”. Credo che dalla parte della sconfitta, di chi si arrende, ci sia molto da imparare: la nostra società afferma e intende imporre soltanto vincitori, preconfezionati e usa e getta, in altre parole una vittoria di consumo; agli sconfitti non spetta alcun onore, eppure a pensarci bene è proprio nel perdere che ci accogliamo davvero, che comprendiamo i nostri limiti, che ci abbracciamo in tutto e per tutto se davvero ci amiamo empatizzando con il dolore proprio e degli altri. Una capienza vulnerabile, labile, perché per la maggiore non accettata, e tuttavia ci contiene, ci determina e ci dà forma. E ho in mente le parole della mia amica e poeta Floriana Coppola, che nel cambio di stagione della vita afferma: “Non ho vinto e non ho perso/ non mi hanno avuto e non mi avranno mai/ rimango fuori dal coro, raccolgo e semino carezze/ fragili gusci d’uovo nelle mie mani” (Floriana Coppola, Cambio di stagione e altre mutazioni poetiche, Oédipus). È necessario preservare identità, avere amore e cura per gli altri. Se penso alla donna e a tutte le sconfitte, la femminilità è di certo una caratterizzazione che per la nostra società capitalistica costituisce una debolezza e per questo si sta affievolendo sotto i colpi del carrierismo. Bisognerebbe fare tesoro delle sconfitte per non perdersi in volatili imposizioni che non si preoccupano del benessere globale, ma soltanto di quello individuale. Non ho una soluzione da offrire a tutto questo, naturalmente, indico solo un problema rifacendomi alle parole di Virginia Woolf: «Può accadere qualsiasi cosa quando la femminilità cesserà di essere un’occupazione protetta».

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Me la vivo giorno per giorno, impegnandomi nella diffusione della poesia, proponendomi, per quanto sia possibile, in vari contesti. Il resto verrà da sé, se questo libro vale qualcosa farà strada. Sicuramente non mi arricchirà economicamente, su questo posso stare tranquillo! Al contrario, dal punto di vista umano, ho delle buone aspettative.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti? Per quale motivo spetta proprio a te rappresentare il sentire e l’animo femminile?

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Scrivo tantissimo, ma parlare di opera in cantiere mi pare prematuro. Ultimamente il mio stile si è fatto più asciutto e alcuni siti hanno già pubblicato poesie di quello che potrebbe essere il mio nuovo corso. Ne condivido una qui, per dare l’idea di quella che potrebbe essere la poesia di Federico Preziosi in un prossimo lavoro.

Sei un tutt’uno con la carne
intonaco di sangue e affresco d’anima,
un sussurro intimo che danza
anestetizzando il tronco. Un bisturi
separa linfa e corpo in questo lascito
dello spirito che è un non sentire,
una lobotomia d’amore sulla dipartita.

Federico Preziosi nasce ad Atripalda (Av) nel 1984. Studia Musicologia e Beni musicali presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, laureandosi in Estetica e Filosofia della musica con una tesi su Béla Bartók. Suona il basso negli “Slow Motion Genocide”, con i quali pubblica l’omonimo ep e un disco, Unculture. Oggi vive in Ungheria dove insegna lingua e cultura italiana a Budapest. Si avvicina alla poesia grazie all’incontro con Armando Saveriano, con il quale fonda il gruppo facebook “Poienauti”. La frequentazione virtuale con numerosi poeti provenienti da tutta Italia porta alla costituzione di “Versipelle”, una comunità poetica che esprime la propria voce attraverso il sito http://www.versipelleblog.wordpress.com. Nell’aprile 2017 vede la luce il suo esordio, Il Beat sull’Inchiostro, poetry slam ideata su intrecci di rime e assonanze a ritmo di rap. La silloge ritrae l’odierna società utilizzando robuste dosi di sarcasmo, irriverenza e tanta schizofrenia. Nel luglio 2019 viene pubblicato da Controluna, nella collana Lepisma-Floema, Variazione Madre con la curatela di Giuseppe Cerbino, un’opera in cui il poeta irpino si immedesima nel mondo femminile cercando di emularne il linguaggio in poesia.

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Intervista a Mattia Tarantino: Fiori estinti

21 lunedì Ott 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Fiori estinti, Mattia Tarantino, POESIA

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Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia Mattia Tarantino per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Fiori estinti, Terra d’ulivi Edizioni, maggio 2019.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Gli angeli ricordano solo di aver dimenticato. A noi, per fortuna o purtroppo, non tocca la stessa sorte. Scrivere, prima di indicare l’associazione di un segno a una lettera, è incidere. Non ho mai amato farlo: la scrittura, in me, ha sempre assunto la forma di una condanna; talvolta di un varco per una sorta di assoluzione. Forse il modo di scontare la nascita, di non contarla più, cioè. Come nel libro di Giobbe:

Perisca il giorno in cui nacqui

[ … ]

Quel giorno lo possieda il buio

non si aggiunga ai giorni dell’anno,

non entri nel conto dei mesi

Tuttavia, non c’è maledizione in questo. Cioran sostiene che la maledizione sia un’elezione al contrario, e credo alle sue parole. Posso solo dire che la nevrosi di sillabe e suoni che si agitano tra la voce e la gola ha spesso bisogno di evadere. Allora, per quanto possibile, cerco di tracciarne la formula; sia questa pura gioia o soglia irrimediabile dell’al-di-là.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?Su tutti, Dylan Thomas – di cui traduco, tra l’altro, i versi per Iris News -. L’analogia, lo scoppio, la visione che custodisce e sfilaccia nelle sue parole coincide, la maggior parte delle volte, con la mia poesia ideale. Quando non accade ne cerco i frammenti; il punto di caduta nel discorso delle parole che mancano. Anche Yves Bonnefoy ha giocato un ruolo importante nella mia formazione – o, forse, deformazione -. Quando, però, ho visto che dal mio balconcino di periferia non si vedevano mandorli, ho segnato i suoi versi sul muro sperando, un giorno, di avverarli e quindi cancellarli. C’è anche Majakovskij, ma non dico nulla; un proiettile ha già compiuto il suo verbo nel secolo. Spesso dicono che Baudelaire, per me, è stato fondamentale. Rivelo qui che non l’ho mai letto; I fiori del male non li ho ancora raccolti. Pochi, invece, gli italiani che mi hanno segnato. Rari, rarissimi versi, tra i grandi, di Montale, Corazzini e D’Annunzio; molti, invece, tra i contemporanei e i morti vicini. Penso soprattutto a Francesco Russo: ricordo più i suoi versi che i miei. Ci sono anche, però, Gabriele Galloni, Giorgia Esposito, Alfonso Guida, Giovanni Ibello e tanti altri, a cui ho rubato il più possibile.
  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Sono nato in una terra irredimibile; tra l’amianto e i campi radioattivi: qui l’erba è elettrica. Un disastro senza evasione possibile che andrebbe riverginato col sangue e la violenza. Violenza che qui, però, appartiene agli altri; ai balordi che sghignazzano con la maschera da orco. Meglio sigillarla, questa terra; segnarne una frontiera invalicabile che contenga e poi consumi il cancro. Il cancro è ovunque, qui. C’è bisogno di una comunione nuova, di mane e mane. Fino ad allora ne canterò la sciagura, il male declinato, la corruzione. D’altra parte, però, sono nato a Napoli: nel sangue ho i sorci e la commedia.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

Fiori estinti è la mia seconda raccolta; il segno ultimo dell’adolescenza. Un lamento, una profezia: è nato nelle taverne e nelle strade; tra le chiese e gli amari. Ci sono i volti, le parole e le disgrazie che mi hanno attraversato. Forse la poesia, quella che troppi definiscono un tentativo di bellezza, non è nei miei versi: è dove la parola non arriva; dove resta solo il bianco.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

L’unica opera utile nella poesia contemporanea credo sia Dolore Minimo di Giovanna Vivinetto. Lo dico perché è l’opera, tra quelle di maggior rilievo, che più di tutte è entrata in una tensione sociale estesa e discussa. Ha preso parte a un campo di forze in costituzione; contribuito alle vicende dell’egemonia, per dirla alla Gramsci. Fiori estinti è una raccolta di minoranza, che non ha mercato e cerca l’ingovernabile. Non solo: rinuncia a ogni tentativo di governo; cerca di dare dignità al delirio, alla visione intatta sul fondo delle cose.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Delle scintille mi piace ciò che resta. Solo nell’attimo dopo, nella liturgia della cenere, ho deciso che questi versi sparsi e ripetuti dovevano avere assemblea. Ero nella mia stanza, probabilmente; una notte come tante.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Di rigetto, al massimo. Fiori estinti è stato un divenire: mi sono inventato funambolo e cercato le cifre della crisi; contorto i muscoli e le sillabe. Sono sparpagliato, disordinato: conosco solo l’hora incerta. Di notte ho sempre preferito fare altro. Molte poesie sono nate tra i banchi del liceo; tra la noia, le bestemmie e le erezioni.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

Nella raccolta ci sono angeli ovunque. Perversi, violenti, ubriachi, incestuosi: rovesciati, soprattutto. Per questo l’editore ne ha scelti due che crollano; ha riportato in verticale il perimetro indicato da Benjamin.

  1. Come hai trovato un editore?

È la seconda opera che pubblico con Terra d’ulivi. Mi hanno offerto uno spazio, creduto nel mio lavoro fin dall’inizio. Fiori estinti tratta, grosso modo, gli stessi temi di Tra l’angelo e la sillaba, pubblicata nel 2017: ho proseguito con loro per continuità. Cercare un editore è stato, invece, complesso. Quando uscì la prima raccolta avevo da poco compiuto 16 anni: nelle librerie, spesso, manca la poesia contemporanea. Quando se ne trovano volumi, di solito appartengono a case editrici che riescono a entrare nei grossi circuiti di distribuzione. Ho cercato di capire dove fosse la poesia contemporanea, e quali editori, anche se piccoli, avessero cataloghi di qualità. Così scelsi allora, così ho scelto questa volta.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A preti e farabutti; oppure ai pochi marchesi des Essenteis rimasti in giro. Sono versi che riesco a concepire solo in bocca a profeti e sifilitici.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Fiori estinti è un libro fortunato. La critica e le riviste lo hanno accolto bene, offrendo e creando spazi per diffonderlo; sia in Italia che all’estero. Ci sono poi le presentazioni: quelle fatte e quelle a venire, dalla Campania alla Sardegna, dalla Lombardia al Piemonte, dal Lazio al Trentino. È un libro che mi piace muovere, ma non promuovere. Preferisco le cose bocciate.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Vorrei guardare il cielo, ma le stelle

mi aprono il sangue e disturbano

i versi in bocca ai morti

 

oppure

 

Ho conosciuto la noia del vino,

gli uccelli malati, e sono

saltato nella loro tosse

Non esistono versi indicativi: di solito scrivo al passato, o al condizionale. Nelle cose perdute e nei desideri; è un circolo vizioso che sto ancora provando a spezzare. Eppure, se dovessi scegliere dei versi, sceglierei le terzine citate. C’è lì, più o meno, la maggior parte dei temi della raccolta.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Non l’ho mai capito. Non credo nelle opere, né so che sperare dalle cose sperate e tradite che ho cantato. Forse volevo solo la parabola del frutto: il germoglio, la maturità, il marciume.  Non so in quale di queste fasi siano i miei Fiori, ma poco importa. Mi interessa, del fiore, ciò che rimane.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Avrei voluto qualcuno mi chiedesse dove fosse l’opera. Avrei risposto che è un tentativo di tagliare e sovvertire la verticalità del mondo. Qualcosa di simile lo scrive Giovanni Perri:

ostaggi del bene sogniamo il taglio verticale,

il pianto che ci salvi dal coro delle polveri

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Quest’anno mi dedicherò a tradurre i versi di Dylan Thomas e  scrivere qualche nota a raccolte di poesia contemporanea che trovo importanti; alle volte fondamentali. Ma i morti e gli amanti sono figure molto interessanti: chissà non mi mostrino un disegno, una via. Forse sono già sulle loro orme.

 

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Mattia Tarantino

Mattia Tarantino è nato a Napoli nel 2001. Co-dirige Inverso – Giornale di poesia; collabora come traduttore con Iris News – Rivista internazionale di poesia. Fa parte della redazione di Menabò – Quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria e di Bibbia d’Asfalto –Poesia urbana e autostradale. È presente in diverse riviste e antologie, italiane e internazionali. I suoi versi sono stati tradotti in sei lingue. Ha pubblicato Tra l’angelo e la sillaba (Terra d’ulivi, 2017) e Fiori estinti (Terra d’ulivi, 2019).

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Intervista a Daniela Cattani Rusich: Digitale purpurea

14 lunedì Ott 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Daniela Cattani Rusich, Digitale purpurea, POESIA

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Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Daniela Cattani Rusich per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Digitale purpurea, Eugraphia, maggio 2019.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Ero una bambina apparentemente molto socievole ed esuberante, ma in realtà solitaria e riflessiva. Neanche in famiglia lo avevano capito e questo accrebbe in me una situazione di disadattamento e di solitudine, che colmavo scrivendo. A quei tempi, la scrittura era la mia coperta di Linus.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Mi vengono in mente Jack London con il suo Martin Eden ma non solo, Pavese, Oscar Wilde, Hermann Hesse, Ungaretti e Montale, Emily Dickinson, Neruda, Merini e il teatro di Samuel Beckett, fin da ragazza. Più avanti ho incontrato la magica letteratura sudamericana, che mi ha subito rapita: Isabel Allende, Gabriel Garcia Marquez e soprattutto Luis Sepulveda. Rimanendo nello stesso continente, ma più a nord, un colpo di fulmine fu la raffinatissima scrittura di Henry James (in realtà inglese naturalizzato americano). Poi ho scoperto anche i poeti americani, a partire da Dylan Thomas. I miei riferimenti contemporanei sono Alessandro Baricco per la prosa e Giorgio Caproni per la poesia: in quest’ultimo trovo una corrispondenza fortissima nella visione esistenziale e nel suo modo di pensare la funzione del poeta.

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

I luoghi per me sono sempre stati tappe di vita, tanti, forse troppi: per questo probabilmente con essi ho un rapporto ambivalente, non sempre sereno. Autobiografia e osservazione della realtà sono sempre andate di pari passo, dopo la fase autoreferenziale dell’adolescenza.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

È la mia quinta silloge, un libricino piuttosto semplice, diviso in due sezioni: l’amore e la violenza. Ci sono diverse poesie sociali che parlano della realtà attuale e di temi che mi stanno da sempre a cuore: la degenerazione dell’umanità, la violenza contro i più deboli (in particolare donne e bambini), la guerra.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Questo non posso dirlo io.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

È sempre un processo lungo per me. Io scrivo senza condizionamenti o scopi precisi; poi, magari dopo mesi o dopo anni, mi si spalanca dentro una finestra ed esce tutto quel che deve uscire. Anche se, ci tengo a specificarlo, seleziono moltissimo e scarto testi senza pietà.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Scrivo sempre di getto, dopo una lunga gestazione interiore. Tutto ciò che vedo e che provo sedimenta in me, si fa magma e poi esce impetuosamente come lava da un vulcano. In genere il momento in cui arriva l’ispirazione è quello tra sonno e veglia, quando la razionalità allenta le briglie e le immagini e i versi sgorgano liberi.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

Non ho avuto molta scelta. Piuttosto è importante il titolo: la Digitale Purpurea è una pianta che, presa in piccole dosi, cura problemi di cuore; ad alte dosi è letale. Come è stato nella vita per me: ho sbagliato le dosi, sono viva per miracolo.

  1. Come hai trovato un editore?

Attraverso conoscenze comuni.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A tutti quelli che non hanno paura di guardarsi dentro, di riflettere sulla propria esistenza e sul mondo di oggi, su quello che stiamo diventando: sempre più cinici, sempre più soli.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Ho organizzato una prima presentazione alla Casa delle Arti – Spazio Merini, a Milano. Poi ho dovuto seguire il Premio Letterario Nazionale Poetika, di cui sono presidente da otto anni, e di tempo ne è rimasto ben poco. Non ho la frenesia di pubblicare, anzi. Forse riprenderò in primavera con qualche presentazione un po’ originale: la normalità mi annoia.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legata e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Non quello più riuscito, ma quello che in questo momento mi rappresenta maggiormente (infatti apre la silloge):

“La vita è stata un colpo di vento:

ho perso tutti i miei petali

fra le sue braccia”

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera? N

Nessuna in particolare.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Nessuna. La poesia, se ne è capace, dice senza bisogno di spiegare. E deve emozionare, ovviamente.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sì, ho nel cassetto (da tre anni, notare la “smania” 😊) un testo teatrale tra il surreale, l’ironico e l’esistenziale, dal titolo provvisorio: Io vado, tu resti?”; inoltre sto lavorando a un secondo romanzo, legato al primo “C’è Nessuno?” (con lo stesso antieroe come protagonista): è un breve romanzo che ha avuto un grande successo e mi ha dato molte soddisfazioni.

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Daniela Cattani Rusich

Sangue misto (greco, friulano, slavo, turco, armeno), scrive fin da bambina. Scrittrice, poeta, performer, presidente del Premio Letterario Nazionale Poetika, fotografa molto dilettante, ha insegnato per venticinque anni, è stata redattrice del sito Poetika.it, direttore creativo di Onirica Edizioni, ideatrice del Circolo culturale Casteld’Arte in provincia di Milano e dell’associazione culturale CreAzione in Toscana. Primo premio al Concorso Internazionale, patrocinato dal Presidente della Repubblica, THEM ROMAN per il racconto “Porrajmos- l’olocausto zingaro”. Primo premio per la lirica “Segreta” al Concorso “Un monte di Poesia”, tra i cinque finalisti del Premio “Massa Città fiabesca di Mare e di Marmo” con la silloge che porta lo stesso titolo. Terzo posto al concorso “Poetando” con la sua prima silloge “Rendimi l’anima”, trofeo Colle Armonioso per “Viandante senza tempo”. Anche “Arché” ha ricevuto diversi riconoscimenti, Daniela però non ama le esibizioni di premi, infatti ha smesso da anni di parteciparvi. Ha curato numerose pubblicazioni, scritto prefazioni e recensioni e lavora come editor freelance. Ha pubblicato un romanzo corale, un romanzo breve, una graphic novel, cinque sillogi poetiche e diversi testi, sia in versi sia in prosa, sia drammatici che comici,  in antologie di editori vari.

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Intervista a Rita Pacilio: La venatura della viola

30 lunedì Set 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

≈ 1 Commento

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La venatura della viola, POESIA, Rita Pacilio

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia Rita Pacilio, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La venatura della viola, Giuliano Ladolfi Editore, ottobre 2019

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Intervista a Stefano Guglielmin: La lingua visitata dalla neve

19 giovedì Set 2019

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA

≈ 1 Commento

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La lingua visitata dalla neve, POESIA, saggio, Stefano Guglielmin

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Stefano Guglielmin, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La lingua visitata dalla neve. Scrivere poesia oggi, Aracne Editrice, Canterano (RM) 2019, pp. 456.

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LE INTERVISTE: Il cerchio e la botte e Sette domande

19 lunedì Dic 2016

Posted by LiminaMundi in Interviste, LETTERATURA

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Deborah Mega, Interviste, Loredana Semantica

Con questo post concludiamo l’esperienza delle due interviste tipo che abbiamo proposto ai poeti più o meno noti di nostra conoscenza.

Se ricordate un’intervista l’abbiamo chiamata “Il cerchio e la botte”, caratterizzata da un botta e risposta rapido, perché le risposte non potevano superare le tre righe, l’altra, nella quale non c’era limite alla lunghezza della risposte, aveva per titolo “Sette domande sulla poesia”.

Abbiamo lasciato facoltà agli autori interpellati di poter scegliere il canovaccio di risposte. A questo punto  ci sembra interessante “rivelare” che a monte le domande dell’intervista “Il cerchio e la botte” erano state predisposte da Deborah Mega e quelle di “Sette domande sulla poesia” da Loredana Semantica.

Chiudiamo questa bella esperienza con un post un po’ insolito nel quale ve le proponiamo entrambe, in una sorta di “chiasma sinallagmatico”: Loredana Semantica risponde alle domande dell’intervista “Il cerchio e la botte” e Deborah Mega a quelle di “Sette domande sulla poesia”.

Buona lettura!

Loredana Semantica risponde alle domande dell’intervista “Il cerchio e la botte”

  1. Che cos’è per te la poesia e che cosa è in grado di esprimere?

La poesia è materia modellabile, un magma che bolle, una scoria di combustione, esprime tutta la gamma dell’esprimibile. Ed è anche modo di essere nella vita, un modo di dire la vita stessa. Come diceva bene Emily Dickinson poesia significa abitare la casa della possibilità. La potenza fatta parola.

  1. Quando e in che modo ti sei avvicinata alla poesia?

Mi sono avvicinata alla poesia circa quindici anni fa. Nessuna chiamata prima di quel momento, salvo qualche episodio. Il veicolo maieutico è stato il web, lo strumento in particolare il blog nel quale ci si esprime appunto in parola. Lì ho scoperto che, volendo, potevo dire l’universo, tentare di dirlo quanto meno.

  1. Chi sono stati i tuoi maestri o meglio i tuoi punti di riferimento?

Ho una vergognosa refrattarietà ai maestri, ma in cuor mio ne ho tanti, tutti coloro che ho letti in web e fuori dal web ed hanno lasciato il segno, tutti coloro che hanno forgiato il mio modo di scrivere, frutto di studio, pazienza, esperienza, tentativi, fallimenti.

  1. Ricordi il tuo primo verso?

Ricordo la mia prima poesia, scritta sull’ ultima pagina di un libro di diritto, raccontava di una notte insonne, senso di ringraziamento, rivelazione. Il libro è stato distrutto.

  1. A chi si rivolge la tua poesia?

A me stessa, a tutti i tu potenziali, a tutti i possibili pronomi personali.

  1. E’ stata dichiarata la morte della poesia e la sua marginalità nell’età della tecnica. In libreria i libri dei poeti contemporanei sono poco presenti e spesso relegati in un angolo, solo i classici godono ancora di un certo prestigio. Di contro c’è un fiorire di readings, di concorsi letterari e di premi. Tu cosa pensi di tutto questo?

Penso che readings, concorsi e premi siano frutto di una certa mania di protagonismo che ormai affligge il singolo, gratificato di avere una platea plaudente, quasi questa gloria momentanea lo rendesse meno nullità. A substrato un contesto sociale predominato dall’idea dell’apparire per essere. La poesia comunque vive. Se così è, anche di queste cose.

C’è chi tenta un coinvolgimento nei fatti sociali del suo tempo, chi invece ritrova la verità della poesia e della vita nella sua Arcadia più o meno felice. Tu dove trovi ispirazione? E come nascono le tue poesie?

E’ una pulsione che segue l’entropia, tanto necessaria quanto sgradita, del fare e pensare della quotidianità, a cui consegue il momento della calma, silenzio, riposo. Scrivere diventa allora un fare anch’esso, un poein interiore, quasi che la mente fosse un mare agitato e trovasse la trasparenza o l’oscurità del suo fondo quando si placa il vento, si appiana la superficie, il pensiero allora sprofonda e riemerge dall’altro lato.

  1. Secondo te i giovani di oggi amano ancora la poesia?

Sì, anche se percepiscono solo confusamente cos’è.

  1. Che importanza è attribuita oggi alla poesia dal nostro sistema d’istruzione?

Ha sempre avuto una certa importanza, ancora oggi i classici si studiano a scuola, a scuola si studiano le principali figure retoriche, le poesie della grande letteratura italiana. Si potrebbe fare di più perché i giovani l’amino, anziché sentirla come oggetto di studio obbligato, fare in modo che essi stessi siano i poeti, mettano le ali, liberarne le potenzialità. Anche se non diventeranno poeti capiranno meglio di che si tratta.

  1. Ci sono degli orientamenti prevalenti nella poesia italiana ed europea?

Gli orientamenti prevalenti in poesia sono anche a livello europeo quelli che da sempre caratterizzano la poesia: pensiero, amore, bellezza, verità, straniamento e morte, disagio e critica sociale. Fermo il fatto che apprezzo la poesia di qualità di qualunque bandiera, subisco il fascino di quella in lingua inglese per maggiore confidenza con la lingua

  1. La poesia è in grado di influenzare il linguaggio?

E’ uno scambio reciproco, la poesia registra l’evoluzione del linguaggio e nel contempo introduce rivoluzione.

  1. Può avere un ruolo politico?

Certo che sì. Il poeta ha un ruolo di osservatore della società e critico, criticare non è mai fine a se stesso, ma mira a indurre dei cambiamenti. Ogni azione che nel sociale vuole produrre un cambiamento è politica.

  1. E’ cambiato il “mestiere” del poeta nel tempo?

Carmina non dant panem, non è mai stato un mestiere, tranne nell’epoca e per l’incontro con mecenati. Certo è cambiato il ruolo, ormai sono gli economisti, i filosofi, giornalisti e politici a poter dire autorevolmente la loro, i poeti  sempre di meno, mi sembra che restino relegati al ruolo di “emarginati del villaggio” anche se i poeti per nobilitare se stessi in modo apparentemente critico, preferiscono il termine “casta”. 

  1. Alfonso Berardinelli ha sostenuto che oggi chi scrive versi non dovrebbe considerare valido nessun testo se non regge il confronto con un articolo di giornale o con una canzone. Intendeva probabilmente dire che i poeti contemporanei non sono capaci di comunicare con il lettore. Tu cosa ne pensi?

Penso che stiamo parlando di aria, terra, fuoco e acqua, tutti elementi naturali, tutti riducibili a elementi chimici, analogamente poesia, articoli di giornale e canzoni appartengono al grande mondo della comunicazione, tutti avvalendosi dell’elemento parola. Ma il fuoco brucia e l’acqua ghiaccia. Dunque la composizione ha la sua importanza. La canzone poi esige la musica, che è un’altra cosa.

  1. Attualmente in che stato di salute versa la cultura italiana ed in particolare la poesia?

La cultura mi sembra in declino, salvo a non considerare cultura anche quella tecnologica. Di poesia mi pare invece che ce ne sia molta e in buona salute, sempre di nicchia quella di maggiore qualità e poi decisamente autoreferenziale, di conventi e conventicole, ricche di intelligenze tuttavia e talenti. Spesso a distanza percepisco queste cerchie competitive. 

  1. Il nome di un autore poco noto che meriterebbe di essere rivalutato.

Simone Cattaneo, Fernanda Romagnoli, Emilio Villa, Antonio Porta, Giovanni Giudici, Amelia Rosselli, Bartolo Cattafi, Angelo Maria Ripellino, Antonia Pozzi, Goliarda Sapienza, Maria Marchesi… Nessuna pretesa di completezza, potrei continuare. Volutamente i poeti sono morti.

  1. C’è ancora bisogno della poesia oggi e perché?

Sì, è un bisogno di molti. Perché è un momento di cambiamenti epocali, profonda crisi sociale e quando non basta la parola… allora c’è la poesia.

***

Deborah Mega risponde alle domande dell’intervista “Sette domande sulla poesia”

  1. Al celebre verso refrain della poesia “La verità, vi prego, sull’amore” di Wystan Hugh Auden l’amata poetessa statunitense Emily Dickinson risponde “l’amore è tutto: è tutto ciò che sappiamo dell’amore”, citazioni in forma di dialogo per dire che raramente un poeta ha trascurato di interpretare questo sentimento nelle sue composizioni. Nelle tue poesie l’amore è presente? E se dovessi dire che peso esso ha avuto nella tua scrittura? E nella tua vita?

L’amore è il motore dell’azione, come diceva Dante Alighieri move il sole e le altre stelle. Qualsiasi attività umana dovrebbe essere mossa e provocata dall’amore, purtroppo questo non vale per tutto e per tutti, troppi sono mossi dall’interesse, dall’egoismo, dal guadagno e dalla ricerca del proprio utile. Nelle mie poesie spesso è presente l’amore, inteso anche come generosità, come dono di sè agli altri attraverso la scrittura e la parola. Perfino la mia prima poesia è stata dettata dal sentimento di amore fraterno e dalla sua perdita, è da lì che tutto ha avuto inizio. Continua ad avere peso e importanza nella mia vita: anche la mia professione, che è quella di insegnante, nasce dall’amore, offro ai miei alunni le mie conoscenze, la mia comprensione, il mio ascolto. Se non è amore questo…

  1. Tra le poesie di Emily Dickinson è famosa quella del dialogo tra due morti, l’uno per la bellezza, l’altro per la verità. Anche verità e bellezza sono temi importanti della poesia. Pensi che siano irrinunciabili? Che ancora oggi bellezza e verità siano temi presenti al poeta? E in che misura?

Bellezza e verità appartengono all’esperienza di vita dell’uomo, sono irrinunciabili e strettamente legate. Dostoevskij nel romanzo L’idiota ha addirittura sostenuto che la bellezza salverà il mondo e, per relazione inversa, anche l’uomo deve costruire e perseguire la bellezza se vuole salvarsi. Mi piace pensare che ciascuno di noi sia chiamato a scoprire il proprio destino di bellezza e verità se vuole trovare se stesso e salvarsi dall’ omologazione, dall’insoddisfazione e dalla solitudine. Il poeta scrive denunciando la sua verità, leggendo il mondo a modo suo, cogliendone le contraddizioni e perseguendo un proprio ideale di bellezza.

  1. L’attività della scrittura si lega all’esperienza e alla memoria. Si potrebbe scrivere poesia senza memoria? In quale misura attingi ai ricordi nella tua poesia?

La scrittura per quanto mi riguarda è molto legata al ricordo e alla memoria. Porta alla luce le cose non dette, non rivelate ad altri, non comprese talvolta neanche a se stessi, producendo effetti formativi, conoscitivi e, per qualcuno, perfino terapeutici. Buona parte delle mie poesie nasce da un ricordo magari sedimentato che ad un certo punto riemerge con prepotenza. Si può scrivere poesia anche senza alcun riferimento alla memoria ma ad un’esperienza specifica secondo me, volenti o nolenti, si fa sempre riferimento.

  1. Alcuni dicono che il silenzio, necessario momento di riflessione e di ispirazione, sia indispensabile perché nasca una poesia. Ma il silenzio è anche la poesia, ciò che si è taciuto, che s’interpone tra una parola e l’altra, tra un verso e l’altro. Condividi quest’ importanza attribuita al silenzio in relazione alla poesia? Le tue poesie nascono nel e dal silenzio oppure no?

Il silenzio è necessario e indispensabile per svolgere una qualsiasi buona azione dunque anche per scrivere una buona poesia. Permette di entrare in una dimensione individuale, di ritagliarsi un proprio spazio e rappresenta la condizione indispensabile per mettersi in ascolto di sè. Ciò non toglie che si possa avere un’intuizione, un’ispirazione poetica anche in un momento di caos totale, a quel punto importa solo che la mente sia libera da incombenze, impegni quotidiani e sovrastrutture.

  1. Tra i requisiti necessari della poesia c’è il mistero. Un alone che la circonda, un fascino speciale creato con le parole, che il lettore percepisce come una sorta di sfida al suo intelletto, comunicazione di un segreto, di un interrogativo vitale. Condividi questa idea o pensi che non vi sia relazione tra mistero e poesia?

La relazione tra poesia e mistero esiste anche se la poesia dovrebbe rivelare più che travisare lo stato delle cose. Nel mio caso però tendo a rivelare completamente il mio pensiero, per un’esigenza di chiarezza e di trasparenza, forse frutto della deformazione professionale, anche se mi piacerebbe riuscire in un tipo di scrittura più ermetica ed evanescente, in un trobar clus che, in alcune occasioni, ammiro in altri.

  1. Sono famosi i versi di Pessoa “Il poeta è un fingitore. /Finge così completamente /che arriva a fingere sia dolore/ il dolore che davvero sente.” Con questi versi si intercettano il tema del dolore in poesia e l’ambiguità. Sono elementi presenti nella tua poesia? E in che misura?

Chi di noi non ha mai sofferto? Credo proprio nessuno. Il tema del dolore è presente nella poesia, nella mia e in quella di tutti gli altri. Esiste anche la finzione letteraria ma si tratta di una finzione in cui ci si immedesima talmente tanto che alla fine diventa reale. Mi ritrovo dunque con la citazione di Pessoa. Per descrivere un’emozione l’immedesimazione diventa necessaria e, di conseguenza, la sua descrizione  o gli effetti che produce sul poeta, diventano realistici.

  1. Sempre Pessoa dice “La morte è la curva della strada,/morire è solo non essere visto.” C’è chi pensa che in poesia non si debba parlare di morte e chi invece si confronta con essa. Parli mai di morte nelle tue poesie? Scrivi per sopravvivere alla morte o per esorcizzarla?

E’ capitato di parlare di morte nelle mie poesie. E’ un pensiero latente con cui ogni tanto ci si confronta con un senso di rispetto e di sacralità. Non credo di temere la morte, mi auguro solo che giunga quando avrò compiuto tutto ciò che mi prefiggo di fare. Mi piacerebbe che qualcosa di me sopravvivesse, fosse anche un diario, un libretto di pensieri, un quaderno di appunti, sarebbero il segno tangibile che nella mia vita ho ritagliato del tempo e l’ho dedicato ad un’attività che amo perseguire, la scrittura appunto.

Deborah Mega

 

 

 

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Il cerchio e la botte: SILVIA CALZOLARI

12 lunedì Dic 2016

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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intervista, POESIA, Silvia Calzolari

Proseguiamo con la rubrica dedicata alle interviste di autori, poeti e scrittori potenzialmente noti, modestamente noti, mediamente noti, molto noti; le interviste sono pubblicate qui su LIMINA MUNDI in linea di massima il lunedì.

Il titolo dell’intervista che proponiamo oggi indica che lo scambio di domande e risposte è rapido e conciso. Nelle risposte non è permesso dilungarsi oltre tre righe. Colpo su colpo, come i bottai che ne assestavano ai fasci di legna della botte e ai cerchi che li stringevano, attività dalla quale deriva il noto detto: “Un colpo al cerchio e uno alla botte”. Qui da intendersi non tanto nel senso di mantenere l’equilibrio in una situazione scomoda, ma, piuttosto in quello del convergere, tra botta e risposta, al risultato comune di raccontare con le parole dei poeti il mondo della poesia.

L’autrice intervistata oggi è SILVIA CALZOLARI.

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  1. Che cos’è per te la poesia e che cosa é in grado di esprimere?

La poesia è modo d’essere, uno stato mentale. I versi tentano di esprimere l’essenza del micro e del macrocosmo, attraverso l’incessante ricerca e sperimentazione della parola.

  1. Quando e in che modo ti sei avvicinata alla poesia?

Quando l’occhio interiore ha iniziato a muovere i suoi primi segni liberi su un foglio, ho sentito “poesia”. Era il bisogno naturale di una bambina di giocare, catturare ed esaltare colori-forme-suoni, cercando e creando fantasie, soprattutto nei momenti più bui e dolorosi.

  1. Chi sono stati i tuoi maestri o meglio i tuoi punti di riferimento?

Madre Natura è stata ed è sempre maestra ispiratrice. Durante gli studi liceali, determinante fu l’incontro con il mio professore di lettere Adriano Menegoi, grande Maestro, estroso ed umanamente appassionato. Da allora, oltre alla lettura dei grandi classici italiani (Dante, Leopardi, Montale, Ungaretti…) e stranieri (Baudelaire, Éluard, Plath, Dickinson..), è nata la forte spinta di una ricerca personale.

  1. Ricordi il tuo primo verso?

Sì e posso affermarlo con certezza, non tanto grazie alla mia memoria o per la sua rilevanza, ma perché lo conservo ancora. Ridendo di me stessa eccolo: “Raggi d’albero le mie dita” (3 maggio 1971).

  1. A chi si rivolge la tua poesia?

Credo che nello scavo e nel proprio catarsi non si pensi assolutamente a chi sia destinato il proprio verso, pur sentendo e cercando sempre quel filo universale che a tutti appartiene. Se poi il proprio scritto arriva emotivamente ed emozionalmente al lettore è gratificazione. Nelle liriche a carattere sociale, l’intenzione diviene invece più mirata e razionale, sostenuta da quel desiderio di lotta per comuni intenti: l’urlo di libertà, l’ascolto di fragilità  e la forza dell’utopia contro quel sistema di diseguaglianza ed ingiustizia che soffoca ed opprime così pesantemente l’essere umano.

  1. E’ stata dichiarata la morte della poesia  e la sua marginalità nell’età della tecnica. In libreria i libri dei poeti contemporanei sono poco presenti e spesso relegati in un angolo, solo i classici godono ancora di un certo prestigio. Di contro c’è un fiorire di readings, di concorsi letterari e di premi. Tu cosa pensi di tutto questo?

Non credo assolutamente che la poesia sia morta, la sua marginalità e/o eccessiva diffusione in rete sono effetto della contemporaneità, generatrice spesso di dispersione e confusione. La tecnologia è un mezzo che concede visibilità e condivisione, nella consapevole illusione che la poesia arrivi ovunque. Le esperienze di concorsi, readings e quant’altro, penso appartengano a quasi tutti gli scrittori. Solo affrontandole si può comprendere quanto, se pur ingenuamente gratificanti, siano troppo spesso solo uno spettacolo d’apparenza, ove domina la superficialità narcisistica e una ridicola competitività che è l’antitesi stessa della poesia. Sono percorsi (in)evitabili che distraggono quasi sempre dall’essenza, poche volte arricchiscono profondamente. Per questo partecipo raramente e solo ove sento empatia e coinvolgimento emotivo.

  1. C’è chi tenta un coinvolgimento nei fatti sociali del suo tempo, chi invece ritrova la verità della poesia e della vita nella sua Arcadia più o meno felice. Tu dove trovi ispirazione? E come nascono le tue poesie?

L’ispirazione può nascere dal buio o dalla luce dei nostri strati interiori (tra conscio e inconscio), come ovunque quando il “terzo occhio” coglie immagini, angoli, visi, situazioni e spazi. Si scrive ciò che si vive, ciò che si percepisce, ciò che si è nel mutamento del proprio essere.

  1. Secondo te i giovani di oggi amano ancora la poesia?

Pur essendo un settore di nicchia, sono più che mai convinta dell’amore dei giovani per la poesia (nella sua più ampia accezione). La poetica giovanile si esprime spesso attraverso interazioni artistiche di vario genere nel superamento della classicità e degli stereotipi. Questa loro ricerca è seme d’evoluzione.

  1. Che importanza è attribuita oggi alla poesia dal nostro sistema d’istruzione?

Il nostro sistema d’istruzione purtroppo rimane quello di sempre, si potrebbe fare molto di più. Spesso vengono proposti esclusivamente classici e molto poco poetiche recenti. Vi sono comunque insegnanti che, per abilità e volontà personale, trovano il modo di percorrere insieme ai propri studenti cammini poetici alternativi.

  1. Ci sono degli orientamenti prevalenti nella poesia italiana ed europea?

La poesia deve fare i conti con un panorama caratterizzato da un numero mai così elevato di “poeti” in attività e dalle più variegate espressioni e tendenze. Il rapporto con le altre discipline creative sembra l’orientamento più evidente e più che mai sperimentato. C’è nella poesia contemporanea anche una bella spinta ad un confronto e dialogo tra culture diverse.

11.La poesia è in grado di influenzare il linguaggio?

La poesia ha sempre influenzato il linguaggio e viceversa.

  1. Può avere un ruolo politico?

La storia è ricca di esempi: Dante Alighieri e Neruda, per citarne due tra i più conosciuti. La forza politica della poesia si è sempre manifestata. Il poeta-politico ha pagato molte volte a caro prezzo le sue scelte. Credo sia importante, nel momento storico attuale, una presenza attiva della poesia.

  1. E’ cambiato il “mestiere” del poeta nel tempo?

Non credo sia cambiato il “mestiere”: la passione è la spinta primaria che ignora e si disinteressa di un eventuale guadagno. La realizzazione di una silloge è mutata,  questo sì,  grazie alle tecnologie.

  1. Alfonso Berardinelli ha sostenuto che oggi chi scrive versi non dovrebbe considerare valido nessun testo se non regge il confronto con un articolo di giornale o con una canzone. Intendeva probabilmente dire che i poeti contemporanei non sono capaci di comunicare con il lettore. Tu cosa ne pensi?

Direi a Berardinelli che, se il testo di una canzone può essere poesia, un articolo di giornale è prosa. Ogni espressione può avere la sua validità in sé e/o (in)utilità comunicativa con o senza comparazioni. Ogni critica è soggettiva, come ogni libertà critica è fondamentale.

15.Attualmente in che stato di salute versa la cultura italiana ed in particolare la poesia?

Siamo la culla della cultura, ma tutta l’arte è in grande difficoltà, in un contesto di globalizzazione priva di scrupoli. Stiamo attraversando un’epoca buia, in cui vige un atteggiamento scarsamente meritocratico, legato ad opportunismi e ad esclusive finalità commerciali. La poesia (come ogni arte) sa comunque vivere ad altre altezze.

  1. Il nome di un autore poco noto che meriterebbe di essere rivalutato.

Ne ho vari in mente, ma non vorrei dimenticare nessuno.

  1. C’è ancora bisogno della poesia oggi e perché?

La poesia è essenziale ed essenza, lo spirito umano morirebbe senza di essa. Personalmente non ne posso fare a meno. In ogni caso, c’è bisogno di autenticità poetica. Spesso c’è troppa finzione… e non mi riferisco di certo all’atteggiamento del fingitore di Pessoa.  

 

BIOGRAFIA – SILVIA CALZOLARI: è nata a Bergamo nel 1965. Si dedica da sempre alla poesia e, dopo la realizzazione della silloge “Specchio” (2009), nel 2010 pubblica “Suonetti in No Minore” (Aletti Editore), “Gioia del dubbio” nel 2011, “Infinire” (Feltrinelli.it) nel 2012, “Ho-oH” (Feltrinelli.it) nel 2013. E’ presente in numerose antologie. Nel dicembre 2014 pubblica “Free Lemon T(h)ree” con le Ed. N.O.S.M. che arriva alla seconda edizione nel maggio 2015. Le sue liriche sono inserite in numerose raccolte antologiche. Collabora con artisti del panorama contemporaneo, in riviste, blog ed associazioni (partecipando sia come organizzatrice che come giurata di concorsi). Partecipa al programma radiofonico “Musica e Parole” di Tony Esposito da Bruxelles (Radio Emozioni Live.). Ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi. E’ collaboratrice di “Deliri Progressivi” (Progetto Magazine-online; di carattere artistico-culturale; www.deliriprogressivi.com).

INFINIRE – poesiarte di Silvia  silviacalzolaripoeta.blogspot.com/

https://www.facebook.com/Silvia–Calzolari-poesia-358051357551820/ – SOF(F)IAVANGUARDIA –https://www.facebook.com/groups/3304391965

suonetti10@gmail.com

 

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Il cerchio e la botte: RITA PACILIO

05 lunedì Dic 2016

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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POESIA, Rita Pacilio

 

Proseguono le interviste del lunedì di autori, poeti e scrittori potenzialmente noti, modestamente noti, mediamente noti, molto noti.

Il titolo dell’intervista che proponiamo oggi indica che lo scambio di domande e risposte è rapido e conciso. Nelle risposte non è permesso dilungarsi oltre tre righe. Colpo su colpo, come i bottai che ne assestavano ai fasci di legna della botte e ai cerchi che li stringevano. Attività dalla quale deriva il noto detto: “Un colpo al cerchio e uno alla botte”. Qui da intendersi non tanto nel senso di mantenere l’equilibrio in una situazione scomoda, ma, piuttosto in quello del convergere, tra botta e risposta, al risultato comune di raccontare con le parole dei poeti il mondo della poesia.

L’autore intervistato oggi è RITA PACILIO, la quale è stata interpellata anche in un’altra occasione per Sette domande sulla poesia.

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Sette domande sulla poesia : CRISTINA BOVE

28 lunedì Nov 2016

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA

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Tag

Cristina Bove, intervista, POESIA

Un altro appuntamento dedicato alle interviste di autori e personaggi potenzialmente noti, modestamente noti, mediamente noti, molto noti che sono pubblicate il lunedì.

Il titolo di questa intervista è Sette domande sulla poesia, perché sottoponiamo all’autore sette domande su importanti temi della poesia. A differenza dell’intervista “Il cerchio e la botte” qui la risposta è di lunghezza libera. Anche questa, come “Il cerchio e la botte”, è un’intervista tipo che sarà sottoposta ad altri autori oltre a quello intervistato oggi che è CRISTINA BOVE.

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