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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Silvia Rosa

LA POESIA PRENDE VOCE: MARIA GRAZIA CALANDRONE, CRISTINA BOVE, SILVIA ROSA

07 martedì Feb 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Cristina Bove, Maria Allo, Maria Grazia Calandrone, Silvia Rosa

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Maria Grazia Calandrone (foto di Barbara Ledda)

poesia di Maria Grazia Calandrone, da “Giardino della gioia”, Mondadori, 2019 , legge la stessa autrice

Cristina Bove

poesia di Cristina Bove da “La simmetria del vuoto”, Arcipelago Itaca Edizioni, 2018 legge la stessa autrice

Silvia Rosa

poesia di Silvia Rosa da “Tutta la terra che ci resta”, Vyidia Editore, 2022, collana Nereidi, prefazione di Elio Grasso, legge la stessa autrice,

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“Maternità marina” AA.VV. a cura di Silvia Rosa e Valeria Bianchi Mian, Ed. Terra d’ulivi, 2020. Nota critica di Francesco Palmieri.

03 martedì Nov 2020

Posted by Deborah Mega in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Francesco Palmieri, Maternità marina, Silvia Rosa, Valeria Bianchi Mian

La raccolta poetica “Maternità marina”, frutto della sinergia corale delle poetesse in indice e curata da Silvia Rosa e Valeria Bianchi Mian, si inserisce nel panorama poetico dei nostri giorni come antologia tematica – la maternità – ma con un valore aggiunto che completa e al tempo stesso trascende la parola poetica, vale a dire la fotografia e l’illustrazione pittorica: Il complemento fotografico lo si deve all’esperienza inedita di Silvia Rosa mentre l’incursione grafica è frutto della creatività immaginifica di Valeria Bianchi Mian, curatrici che contemporaneamente contribuiscono alla raccolta con un testo ciascuna nel corso delle pagine di presentazione dell’opera. Il sincretismo formale del libro – sincronia e concorso di linguaggio, fotografia, pittura – potrebbe rimandare a un’intenzione didascalica non dichiarata, a un’opera illustrata dove le immagini giocano il ruolo di amplificatore della parola o viceversa, ma così non è poiché ogni medium specifico qui racconta una propria storia pur nella fedeltà e coerenza al tema della raccolta. Un tema lapalissianamente originario e ancestrale, così come è subito dichiarato fin dalla prima immagine della donna in nero che, tra le mani, reca quasi in offerta la conchiglia-utero, in un contesto per antonomasia millenario, cioè un uliveto. È un passaggio di testimone, da donna a donna, da femmina a femmina, da vecchia a giovane, secondo una successione ereditaria e filogenetica, un determinismo biologico indotto pulsionalmente da quell’istinto di sopravvivenza che spinge le creature naturali di carne e impulsi a procreare sempre e comunque. Ma si sa, nella filogenesi non c’è storia, non ci sono individui pensanti, non c’è l’Io con il suo vissuto, è fenomeno che replica se stesso senza lasciare traccia di quella che invece è l’epopea della maternità-filiazione, della connotazione psicologica ed emozionale del rapporto madre-figlia. Ed è di questo aspetto conscio ed inconscio che si occupa “Maternità marina”, delle implicazioni psichiche più profonde della relazione, sia nell’idillio che nella tragicità, nella corrispondenza empatica che nella conflittualità. Il pregio della coralità sta nel mettere in evidenza le diverse sfumature di vissuto individuale e personale, nel darci una versione polifonica di quel complesso fenomeno che è la maternità, un punto di vista denso di emozione e passione e spesso anche uno scambio di ruolo dove la figlia diventa a sua volta madre. Nelle parole e nelle immagini evocate dai testi si percepiscono le fasi primarie di simbiocità e fusionalità, si vede con evidenza lo sguardo mitologizzante degli occhi creaturali e infantili, si ascolta il racconto della faticosa costruzione del distacco e della ricerca di autonomia personale e soggettiva, si assiste all’uscita ora condivisa ed accettata ora drammatica e traumatica dal cerchio magico o cappio della relazione, e si percepisce infine la consapevolezza progressiva del senso di quelle rughe che si fanno sempre più profonde in volto e che preannunciano l’avvento di uno dei dolori più devastanti che si possano provare, il sigillo mortale che il tempo cinico appone ad una storia che era nata per non finire mai. Così come per i figli, le madri non dovrebbero morire mai.

Un tema così topico e sfaccettato non poteva non appoggiarsi all’evocavità potente di simboli, di metafore e immagini, in primis del mare quale correlato di utero immenso, di luogo amniotico e culla della creazione, di brodo primordiale da cui, dice la scienza, scaturirà il bios, la genesi del genere umano, perché se da un punto di vista creazionista è Dio il padre e la madre dell’uomo, è sicuramente la madre-mare la progenitrice dell’umanità tutta dal momento che, sia maschi che femmine, siamo tutti figli di donna. Una donna-mare, una donna-conchiglia, una donna-cavità di roccia che tesse le reti del futuro e dei destini a venire. Ma se è l’acqua uno dei quattro elementi della cosmogonia empedoclea e occidentale, principio primordiale di vita, non può sfuggire all’occhio l’evidenza fotografica di un altro principio antropogenetico strutturale, essenza e supporto  fondante di ogni esistenza corporea, vale a dire il sangue. Da pagina 63 a pagina 73 l’elemento ematico è il tratto cromatico dominante delle fotografie, la prova urlante di quel dolore decretato teologicamente (Genesi, “…con dolore partorirai figli.”) e di  un versamento liquido che sincronicamente significa perdita (emorragia) e acquisto (figli); di linfa-sangue è intrisa la veste linda della partoriente e rossa è la poltrona-alcova e luogo del miracolo della creazione. Ma è proprio in un tale contesto scenografico che emerge, una perplessità, un dubbio: qui si racconta un parto – come sembrerebbe suggerire il pesce deposto sul grembo della donna seduta e che ricorre in tanta iconografia cristiana (il pesce-Gesù) – o invece, in termini più inquietanti e drammatici, si testimonia l’esito tragico di una gestazione che si conclude con un aborto? E in questo secondo caso, cosa potrebbe significare fuor di metafora? Forse il rischio della maternità crudelmente frustrata o, ancora peggio dal punto di vista della continuazione della specie homo, il rifiuto di un ruolo procreativo non più possibile e in ogni caso una protesta antropologica, filosofica, culturale, cosmica? In fondo, alla luce della subordinazione storica del femminile al maschile, alla constatazione tragica, di una cronaca femminicida quasi quotidiana, all’orrore di un sistema globale grondante di ingiustizia e violenza, ai gemiti di un pianeta in agonia determinata da una distruttività famelica e ottusa, alla condizione dell’insuperabilità della condanna di nascere umani e mortali, chi se la sentirebbe di scagliare la prima pietra? Come non sentire un moto spontaneo di consenso? Ma direi di fermarci al primo termine del titolo del libro, “Maternità”, e affidiamoci alla convinzione che ogni grido di madre è un grido d’amore. Sempre. E comunque.

FRANCESCO PALMIERI

 

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L’intervista a Silvia Rosa: Maternità marina

25 lunedì Mag 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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Maternità marina, poesia contemporanea, Silvia Rosa, Valeria Bianchi Mian

copertina

Questa intervista appartiene a un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Silvia Rosa per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Maternità marina” (Terra d’ulivi edizioni, 2020).

http://www.edizioniterradulivi.it/maternita-marina/232

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

 

Il mio amore per la scrittura è nato quando ero bambina, ed è legato, come lo sono due facce della stessa medaglia, a quello per la lettura. Ho ricordi lontanissimi nel tempo, ma molto vividi, di mia madre che insieme a una piccola me di tre anni leggeva il primo volume di un’enciclopedia per l’infanzia, I Quindici, in voga negli anni Settanta. In quelle pagine c’erano immagini incantevoli e soprattutto filastrocche, nenie, poesie che piano piano avevo finito con l’imparare a memoria, prima ancora di saper decifrare da sola quei piccoli segni neri misteriosi, che tanto mi affascinavano. Nel tempo sospeso dell’infanzia c’erano anche fiabe, favole e racconti a farmi compagnia e il mio interesse per i libri cresceva così anno dopo anno. Alle scuole elementari ho avuto la fortuna di essere seguita da un ottimo maestro, che ha saputo trasmettermi tutto il suo amore per la letteratura e per la poesia: è stato lui che mi ha accompagnato mentre fiorivano in me tutte le parole seminate in precedenza. Ho iniziato a leggere da sola, e a scrivere temi e poesie, con gusto, con gioia: non erano semplici compiti da svolgere, scrivendo sentivo di dare un senso alla realtà e al mondo in cui ero immersa, soprattutto ai loro aspetti più incomprensibili e sofferti, con cui ero costretta a confrontarmi. E poi avevo una fantasia strabordante e una passione viscerale per la Parola, che fosse scritta o che fosse pronunciata a voce, ne sentivo tutta la forza e tutta la potenza creatrice, ed ero animata dal desiderio di dare vita a nuovi microcosmi a misura dei miei desideri. A dieci anni volevo riscrivere il mondo, lo volevo a immagine e somiglianza dei miei sogni!

 

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

 

Ecco, questa è una domanda che di solito temo, perché l’aspettativa è che io sappia rispondere con un elenco puntuale di nomi, e a seguire di ragioni, per cui quell’autrice o quell’autore ha segnato i miei orizzonti letterari. Io però non sono capace di stilare questo tipo di lista, è come se tutto quanto abbia letto in passato viva allegramente in anarchia nella mia memoria, sfumato in un mix indistinguibile di titoli, di libri di ogni genere, di scrittrici, scrittori e poeti di tutti i tempi e i luoghi, così, senza un ordine gerarchico particolare, confuso e refrattario alle categorizzazioni. Ci sono stati grandi amori (perché certa scrittura si ama al pari di una persona), passioni fugaci ma anche storie che sono durate negli anni (di alcuni autori ho letto via via la produzione al completo!), epifanie improvvise e delusioni, seconde opportunità rivelatrici (le riletture riservano sempre sorprese), età che hanno segnato un nuovo sentire e dunque altre esigenze, altre domande, un gusto che si è modellato con il trascorrere del tempo, seguito dalla voglia di non fossilizzarsi su quanto risuona di più per similitudine di vedute e di stile. Penso anche che in molti casi sia inconsapevole l’influenza che certe letture e certe personalità artistiche o letterarie hanno avuto, e che non sia così lineare l’attribuzione di maternità e paternità varie alla propria visione della vita e dell’arte. Per esempio, anche un autore con cui non si sente di aver nulla in comune, la cui lettura lascia apparentemente indifferenti, può invece esercitare un’influenza sommersa, anche solo per contrasto, per opposizione. Se mai mi riuscisse un giorno di compilare un elenco, sarà forse di questo tipo: quali sono stati i nomi che ho ignorato, non apprezzato, incompreso, sottovalutato, dimenticato… una lista delle influenze alla rovescia!

 

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

 

Per me la differenza tra “componente autobiografica” e “osservazione della realtà circostante” è abbastanza sfumata. Non credo in una scrittura oggettiva, impersonale, asettica, e se di osservazione si parla, allora è partecipata, lo sguardo è un setaccio che coincide con l’interiorità, si osservano certi dettagli del reale, e non altri, e quando si restituisce a essi una forma, attraverso la propria voce e il proprio modo di usare le parole, inevitabilmente lo si fa a partire dal sé, anche corporeo. Quindi penso che laddove non si scelga di narrare situazioni direttamente correlate alla propria autobiografia, comunque l’Io sia implicato in modo più o meno centrale nel processo di scrittura, anche se posto a latere del discorso. I miei testi nascono da esperienze non sempre vissute in prima persona, che però hanno avuto una forte risonanza emotiva, un impatto che ha smosso qualcosa nel profondo, gettando d’improvviso luce in quelle zone d’ombra che sono di solito inaccessibili. Quanto ai luoghi, sono presenti, a volte con riferimenti precisi, più spesso con una certa vaghezza che li rende un poco anonimi, qualche volta si assottigliano e diventano paesaggi onirici, o accolgono memorie di viaggi sedimentate nel tempo.

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

 

“Maternità marina” è un’antologia poetica, che raccoglie i testi di trenta autrici italiane contemporanee, scritti a partire dalle suggestioni di una serie fotografica di ventotto scatti, con inserti grafici a ricamare le fotografie e illustrazioni a puntellare i versi, come una sorta di  sottotesto che accompagna la narrazione poetica e tiene insieme tutto l’impianto dell’opera. Nasce da una mia idea, e da un primo esperimento che mi ha visto cimentarmi con la macchina fotografica. Adoro la fotografia e spesso in passato ho collaborato con artisti e fotografi, scrivendo poesie per dare voce ai loro scatti. Con “Maternità marina” è successo il contrario, ho coinvolto le poete: Franca Alaimo, Vera Bonaccini, Angela Bonanno, Claudia Brigato, Martina Campi, Paola Casulli, Mirella Ciprea Crapanzano, Flaminia Cruciani, Alessia D’Errigo, Lella De Marchi, Francesca Del Moro, Laura Di Corcia, Claudia Di Palma, Alba Gnazi, Ksenja Laginja, Anna Lamberti-Bocconi, Daìta Martinez, Silvia Maria Molesini, Gabriella Montanari, Renata Morresi, Daniela Pericone, Valeria Raimondi, Anna Ruotolo, Silvia Secco, Francesca Serragnoli, Enza Silvestrini, Claudia Sogno, Alma Spina, Antonella Taravella, Claudia Zironi, perché fossero loro a scrivere i testi in sintonia con le mie immagini.

Valeria Bianchi Mian, con la quale collaboro al progetto “Medicamenta- lingua di donna e altre scritture” sotto la cui egida è nato il libro, è stata invece l’ideatrice del racconto grafico, dedicandosi alle illustrazioni e realizzando la delicata trama di inserti che riscrivono le foto di significati ulteriori. Il libro contiene anche le nostre due introduzioni come curatrici (quella di Valeria con un taglio psicoanalitico) e due nostre poesie, che abbiamo volutamente lasciato a margine della narrazione, a cui invece hanno dato forma le altre autrici. A conclusione dell’opera appare la postfazione accurata dell’artista Sandra Baruzzi, che riflette sulla sintesi che linguaggio visivo e scritto producono. Insomma, è un libro composito, stratificato, multiforme, onirico, conturbante e perturbante, tutto al femminile.

 

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

 

A essere onesta non ho mai pensato che un mio libro potesse essere utile o necessario, in generale. Ho avuto piuttosto la speranza che potesse incontrare lo sguardo generoso di una lettrice o di un lettore, essere riconosciuto, prestare la sua voce per incarnare un sentire altro dal mio, rinascere a nuova vita attraverso inedite attribuzioni di senso. Per quanto riguarda “Maternità marina”, trattandosi di un’opera corale, incentrata sul tema complesso del materno, mi auguro che possa interessare ed essere d’aiuto ‒ come una mappa ‒ a chi voglia incamminarsi in questo territorio originario, accogliente e impervio al contempo, accompagnato dall’eco dei versi e delle immagini, per un’esperienza totalizzante e sinestetica, al confine tra sogno e incubo.

 

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

 

Quasi un decennio fa, durante una vacanza al Sud, stavo passeggiando sulla spiaggia, nella luce abbacinante dell’estate mediterranea, quando ho visto una poltrona rossa abbandonata sugli scogli, scolorita e segnata dal tempo, eppure ancora così accogliente. Ho avuto una visione, non so come altro dire, cioè ho visto (immaginato, ma sembrava molto reale) una giovane donna vestita di bianco, seduta sulla poltrona, e a questa immagine primigenia poi ne sono seguite altre, un racconto intero, una specie di fiaba, a cui ho sentito il bisogno di dare concretezza  attraverso le immagini fotografiche. Io però non sono una fotografa, quindi è stato tutt’altro che semplice realizzare gli scatti. Solo molto tempo dopo, quando ho ripreso la serie fotografica dall’oblio in cui l’avevo relegata, quando ho condiviso questa visione con Valeria e poi con le altre poete, solo in quel momento è stato davvero gettato il seme da cui l’opera è nata.

 

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, a orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

 

Di solito scrivo quando ho l’ispirazione, di getto, e spesso succede la notte. Durante il giorno poi mi occupo della revisione, del lavoro di limatura. L’unico mio testo poetico contenuto in “Maternità marina” è nato in un periodo in cui stavo leggendo il libro di Tiziana Cera Rosco, “Corpo finale”, un’opera potentissima, che mi ha molto turbato. Diciamo che per certi versi è stato come gettare sale su una ferita, la mia ferita, quella con cui da sempre faccio i conti.

Il libro nella sua interezza, invece, ha avuto una lunga gestazione, durata più di due anni. Ho scoperto mio malgrado che essere curatrice mi rende ancora più perfezionista del solito, perché è più forte il senso di responsabilità che accompagna il prendersi cura di poesie altrui. Poi il libro è stato il frutto della collaborazione con Valeria, quindi per due anni abbiamo discusso, vagliato e valutato tutti i dettagli, ci siamo confrontate su ogni decisione da prendere, ed essendo due personcine dalla testa molto dura non sempre siamo giunte subito a un accordo su come procedere.

 

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

 

La copertina è in linea con lo stile della collana “Le Avventurine” in cui è stata pubblicata “Maternità marina”. L’immagine è una foto presente nel libro, nella seconda sezione, lavorata con gli inserti grafici che Valeria ha creato per ogni scatto, seguendo una sua linea narrativa precisa e circolare. L’abbiamo scelta perché non rivela troppo, pur presentando tutti gli elementi salienti della storia: il riferimento al mare (la conchiglia), la donna-madre, l’ambientazione nella natura, quel qualcosa di fiabesco che connota tutta l’opera.

 

  1. Come hai trovato un editore?

 

Ho scritto, presentando una prima versione del progetto, direttamente all’editore Elio Scarciglia, di Terra d’ulivi edizioni. Volevo che fosse proprio lui a occuparsene, cercavo un editore in grado di curare la parte grafica/fotografica nel migliore dei modi, e sapevo che lui è un ottimo fotografo e che Terra d’ulivi ha una collana dedicata ai libri foto-poetici. Inoltre nel suo catalogo molti sono i nomi di autori e autrici validi e quindi avevo la sicurezza che le due anime del libro, poesia e immagini, avrebbero trovato tutta l’attenzione e la cura necessarie. La prima versione del progetto non ha convinto l’editore, così dopo qualche tempo gliel’ho ripresentato con alcune varianti. Nel frattempo l’ho mandato anche a poche altre case editrici, diciamo per avere un piano B nel caso Elio bocciasse di nuovo la proposta. Invece gli è molto piaciuta l’idea nuova e così abbiamo iniziato a lavorarci. È stato prezioso potermi confrontare con lui, e non posso che ringraziarlo per la pazienza cha ha avuto con me e con Valeria.

 

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

 

A chi apprezza la commistione dei linguaggi artistici, a chi ama la buona poesia, a chi ha voglia di immergersi in atmosfere oniriche e fiabesche, a chi non ha paura di sondare zone d’ombra, a chi è interessato alla scrittura contemporanea che pone al centro paure, limiti, complessità, aperture ed epifanie del femminile, a chi è animato da curiosità, a chi è sedotto dalla bellezza e dai suoi rovesci, a chi cerca un libro originale e fuori dagli schemi.

 

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

 

Si era pensato a una serie di presentazioni su tutto il territorio nazionale, dal momento che le autrici coinvolte abitano in quasi ogni regione d’Italia. Data la situazione contingente, tuttavia, al momento l’idea è di iniziare a dare notizia del libro tramite i social e i blog, magari anche con l’ausilio di video presentazioni.

 

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legata e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

 

Per non fare torto a nessuna autrice, scegliendo una sola poesia delle trenta che compongono l’opera ed escludendo dunque tutte le altre, riporto il mio testo, che come dicevo è a margine della narrazione, insieme a quello di Valeria, contenuto nell’introduzione. Non è assolutamente il più riuscito, anzi, e forse nemmeno il più rappresentativo dell’antologia, proprio perché pur essendo in tema, non è associato a nessuna foto. Nell’introduzione lo presento come “preludio [al] viaggio nel luogo più terrestre e viscerale che ci appartenga, una piccola bussola da disattendere alla ricerca del proprio spicchio di luna, del volto autentico della Madre che ci abita dall’origine dei tempi”:

 

L’ALTRA MADRE

 

Avrebbe potuto essere

animale respiro bianco

latte di tenerezza sangue

nel sangue identico,

un cordoncino ombelicale

di silenzi esattamente puntati

al petto dal viola di un capezzolo

al cuore tutto pieno di mani,

fare parola passi centro

di ogni sguardo del presente

e del futuro stella polare

 

Avrebbe potuto essere

non la distanza siderale

in luogo d’ogni azzurro,

la purezza del bicchiere vuoto

della carne intatta destinata

ad avvizzire ‒ meraviglia

in una teca senza corpo

 

Avrebbe potuto scegliersi

colomba un manto di peluria

imponente fiera d’unghie

che ruotano intorno al giallo

degli occhi, schiudersi, sfuggire

alla precisione di sé stessa

 

(invece)

 

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

 

Vorrei tanto che questo libro tutto al femminile fosse letto anche dagli uomini. Mi piacerebbe che qualcuno ne scrivesse, vorrei avere riscontri per scoprire se e quali corde ha sfiorato nel lettore. Mi piacerebbe che, al di là degli esiti perfettibili, fosse evidente quanta cura e attenzione ci sono state dietro alla sua realizzazione.

 

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

 

Non saprei. Sono io la prima ad avere molte domande in sospeso con me stessa rispetto a questo progetto. Vorrei tanto che a qualcuno venisse in mente di darmi proprio le risposte che non ho trovato da sola. Ecco perché aspetto qualche parere, qualche restituzione di senso, la possibilità di nuove interpretazioni.

 

 15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova        opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

 

Sempre in collaborazione con Valeria Bianchi Mian, ho in cantiere una nuova antologia, di cui saremo curatrici.  È un lavoro che nasce da una mia rubrica pubblicata a puntate sul blog Poesia del nostro tempo, dal titolo “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione”, dedicata al tema dei confini e della migrazione, con un focus sulla questione linguistica di chi scrive in una lingua seconda. Poete straniere, che vivono o che hanno vissuto in Italia, raccontano la propria storia di migranti anche attraverso la poesia. Sto lavorando a una mia prossima raccolta, ma sono ancora in una fase aurorale, è troppo presto per prevederne gli sviluppi e dare anticipazioni in merito.

Speriamo bene!

silvia

 

Silvia Rosa nasce a Torino, dove vive e insegna. Laureata in Scienze dell’Educazione, ha frequentato il Corso di Storytelling della Scuola Holden (2008/2009). È vicedirettrice del blog “Poesia del Nostro tempo”, dove si occupa tra l’altro delle rubriche “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione” e “Scaffale poesia: editori a confronto”, ed è redattrice di “NiedernGasse”, dove cura le rubriche “L’asterisco e la Margherita”, firmandosi con il nome di Margherita M. e “Fuori banco: cronache dalla scuola degli ultimi”. Collabora con il blog Margutte e fa parte della redazione di “Argo annuario di poesia”. È tra le ideatrici del progetto “Medicamenta: lingua di donna e altre scritture”, che propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, con le loro narrazioni e le loro storie di vita. Ha intervistato e tradotto alcuni poeti argentini, dando vita al progetto Italia Argentina ida y vuelta. Incontri poetici, pubblicato nel 2017 in e-book (edizioni Versante Ripido ‒ La Recherche). Suoi testi poetici e in prosa sono presenti in diversi volumi antologici e sono apparsi in riviste, siti e blog letterari. Tra le sue pubblicazioni: le raccolte poetiche Tempo di riserva (Giuliano Ladolfi Editore 2018), Genealogia imperfetta (La Vita Felice 2014), SoloMinuscolaScrittura (con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, La vita Felice 2012), Di sole voci  (LietoColle Editore 2010); il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storia e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Edizioni 2013).

Biobibliografia completa qui:

http://www.larecherche.it/biografia.asp?Tabella=Biografie&Utente=silviarosa

 

 

 

 

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Canto presente 6: Silvia Rosa

11 venerdì Nov 2016

Posted by Loredana Semantica in Canto presente, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ Commenti disabilitati su Canto presente 6: Silvia Rosa

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Canto presente, POESIA, Silvia Rosa

Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

Silvia Rosa

COME UN SEGNO NERO A MARGINE
 
Ha una forma irregolare
il dire
quando gli spigoli improvvisi
del temp
scontornano parole
e tace lo schioccare vorticoso
della lingua sul palato
come un frullare d’ali
a misurare – stanco –
il perimetro del vuoto.

Ha un movimento in girotondo
ogni lemma, prima dello schianto,
prima di precipitare
in coincidenza del silenzio
incrinandosi nel centro
e più dentro, nel profondo,
fino all’origine di senso.

Il mio corpo cede peso all’anima
e cambia di significato e di sostanza
nello spazio del discorso
si appunta come un segno nero
a margine,
nel bianco di una pausa
muto, fugge la distanza
– annullandosi –
si fa eterno, senza verbo, sconfinato.

da “DI SOLE VOCI”, LietoColle 2015

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Il blog LIMINA MUNDI è stato fondato da Loredana Semantica e Deborah Mega il 21 marzo 2016. Limina mundi svolge un’opera di promozione e diffusione culturale, letteraria e artistica con spirito di liberalità. Con spirito altrettanto liberale è possibile contribuire alle spese di gestione con donazioni:
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